Il ruolo delle Assemblee legislative nella governance economica – Pisa, 8 aprile 2011 – Resoconto Seminario

27.05.2011

“Il ruolo delle Assemblee legislative nella governance economica”.  È  questo il titolo del secondo incontro del Ciclo di Seminari dedicato al ruolo svolto dalle assemblee legislative nazionali nell’elaborazione delle politiche pubbliche di fronte alle nuove strategie europee, che si è tenuto venerdì 8 aprile 2011, presso l’aula 6 della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. A dibattere dell’argomento sono intervenuti il professor Paolo Carrozza, docente sella Scuola Superiore, il dott. Antonio Esposito, consigliere della Camera dei deputati presso l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea e il dott. Clemente Forte, direttore del Servizio Bilancio del Senato della Repubblica.

In via preliminare, il professor Paolo Carrozza, dopo aver brevemente richiamato la complessità del tema del dibattito, ha espresso la personale convinzione che la prima parte della Costituzione italiana, e segnatamente i rapporti economici, così come previsti  in origine dai padri costituenti, si possa considerare ancora valida e attuale, nonostante le modificazioni indotte dai processi di globalizzazione e di adesione ai Trattati europei, solo grazie a “finzioni giuridiche e a formalismi” e ha, quindi, posto l’accento sull’esigenza di affrontare le questioni relative alla governance economica facendo riferimento a due principali profili problematici:

–          Il primo fa riferimento ai rapporti tra Governo e Parlamento o, lato sensu, fra Stato e regioni, tenendo conto della lettura originaria dei rapporti economici, data dai padri costituenti. Si tratta, pertanto, di capire come la legislazione attuale, relativa all’assetto contabile, economico e finanziario dello Stato e del settore pubblico allargato, abbia subito e subisca modificazioni e trasformazioni per effetto dell’assetto multilivello, abbracciato oramai da tutti gli ordinamenti nazionali europei e il cui processo evolutivo è tutt’ora in corso;

–          Il secondo concerne i rapporti fra Parlamenti e assemblee legislative varie, esaminati all’interno di una cornice di crisi generale per il parlamentarismo: gli esecutivi mostrano sempre più la tendenza a voler dominare il governo dell’economia, e non solo, limitando, di fatto, le prerogative e i margini d’intervento parlamentari. A parere di Carrozza, considerando che il rafforzamento degli esecutivi – ai fini decisionali – può essere letto come una logica e necessaria conseguenza dell’assetto multilivello, si pone il bisogno di capire come i singoli rappresentanti parlamentari possano comunque svolgere il loro ruolo di “detentori dell’indirizzo politico”.

Di fronte a tali questioni, di attuale interesse e strettamente intrecciate fra loro, il rischio maggiore per il Parlamento italiano si annida nel fatto che l’economia viene sempre più filtrata nelle c.d. leggi omnibus, in cui le scelte dell’indirizzo governativo si traducono e si frastagliano in mille norme, “in mille rivoli”, oppure nelle grandi leggi a iniziativa legislativa governativa, dove si dovrebbe specificare quali delle decisioni che vengono sottoposte al Parlamento italiano sono il frutto degli obblighi internazionali ed europei e quali, invece, rispecchiano i margini di manovra riservati ai soli decisori nazionali. Ciò nonostante, la maggior parte delle decisioni  di politica economica e monetaria sono prese a livello europeo, con la partecipazione – sottolinea il professor Carrozza – dei soli rappresentanti governativi. L’auspicio è che, attraverso uno sviluppo concreto e duraturo delle relazioni interparlamentari, si possa ridurre la marginalizzazione dei Parlamenti e si possano mettere le assemblee legislative in condizione di incidere significativamente sul controllo dell’esecutivo e sui processi decisionali dell’Unione.

A questi spunti di riflessione ha fatto seguito l’intervento del consigliere Antonio Esposito, il quale, tenendo conto dell’assenza del dott. De Feo, direttore dei Servizi della Biblioteca, presso la Direzione generale della Presidenza del Parlamento europeo, ha illustrato schematicamente “i punti cardinali” del nuovo sistema di governance economica (tutt’ora “in corso di aggiustamento”), per tracciare poi, in sintesi, le principali implicazioni costituzionali e procedurali per gli ordinamenti nazionali. Anzitutto, il nuovo sistema di governance si fonda su quattro pilastri essenziali:

