Verso il Codice Antimafia

18.05.2011

Resoconto del Convegno

Roma, 14 marzo 2011

di Annalisa Avitabile

Lunedì 14 marzo si è svolto a Roma, presso la sala delle colonne di Palazzo Marini (Camera dei Deputati), il convegno “Verso il Codice Antimafia”, organizzato dalla Fondazione Rocco Chinnici, dall’Università Luiss Guido Carli e dal Centro studi Qualegiustizia. La tavola rotonda, che si è svolta nell’arco di un intero pomeriggio ed è stata articolata in tre corpose sessioni, ha visto la partecipazione di esponenti di spicco del mondo politico, scientifico, accademico e giuridico. L’iniziativa è stata frutto della volontà di favorire uno scambio di opinioni su criticità e punti di forza della legge delega al governo in materia di mafia, il “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”,varato con la legge 13 agosto 2010, n. 136 (G.U. n.196 del 23 agosto 2010). La legge, approvata con 279 voti favorevoli e un solo astenuto dal Senato in via definitiva il 3 agosto, è entrata in vigore nel settembre dello scorso anno, e contiene due importanti deleghe che dovranno essere attuate entro un anno dall’entrata in vigore: l’emanazione di un “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione” (art. 1) e l’emanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia (art. 2). Tra le disposizioni più importanti contenute nel provvedimento da segnalare vi sono le misure di contrasto alla mafia nel settore degli appalti, con l’istituzione della stazione appaltante in ambito regionale e l’imposizione della tracciabilità dei flussi finanziari, che impone ai contraenti e ai concessionari di utilizzare conti correnti dedicati alle pubbliche commesse – accesi presso le banche o Poste italiane SPA – ove appoggiare i relativi movimenti finanziari, e di effettuare i pagamenti con modalità tracciabili (bonifico bancario o postale), e ancora, il controllo degli automezzi adibiti al trasporto dei materiali, l’identificazione degli addetti nei cantieri e l’istituzione del reato per il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Il Piano straordinario contro le mafie si inserisce peraltro in un quadro più ampio di interventi predisposti dall’attuale governo contro la criminalità organizzata. Tali interventi trovano un comune denominatore nella volontà di attaccare la mafia, cosiddetta “Imprenditrice”, aggredendo gli immensi capitali da essa accumulati. L’aggressione ai patrimoni mafiosi è ritenuta infatti lo strumento più efficace di lotta alle mafie, unitamente alla prioritaria esigenza di rendere rapido ed effettivo l’utilizzo di tali patrimoni per finalità istituzionali e sociali. Tale esigenza dovrebbe trovare piena soddisfazione nell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità Organizzata (istituita con decreto-legge n. 4/2010, convertito dalla legge n. 50 del 2010), uno strumento che rappresenta un assoluto elemento di novità rispetto al passato. L’Agenzia dovrebbe infatti assicurare una migliore amministrazione dei beni sottoposti a sequestro per effetto delle nuove politiche di aggressione ai patrimoni mafiosi, e consentire la più rapida ed efficace allocazione e destinazione dei beni confiscati, devoluti al patrimonio dello Stato. Questi temi sono stati al centro del Convegno che ha visto i numerosi relatori alternarsi e analizzare, da diversi punti di vista, il quadro che emerge dalla legge delega al governo in materia di mafia. Il programma originale del convegno prevedeva una suddivisione dei diversi interventi in cinque momenti: 1. Il codice antimafia, realtà e prospettive 2. Le parti nuove e quelle mancanti del codice antimafia 3. Il punto di vista della politica 4. Il punto di vista della società civile 5. Il punto di vista della Magistrature. Per esigenze organizzative, e in seguito della defezione di alcuni relatori, gli interventi sono stati accorpati in tre sessioni: dopo gli indirizzi di saluto si è aperta così una prima parte dedicata alla analisi dello stato dell’arte nell’ambito della lotta alla mafia, seguita da una corposa parte centrale dedicata al punto di vista della politica, con l’intervento del Ministro della giustizia Angelino Alfano. I lavori si sono chiusi poi con un incisivo momento di confronto che ha visto la convergenza dei punti di vista di significativi esponenti della società civile e della magistratura. A coordinare i lavori l’Onorevole Donatella Ferranti, capogruppo del Pd presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati. L’apertura del convegno, affidata ad un breve filmato recante un’intervista a Rocco Chinnici, realizzata all’indomani dell’entrata in vigore della legge 646 del 13 settembre 1982, cd Rognoni-La Torre, ha introdotto i relatori. La legge 646, una novità assoluta per l’epoca, definiva puntualmente il reato di associazione mafiosa, qualificandone con precisione mezzi e obiettivi, ed introducendo, tra l’altro, la confisca dei beni. Nell’intervista, il giudice Chinnici sottolineava