Corte costituzionale 4 aprile 2011, n. 116
Giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale sollevato dalla Corte di appello di Bologna
Norme impugnate e parametri di riferimento:
La Corte di appello di Bologna ha promosso, in riferimento all’art. 117 Cost., primo comma, e all’art. 46 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), questione di legittimità costituzionale dell’art. 630 del c.p.p., nella parte in cui non si prevede la rinnovazione del processo allorché la sentenza o il decreto penale di condanna siano in contrasto con la sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato l’assenza di equità del processo, ai sensi dell’art. 6 della CEDU.
Argomentazioni della Corte:
La Corte, innanzitutto, fornisce una descrizione puntuale dell’attuale quadro normativo. L’art. 46 della CEDU, evocato dal giudice a quo quale “norma interposta”, impegna, al paragrafo 1, gli Stati contraenti “a conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle controversie di cui sono parti”, soggiungendo, al paragrafo 2, che la “la sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei ministri che ne controlla l’esecuzione”.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha più volte affermato che, a seguito di una violazione, lo Stato contraente ha l’obbligo giuridico, non solo di versare agli interessati le somme attribuite a titolo di equa soddisfazione, ma anche di adottare le misure generali e/o, se del caso, individuali necessarie.
La finalità delle misure individuali che lo Stato convenuto è tenuto a porre in essere è puntualmente individuata dalla Corte europea nella restitutio in integrum in favore dell’interessato. Queste misure devono porre, cioè, il ricorrente, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non vi fosse stata una inosservanza della Convenzione.
Dunque, gli Stati contraenti si impegno a far si che il loro diritto interno sia compatibile con la Convezione e, dunque, ad eliminare, nel proprio ordinamento giuridico interno, ogni eventuale ostacolo a un adeguato ripristino della situazione del ricorrente (Grande Camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, punto 152: Grande Camera, sentenza 8 aprile 2004, Assanidzé contro Georgia, punto 198).
La Corte di Strasburgo, muovendo da tali premesse, ha identificato nella riapertura del processo il meccanismo più consono ai fini della restitutio in integrum, segnatamente nei casi di accertata violazione dell’art. 6 della Convezione. In particolare, anche la Raccomandazione R(2000)2 del 19 gennaio 2000, ha invitato le Parti contraenti ad esaminare i rispettivi ordinamenti allo scopo di verificare la possibilità di “riesame di un caso”, ivi compresa la riapertura dei procedimenti, laddove la Corte riscontri una violazione della Convenzione.
La Corte Costituzionale rileva che la possibilità di riapertura del processo penale riconosciuto “non equo” non sembra essere contemplato dall’ordinamento italiano. In tal senso, sia il Comitato dei ministri sia l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa hanno censurato, in toni via via più pressanti, l’inadempienza italiana. Inoltre, con la sentenza n. 129 del 2008, la Corte non ha mancato di rivolgere un “pressante invito” al legislatore affinché colmasse la lacuna normativa in contestazione.
Il giudice a quo ha individuato nell’art. 630 del c.p.p. la sedes dell’intervento additivo richiesto: la revisione costituisce l’istituto che presenta profili di maggiore assonanza con quello la cui introduzione appare necessaria al fine di garantire la conformità dell’ordinamento nazionale al parametro evocato.
La Corte dichiara costituzionalmente illegittimo l’art. 630 c.p.p. proprio perché non contempla un”diverso” caso di revisione, volto specificatamente a consentire la riapertura del processo, quando la riapertura risulta necessaria, ai sensi dell’art. 46, par. 1, CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Infine, la Corte ribadisce che il legislatore resta ovviamente libero di regolare con una diversa disciplina il meccanismo di adeguamento alle pronunce definitive della Corte di Strasburgo, come pure di dettare norme su specifici aspetti di esso sui quali la stessa Corte non può intervenire, in quanto involventi scelte discrezionali.
Decisione della Corte:
La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1 CEDU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.