Corte costituzionale, 4 aprile 2001, n. 115 – Sul potere di ordinanza dei Sindaci

06.05.2011

Corte costituzionale, 4 aprile 2001, n. 115

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale sollevato dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto

 

Norme impugnate e parametri di riferimento

Il TAR Veneto ha impugnato l’art. 54, comma 4 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico degli Enti locali), come modificato dall’art. 6 del d.l. n. 92/2008, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità ed urgenza.

In particolare, la norma indicata sarebbe illegittima «nella parte in cui ha inserito la congiunzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”».

La disposizione censurata violerebbe: gli artt. 23, 70, 76, 77, 97 e 117 Cost., ove sono espressi i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità; gli artt. 3, 23 e 97 Cost., che pongono la riserva di legge ed il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative; gli artt. 13, 16, 17 e 41 Cost., ciascuno dei quali espressivo di una riserva di legge a tutela di diritti e libertà fondamentali della persona; l’art. 117 Cost., perché il potere di normazione conferito dalla disposizione censurata consentirebbe l’invasione degli ambiti di competenza legislativa regionale; gli artt. 2 e 3 Cost., poiché implica che la disciplina di identici comportamenti venga irragionevolmente differenziata in rapporto ad ambiti territoriali coincidenti con il territorio comunale; gli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost., che pongono il principio costituzionale del pluralismo (la norma censurata, infatti, conferirebbe una potestà normativa tendenzialmente libera ad un organo monocratico che opera quale ufficiale di Governo); gli artt. 24 e 113 Cost., in ragione della ampia discrezionalità esercitabile dal sindaco medesimo, tale da rendere eccessivamente difficoltosa la possibilità di un effettivo sindacato giurisdizionale.

Argomentazioni della Corte

Rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato, sulla scorta del rilievo che le ordinanze oggetto del presente giudizio sarebbero pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, la Corte procede innanzitutto ad una analisi dell’enunciato normativo contenuto nella disposizione censurata.

Nell’articolo. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 è scritto che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. La frase «anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento» è posta tra due virgole. La dizione letterale della norma implica che non è consentito alle ordinanze sindacali “ordinarie” di derogare a norme legislative vigenti, come invece è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell’urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti. Si deve quindi concludere che non sussistono i vizi di legittimità che sono stati denunciati sulla base del contrario presupposto interpretativo.

Fatta questa precisazione, la Corte evidenzia tuttavia come la norma censurata attribuisca ai sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».

Le ordinanze sindacali oggetto del presente giudizio incidono, per la natura delle loro finalità (incolumità pubblica e sicurezza urbana) e per i loro destinatari (le persone presenti in un dato territorio), sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, incidendo così sulla riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Cost.

Nella materia in esame è intervenuto il decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione), che può assolvere alla funzione di indirizzare l’azione del sindaco, che, in quanto ufficiale del Governo, è sottoposto ad un vincolo gerarchico nei confronti del Ministro. La natura amministrativa del potere del Ministro, esercitato con il decreto sopra citato, se assolve alla funzione di regolare i rapporti tra autorità centrale e periferiche nella materia, non può tuttavia soddisfare la riserva di legge.

Si deve, in conclusione, ritenere che la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti – pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti – viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge.

Si deve rilevare altresì la violazione dell’art. 97 Cost., che istituisce anch’esso una riserva di legge relativa, allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto in via generale è previsto dalla legge.

Inoltre, l’assenza di una valida base legislativa lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci.

Tale disparità di trattamento, infine,  integra la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., in quanto consente all’autorità amministrativa – nella specie rappresentata dai sindaci – restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria.

Decisione della Corte

La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti».

Giurisprudenza richiamata

– Sulla legittimità delle deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, che sono consentite solo se «temporalmente delimitate» (Corte cost., ex plurimis, sentt. n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della «concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare» (Corte cost., sent. n. 4 del 1977)

– sulle ordinanze non contingibili ed urgenti, che consentono ai sindaci «di adottare provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana»: Corte costl, sent. n. 196 del 2009

– sull’esigenza che nell’esercizio dei poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto: Corte cost., sentt. n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982

– sulla natura “relativa” della riserva di legge ex art. 23 Cost.: Corte cost., sent. n. 4 del 1957 e, in tempi recenti, sent. n. 190 del 2007.

– sulla formula utilizzata dall’art. 23 Cost., che «unifica nella previsione i due tipi di prestazioni “imposte”» e «conserva a ciascuna di esse la sua autonomia», estendendosi naturalmente agli «obblighi coattivi di fare»: Corte cost., sent. n. 290 del 1987

Elena Griglio