la differenza delle associazioni a delinquere di tipo mafioso dalle associazioni a delinquere semplici e la conseguente necessità di una legge che rappresentasse finalmente una presa d’atto forte. Una legge applicabile su tutto il territorio nazionale, data la pervasività del fenomeno e dei suoi comprovati collegamenti con la criminalità internazionale. Ed è con queste parole, che l’avvocato Giovanni Chinnici, figlio del giudice e coordinatore del comitato studi della Fondazione Rocco Chinnici, ha voluto sottolineare l’importanza della legislazione nella lotta alla mafia: i maggiori successi dell’attività giudiziaria contro la criminalità organizzata sono da sempre strettamente connessi ai passi avanti compiuti dal legislatore. Il problema, ha affermato l’avvocato Chinnici, è che in Italia non sempre il legislatore è riuscito ad arrivare in tempo e questo ha enormemente rallentato l’efficacia delle misure di contrasto alle mafie. Una lotta alla mafia realmente efficace non può dunque prescindere dalla legislazione, che oggi deve necessariamente tenere conto dell’evoluzione delle dinamiche mafiose. La criminalità agisce a livello nazionale e internazionale, avvalendosi di strumenti sempre più sofisticati. Sempre più diffuso è l’utilizzo delle opportunità offerte dall’informatica per i traffici mafiosi, un problema da affrontare a livello giudiziario e legislativo. Walter Veltroni, intervenuto in qualità di membro della Commissione parlamentare antimafia, ha voluto aprire la propria riflessione richiamando alcuni fatti di strettissima attualità: l’arresto in Lombardia di trentacinque sospettati membri della ‘Ndrangheta calabrese e la scoperta di infiltrazioni mafiose in vari comuni di Italia (tra gli altri, anche Bordighera, in Liguria). Tali fatti – ha asserito Veltroni – sono la prova di due tendenze preoccupanti: la portata sempre più nazionale e internazionale del fenomeno mafioso, non più limitato alle sole regioni del Mezzogiorno, ma esteso anche alle regioni del Nord del Paese, quel nord ricco e prosperoso fino a poco tempo fa considerato immune, e il suo stretto legame con il potere politico e amministrativo, in un connubio che non è nuovo, ma che non può e non deve essere sottovalutato a livello legislativo. Riprendendo le riflessioni lungimiranti del giudice Rocco Chinnici su questo argomento, e analizzando gli sviluppi attuali, Veltroni ha sottolineato come sempre più urgente sia la necessità di affrontare la dimensione “globalizzata” del fenomeno mafioso, adottando un’ottica realistica, libera dagli stereotipi e dall’iconografia tradizionale che vede il fenomeno mafioso come una questione di lupare e contadini, e che analizzi la mafia come un’organizzazione complessa, strutturata ed infiltrata nel potere politico e finanziario. Una mafia che si deve combattere non soltanto con la mobilitazione delle coscienze e con l’azione fondamentale dei magistrati, ma anche con le leggi. Se gli interventi normativi del passato sono stati fondamentali, oggi è sempre più urgente interrogarsi sulle leggi del futuro, chiedersi quali siano i provvedimenti che potrebbero effettivamente infliggere un colpo decisivo alle organizzazioni criminali. La risposta, secondo Veltroni, si scontra con la constatazione di come molte di queste manchino all’appello nel nostro ordinamento, prima tra tutte la normativa sull’autoriciclaggio, in assenza della quale andare a colpire nel cuore il fenomeno mafioso sarà impossibile. Veltroni ha poi toccato il delicato argomento del rapporto tra Mafia e politica: la criticità maggiore della normativa attuale rispetto a questo tema consisterebbe, secondo il relatore, nella mancanza di una previsione volta a sancire l’impossibilità di candidare una persona condannata per mafia o un suo familiare. Per arrivare ad un vero “sbarramento nel rapporto tra mafia e politica” Veltroni ha suggerito l’introduzione di una legge, come quella già inserita nel programma del Partito Democratico, che introduca dei divieti e delle sanzioni collegate, (ad esempio stabilendo che chi candida una persona condannata perda automaticamente il diritto al rimborso elettorale). Le conclusioni di Veltroni hanno aperto la seconda parte dell’incontro, nella quale si sono analizzati diversi profili e criticità insiti nel Codice antimafia: l’incompatibilità di determinate misure di lotta alla mafia con aspetti salienti della riforma della giustizia, l’assenza di un’attività di valutazione delle politiche antimafia, e ancora le criticità e le lacune della nuova legislazione e le loro conseguenze sull’attività dei magistrati. Antonio Balsamo, magistrato della Corte di Cassazione, ha introdotto la legge delega dipingendola come uno dei migliori esempi di collaborazione tra maggioranza e opposizione della presente legislatura e come un passo fondamentale per la lotta alla mafia. Alcune sue imperfezioni tecniche, accanto ad altri limiti derivati dall’applicazione delle disposizioni