–                 Il primo è dato dal c.d. semestre europeo, consistente in un’articolata procedura – non ancora codificata in atti giuridicamente vincolanti dell’Unione europea – di coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri. Tale procedura si sviluppa secondo un preciso ciclo semestrale, suddiviso in diverse tappe: a gennaio viene presentata dalla Commissione l’indagine annuale sulla crescita, documento con cui la Commissione europea analizza e valuta la situazione macroeconomica dell’Unione nel suo complesso e individua una serie di azioni prioritarie da seguire per rilanciare la crescita, lo sviluppo e l’occupazione, nell’ambito degli obiettivi della c.d. Strategia “Ue 2020”; a marzo il Consiglio europeo, sulla base delle indicazioni contenute nell’indagine annuale sulla crescita, elabora i Grandi orientamenti delle politiche economiche degli Stati membri (GOPE), mentre a metà aprile gli Stati membri sottopongono contestualmente alla Commissione i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia “UE 2020”) e i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo. A inizio giugno, sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione elabora delle proposte di raccomandazione di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri e le trasmette sia al Consiglio ECOFIN, sia al Consiglio europeo. Infine, tra giugno e luglio il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari sociali approvano le raccomandazioni della Commissione, tenendo anche conto degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno.

A ben vedere, i principali attori di tale procedura di coordinamento delle politiche economiche sono soprattutto la Commissione europea, il Consiglio europeo e il Consiglio ECOFIN. Il Parlamento europeo, di fatto, non viene formalmente coinvolto nel ciclo di governance, ma si limita a svolgere audizioni e a essere consultato.

 

                 Il secondo pilastro è rappresentato dal rafforzamento del Patto di stabilità e crescita e dalle previsioni di vincoli più stringenti per gli Stati membri, per quanto riguarda le politiche di bilancio.  Nelle proposte legislative presentante dalla Commissione il 29 settembre 2010, e su cui il Consiglio ECOFIN ha già definito il proprio orientamento politico, in vista della definitiva approvazione, è contenuta una regola numerica per la riduzione dell’eccedenza del debito, in base a cui tale eccedenza deve essere ridotta di circa 1/20 l’anno, rispetto alla soglia del 60%. Per un Paese come l’Italia, con un debito pari a più del doppio della soglia minima, il dato fondamentale è costituito dal fatto che a partire dal 2015 si dovrà ridurre di almeno il 2,9% l’anno l’eccedenza di debito, con effetti piuttosto incisivi sulle manovre di finanza pubblica.

 

–                 La nuova procedura di sorveglianza sugli squilibri macroeconomici eccessivi rappresenta il terzo strumento.  Tuttavia, le modalità applicative di tale procedura, volta a monitorare quelle condotte che possono mettere a repentaglio la stabilità dell’area euro, sono ancora in corso di definizione. In ogni caso, essa prevede la possibilità per l’Unione europea non solo di adottare raccomandazioni politiche, ma anche di applicare sanzioni laddove uno Stato membro, non adeguandosi alle raccomandazioni, possa influire negativamente sulla stabilità della “zona euro”, a causa di elevati squilibri di competitività. In questo modo, dunque, si incide sia sulla gestione della finanza pubblica, sia sulle politiche per la competitività di ciascuno Stato dell’Unione. Per la prima volta, poi, è stata introdotta la regola del voto a maggioranza qualificata invertita, in seno al Consiglio, sia per quanto riguarda le procedure di stabilità, sia per le procedure di sorveglianza. È bene ricordare che il patto di stabilità e crescita non ha mai condotto all’inflizione di sanzioni per gli Stati, poiché il Consiglio non è mai stato in grado di raggiungere la maggioranza qualificata sulle proposte sanzionatorie della Commissione. Secondo le nuove previsioni, pertanto, le proposte della Commissione volte ad applicare sanzioni possono essere approvate solo se non c’è, in seno al Consiglio, una maggioranza qualificata contraria. Tuttavia, tale regola – su insistenza dell’Italia e di altri Paesi come Spagna, Belgio e Lussemburgo – è stata attenuata, attraverso la concessione agli Stati membri della facoltà di adeguarsi, entro sei mesi dalla ricezione, alle raccomandazioni espresse dal Consiglio ECOFIN (attivato su sollecitazione della Commissione stessa) e adottare le giuste misure correttive. Solo in caso di inadempienza da parte degli Stati la Commissione può chiedere di adottare le dovute sanzioni. Ad avviso del consigliere Esposito, questa regola è, in un certo senso, significativa dell’alterazione dell’equilibrio istituzionale del nuovo quadro di governance economica.

–                  Il quarto pilastro, infine, è dato dal nuovo sistema di stabilità dell’area euro, già introdotto in via transitoria per un triennio in seguito alla crisi greca e applicato, di recente, in Irlanda e, a breve, anche in Portogallo. Dal 2013 verrà istituito un meccanismo permanente, se sarà entrata in vigore una modifica all’articolo 136 del TFUE, formalmente approvata dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 e ora all’approvazione di tutti gli Stati membri. Il nuovo sistema di governance, pertanto, contempla la possibilità di ricorrere non solo ai classici strumenti legislativi e non legislativi per regolare la materia, ma anche alle modifiche dei Trattati vigenti, mediante procedure di revisione che richiedono l’approvazione di ciascuno Stato membro, sulla base delle proprie previsioni costituzionali.

A questi quattro pilastri, bisogna ora aggiungere il c.d. patto euro-plus. Frutto di un accordo intergovernativo, il patto è stato approvato l’11 marzo scorso dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’area euro. Il Consiglio europeo si è limitato solo a prendere atto della approvazione, auspicando che, nonostante esso non sia stato adottato nell’ambito del quadro istituzionale europeo, venga comunque attuato insieme alle procedure previste per il nuovo sistema di governance, in particolare contestualmente al semestre europeo. Il patto prevede, sia pure con termini generici, che gli Stati membri si accordino annualmente su obiettivi volti a conseguire la crescita, la competitività, la stabilità finanziaria e l’occupazione, aggiuntivi a quelli previsti dal semestre europeo.

Inoltre, è stato proposto che gli Stati aderenti debbano modificare le proprie Costituzioni, o quanto meno le legislazioni, al fine di introiettare negli ordinamenti le regole del patto di stabilità e crescita. Si tratta, in poche parole, della traduzione a livello europeo della modifica costituzionale prevista nell’ordinamento tedesco, qualche anno fa, e che entrerà in vigore – in Germania – a partire dal 2016. A tali previsioni, la Francia ha già cominciato ad adeguarsi prevedendo, su iniziativa del presidente Sarkozy, una modifica dell’ordinamento costituzionale e, in Italia, il ministro Tremonti ha di recente preannunciato – in un’audizione alla Camera dei deputati – la volontà di voler fare lo stesso, mediante un disegno di legge costituzionale che modifichi l’articolo 81 Cost.

La puntuale relazione del consigliere Esposito ha, quindi, individuato le implicazioni positive e gli aspetti critici per gli ordinamenti nazionali che il nuovo sistema di governance dell’economia pone dal punto di vista costituzionale e parlamentare.

Anzitutto, è bene rilevare come il nuovo sistema incida profondamente sulla costituzione economica e materiale dell’Unione europea nel suo complesso, senza ricorrere a modifiche dei Trattati vigenti e alteri, nonostante il quadro innovativo del Trattato di Lisbona, almeno tre ordini di rapporti: i rapporti stricto sensu interistituzionali dell’Unione, vale a dire l’equilibrio fra le istituzioni dell’Unione europea; i rapporti di equilibrio fra gli Stati membri e i rapporti fra il livello europeo e il livello nazionale.
Per effetto dell’applicazione di questi nuovi strumenti, oltre al ricorso alle potenzialità contenute nel Trattato di Lisbona, si potrebbe dire che viene a crearsi il “pilastro economico dell’Unione economica e monetaria”; e la determinazione di una maggiore convergenza economica degli Stati membri rappresenta, senza dubbio, un primo aspetto positivo del nuovo sistema.

Un altro dato rilevante riguarda la natura strategica di questi strumenti, i quali suppliscono, a parere del consigliere Esposito, alla “mancanza di strategia e coerenza” di molti interventi nazionali in materia di politica economica e di bilancio. Si tratta, in nuce, di ulteriori vincoli esterni, sicuramente positivi, che in Paesi dell’area euro come l’Italia, rappresentano uno stimolo importante e necessario alla modernizzazione. Tuttavia, sul piano giuridico e costituzionale, l’individuazione di questi obiettivi esterni non può che tradursi in una cessione di sovranità.

Un terzo elemento positivo risiede, infine, nelle potenzialità di intervento che il nuovo sistema offre ai Parlamenti nazionali, in ambito della cooperazione interparlamentare che ha cominciato finalmente a funzionare, seppure con alcuni rallentamenti.

Viceversa, quali sono i rischi ad esso correlati? Sia la Camera dei deputati che il Senato della Repubblica hanno più volte denunciato la sussistenza di un forte squilibrio fra le procedure, forti e vincolanti, per la stabilità e la competitività e quelle per il coordinamento delle politiche economiche per l’occupazione e per le politiche sociali. In poche parole, se da un lato si sono resi più stringenti i parametri relativi al rispetto del vincolo del 60% del debito, dall’altro non sono stati forniti quegli strumenti necessari a rilanciare durevolmente la crescita economica e l’occupazione e a consentire una ripresa strutturale del debito.

Inoltre, per quanto attiene ai rapporti fra gli Stati membri dell’Unione, v’è il rischio che si possa determinare uno squilibrio dei rapporti politici, dal momento che il sistema finora descritto, incardinato essenzialmente sulla centralità della Commissione e del Consiglio europeo e che prevede addirittura un accordo di natura intergovernativa come il patto euro-plus, attribuisce un ruolo preponderante alla Germania e ai Paesi dell’ex-area del marco, decisi sostenitori dell’impostazione tedesca. L’elemento di distorsione, come individuato dalla Commissione Bilancio della Camera, risiede non solo nel fatto che un gruppo ristretto di Stati, in seguito all’attribuzione di una sostanziale delega politica, possa imporre i vincoli di finanza pubblica e indicare le riforme strutturali a quei Paesi più deboli come l’Italia, ma anche nella possibile marginalizzazione o estromissione di questi ultimi dalla definizione delle grandi scelte strategiche per l’Europa.

In ultima analisi, va segnalato che la modifica – per molti non necessaria – della parte terza del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea  e più precisamente dell’articolo 136, è stata imposta dalla Germania per ragioni politiche e giuridiche prettamente di natura interna al proprio ordinamento. Sul piano giuridico, la Germania ha voluto prevenire il rischio che il Bundesverfassungsgericht, richiamando alcuni obiter dicta contenuti nella famosa sentenza del Lissabon-Urteil, potesse sindacare la ulteriore cessione di sovranità implicita nella creazione di un meccanismo permanente di stabilizzazione e solidarietà per l’area euro. In questo modo si è venuto a creare, dal punto di vista della costituzione materiale, un precedente pericolosissimo, dal momento che l’istituzione del suddetto meccanismo, che giuridicamente doveva essere realizzato in base alle regole vigenti, è stata subordinata a una modifica dei Trattati fatta in funzione di ragioni di politica interna di alcuni Stati.

Per quanto riguarda, infine il ruolo e le funzioni dei Parlamenti nazionali, il dott. Esposito individua due principali livelli di criticità, connessi al nuovo sistema di governance:

–          Il primo attiene alle modalità stesse con cui questo sistema è stato costruito: tutte le decisioni adottate in riferimento alla costituzione dei quattro pilastri più uno, sono state prese essenzialmente attraverso accordi intergovernativi in seno al Consiglio ECOFIN, all’euro-gruppo, alla task-force sulla governance economica, al vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’area euro, configgendo, spesso, con le regole previste dai Trattati per quanto riguarda le prerogative e i poteri attribuiti sia al Parlamento europeo sia ai Parlamenti nazionali. Il semestre europeo, ad esempio, è frutto di una comunicazione della Commissione europea, di una decisone politica del Consiglio europeo del giugno 2010 e di una modifica al Codice di condotta sull’applicazione del patto di stabilità e crescita, adottata sotto forma di parere del Comitato di politica economica, organo consultivo del Consiglio ECOFIN. Si tratta di una serie di atti, nessuno dei quali avente carattere legislativo bensì politico-amministrativo, cui i parlamenti nazionali, come quello italiano, devono adeguarsi.  Un ruolo importante lo ha svolto la task-force sulla governance economica che ha precostituito, senza pubblicità alcuna, le decisioni ratificate dal consiglio ECOFIN.

Pertanto la volontà che è stata poi espressa in seno al Consiglio, organo  co-legislatore e co-decisore, si è formata in seno alla task-force, estromettendo sia il Parlamento europeo, sia i Parlamenti nazionali.

Il Parlamento italiano, nello svolgimento delle procedure relative allo scrutiny degli atti delle istituzioni europee, ha comunque provveduto a seguire regole di best practices, svolgendo audizioni di ministri, commissari e funzionari ed esaminando a fondo tutti i documenti relativi alle modifiche del sistema di governance. Tuttavia, il livello di incisività sul risultato finale è stato comunque minimo.

–          Il secondo fa riferimento all’attuazione concreta di questi meccanismi. Premesso che le decisioni relative al quadro economico generale, ai grandi obiettivi e alle priorità sono assunte a livello europeo dal triangolo istituzionale Commissione, Consiglio europeo e Consiglio ECOFIN, senza il coinvolgimento diretto degli Stati membri, i Parlamenti nazionali hanno una ridottissima capacità di incidenza e il loro margine di intervento sull’applicazione concreta dei meccanismi di governance è minima, nonostante siano preventivamente consultati dai rispettivi Governi per la predisposizione dei PNR e dei PSC.

In seguito ai ringraziamenti espressi dal prof. Carrozza all’indirizzo del consigliere Esposito per il suo puntuale e lucido intervento, il consigliere Clemente Forte, direttore del Servizio Bilancio presso il Senato della Repubblica, ha avuto il compito di analizzare, da un punto di vista prettamente istituzionale, in che modo l’ordinamento italiano si stia “attrezzando” per far fronte alle novità poste dal sistema di gestione delle politiche economiche e finanziarie.

Nel ripercorrere le tappe evolutive dei rapporti di contabilità e bilancio del nostro ordinamento, il consigliere Forte ha individuato tre fasi:

–          la prima coincidente, grosso modo, con la c.d. prima repubblica. Durante questa fase viene adottata la legge di contabilità n. 468 del 1978 che istituzionalizza la c.d. manovra di finanza pubblica e nel considerare i rapporti  Parlamento – Governo vi è una prevalenza del primo sul secondo, mentre all’esecutivo è riservato soltanto un potere di proposta, ex art. 81, comma 1 Cost. (“le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo” );

–          la seconda fase ha inizio con la fine della prima repubblica e l’avvio della seconda, quando si apportano modifiche alla legge elettorale e alla legge di contabilità e l’equilibrio dei rapporti fra Parlamento e Governo comincia ad alterarsi in favore di quest’ultimo: nel 1995 il Governo pone per la prima volta le assemblee legislative di fronte all’alternativa di far saltare la legislatura o approvare, attraverso il c.d. “voto in blocco”, il maxiemendamento governativo su cui era stata apposta la fiducia e contenente l’intera manovra finanziaria. Da allora, per prassi, si è sempre fatto ricorso a questo espediente per chiudere la sessione di bilancio.

–          l’ultima fase è caratterizzata dal tentativo del Parlamento di incidere maggiormente sugli aspetti sostanziali e procedimentali della manovra di bilancio. Ciò avviene soprattutto a partire dalla metà degli anni 2000 con la previsione, in via regolamentare e in via di prassi, di due importanti dispositivi:

la presentazione, insieme al maxiemendamento sulla legge finanziaria, di una relazione tecnica, ovvero di documento formale che deve accompagnare tutte le iniziative legislative del Governo presentate in Parlamento e che abbiano degli effetti di finanza pubblica, a pena di improcedibilità, come espressamente previsto all’articolo 76-bis, comma 1, del regolamento del Senato;

le condizioni di ammissibilità del maxiemendamento, in base a cui quest’ultimo non può prevedere l’introduzione di materie che non siano state preventivamente discusse dalla Commissione bilancio. In tal modo si cerca di preservare, in via di prassi, l’esame fatto in sede referente dalla Commissione e si delimita il perimetro della manovra di finanza pubblica.

Nonostante il Parlamento, con non pochi sforzi, stia cercando di riacquisire una posizione centrale nei processi decisionali di bilancio, bisogna sottolineare come a partire dal 2008, e quindi dall’inizio di questa legislatura, ci sia stato un ritorno, in un certo senso, alla situazione antecedente alla legge 468/78: una delle esigenze che portò a varare quella legge  fu la necessità di formalizzare un istituto della sessione di bilancio (ovvero la ex legge finanziaria, oggi legge di stabilità) e riservare alla sessione in questione una fase dei lavori parlamentari. Dal 2008 la manovra di finanza pubblica non viene più elaborata durante la sessione di bilancio, ma è in gran parte delineata attraverso un maxi “decreto-legge”, presentato dal Governo nella fase estiva. Durante la sessione vera e propria il Parlamento si limita a “mettere mano”, perlopiù, ad aspetti marginali e a prendere atto di quello che è stato già deciso, aggiustando ben poche cose.

Senza approfondire troppo i dettagli della disciplina, il consigliere Forte ha proseguito la sua relazione richiamando le novità contenute nella legge di contabilità n. 196/2009 e le sue recenti modifiche, da cui emerge un quadro, per così dire, ambivalente: se per alcuni aspetti il legislatore ha avvertito la necessità di conferire al Parlamento maggiori e più incisivi poteri di controllo sull’esecutivo (a titolo esemplificativo, è stata prevista la possibilità di esercitare, in alcuni ambiti, un controllo congiunto da parte di Camera e Senato, previa intesa dei Presidenti di Assemblea), per altri attribuisce e riconosce al Governo un potere decisionale piuttosto preponderante, nonostante quest’ultimo sia incaricato di numerosi e precisi obblighi informativi nei confronti del legislativo.

Da circa due anni, i tempi della sessione di bilancio si sono ridotti: il Governo presenta la legge di stabilità il 15 ottobre e le Commissioni competenti cominciano ad esaminare i provvedimenti nella camera dove sono stati presentati soltanto alla fine dello stesso mese. Il tempo totale, quindi, che il Parlamento ha a disposizione per poter intervenire e incidere sulla manovra di bilancio si è ridotto di circa un terzo (“da tre mesi lordi, si passa a due lordi”). La legge di contabilità ha, poi, previsto un “asciugamento” della legge di stabilità, per quanto riguarda le manovre relative allo sviluppo, conferendo al Governo il potere di decidere sulle politiche di sviluppo attraverso il ricorso a iniziative d’urgenza o a decreti legge collegati alla manovra di finanza pubblica.

In ultima analisi, il consigliere Forte ha posto l’accento sulla necessità di aprire il campo delle riforme dei regolamenti parlamentari al fine di adeguare le procedure parlamentari alle novità previste dalla l. 196/2009 e dalle sue successive modifiche, poiché esiste l’esigenza di regolamentare molti punti di cui si è discusso: la ricomposizione dei tempi della sessione di bilancio, le procedure di analisi in Parlamento del documento programmatico da presentare nel mese di aprile, il tema dei disegni di legge collegati e così via.

Il seminario è proseguito con l’intervento del professor Carrozza, il quale pone ai relatori due quesiti:

–          il primo – rivolto al consigliere Forte – è relativo al tipo di controllo che il Parlamento esercita di fatto sull’esecutivo e agli strumenti che possono rafforzare e rendere più penetrante, nel nostro Paese, un controllo di tipo successivo, ovvero di valutazione dei risultati. Ad avviso del professor Carrozza, in Italia si esercita maggiormente un controllo di tipo preventivo, che assolve a una funzione di indirizzo, rispetto a un controllo ex-post, ovvero di valutazione. Operare una trasformazione per passare da un controllo/indirizzo a un controllo/valutazione dei risultati è un’operazione non semplice che richiede strumenti molto raffinati e un atteggiamento diverso da quello che la nostra classe politica possiede, dal momento che in termini di rapporti maggioranza/governo, un controllo di valutazione comporta della grandi responsabilità che si traducono, eventualmente, nell’esercizio della sfiducia.

–          Il successivo – indirizzato al consigliere Esposito – richiede, apertis verbis, in che termini si verifica quella cessione di sovranità, affrontata dagli Stati membri dell’Unione nel momento in cui recepiscono la normativa europea e si adeguano ai vincoli esterni fissati dal nuovo sistema di governance economica.

La risposta del consigliere Forte al primo quesito è molto puntuale: per avere un controllo ex-post politicamente penetrante è necessario concepire, a livello istituzionale, un diverso assetto dei rapporti fra maggioranza parlamentare e Governo, apportando modifiche concrete e sostanziali anche alla legge elettorale.

In merito al secondo quesito, il consigliere Esposito precisa che, se si considera l’impatto che i grandi indirizzi strategici dell’Ue hanno sulla identificazione delle questioni da regolare e sugli strumenti da adoperare, la limitazione della sovranità è fortissima, visto che l’Unione arriva a condizionare addirittura l’agenda politica degli Stati in alcuni settori: non esistono scelte, in qualsiasi ambito politico, che non siano profondamente condizionate dall’Unione europea. Inoltre, gli effetti determinati dal nuovo sistema di governance economica potrebbero confermare, se non rafforzare, questa situazione, poiché le procedure relative agli squilibri macroeconomici e i vincoli politici fissati dal c.d. semestre europeo, se saranno accompagnati da una forte reazione dei mercati, finiranno per incidere finanche sulle politiche di sviluppo e condurranno, quindi, a una riduzione della discrezionalità del Governo in molti settori.

a cura di Antonio Bruno