previste dalla riforma della giustizia, rischierebbero, tuttavia, di frustrare molte delle aspettative legate alla sua applicazione. Limitante potrebbe risultare in tal senso l’ipotesi di applicazione della logica del processo breve al processo al patrimonio. Un’ipotesi, secondo Balsamo, del tutto antitetica ed incompatibile rispetto alle esigenze di approfondimento e di indagine che sono indispensabili nella lotta ai fenomeni criminali. Altro elemento di criticità potrebbe risiedere poi nel fatto di alterare il rapporto tra autorità giudiziaria e polizia giudiziaria, un rapporto voluto dai costituenti e ritenuto dal relatore perno della parità tra accusa e difesa. Spunti di ispirazione sociologica sono stati offerti dal professore Antonio La Spina, ordinario di sociologia presso l’Università di Palermo e docente presso la Luiss Guido Carli, che ha spostato il focus della riflessione su aspetti tecnici riguardanti l’attuazione della legge e la sua valutazione. La corretta implementazione della legislazione antimafia non può prescindere – ha affermato La Spina – dall’applicazione degli strumenti offerti da una prospettiva complementare rispetto a quella giuridica, fino a questo momento prevalente. Occorre adottare la prospettiva delle scienze sociali, ed in particolare gli strumenti offerti dalla valutazione delle politiche pubbliche, un ambito di studi che è necessario applicare alla legislazione antimafia. Partendo dalla fondamentale separazione tra legge e politica, laddove se una legge prescrive una buona politica si prefigge degli obiettivi, per poter parlare di una politica antimafia è essenziale individuare gli obiettivi ad essa soggiacenti, gerarchizzarli e quantificarli. Questa operazione, ha argomentato La Spina, conduce all’individuazione dei cosiddetti “risultati attesi”, sui quali si potrà fondare la valutazione della politica, con il duplice scopo di comprendere se le misure adottate siano state o meno efficaci rispetto agli obiettivi prefissati, e se sia o meno necessario mettere in campo eventuali misure correttive. Altrettanto importante è l’individuazione dei mezzi appropriati al soddisfacimento degli obiettivi prefissati: le risorse economiche, organizzative e procedurali devono essere individuate e coordinate, e la scelta deve essere supportata da teorie che ne costituiscano il fondamento scientifico. Questa procedura, finora sottovalutata in quest’ambito, risulta fondamentale per il successo delle misure di lotta alla criminalità: l’individuazione di obiettivi da tradurre in risultati attesi è essenziale a maggior ragione in un settore, come quello della legislazione antimafia, che si è formato all’interno delle politiche volte a contrastare il crimine tout court ma che oggi sempre di più si va delineando come un settore di policy autonomo e trasversale, che vede la convergenza di diversi approcci (penalistico, economico, politico). Una trasversalità, ha concluso La Spina, che emerge anche dal codice antimafia, che rappresenta da un lato un riordino di strumenti affermatisi con le leggi precedenti, dall’altro uno strumento di innovazione non privo di risvolti problematici. In ogni caso lo sforzo compiuto con la legge delega è fondamentale e non può essere sottovalutato: il tentativo di passare da politiche antimafia concepite come risposte a fenomeni emergenziali a politiche proattive deve passare anche per la valutazione. Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta, ha dato seguito alla riflessione partendo proprio dalle difficoltà concrete incontrate nella propria esperienza personale. Nel proprio quotidiano corpo a corpo con la mafia, ha ammesso il procuratore, spesso il problema maggiore è il fatto di ritrovarsi ad operare con “armi spuntate”, con strumenti legislativi inadeguati. Tale inadeguatezza deriverebbe secondo il procuratore Scarpinato dalle lacune del Piano straordinario, che ignorando fattispecie cruciali come l’autoriciclaggio, costringe la magistratura ad un ruolo di supplenza rispetto all’inerzia del legislatore. Un ruolo sostitutivo ma assolutamente indemandabile vista la pervasività del fenomeno mafioso e la preoccupante diffusione delle imprese “a partecipazione mafiosa”. Altro grave problema è individuato da Scarpinato nell’obsolescenza delle norme penali in vigore in tema di confisca: l’art. 240 del codice penale fonda infatti questa fattispecie sullo statuto di causalità, che oggi risulta difficilmente applicabile. Questi ed altri deficit, secondo il procuratore, porterebbero il peso del contrasto alla mafia a scivolare sulle misure di prevenzione: le politiche di prevenzione vengono sovraccaricate di compiti impropri e risultano inefficaci. Con l’intervento del procuratore si è dato inizio alla parte centrale del dibattito, dedicata al punto di vista della politica: a confrontarsi su questi temi diversi parlamentari, in un dialogo volto anche a suggerire, come sottolineato dall’Onorevole Ferranti, anche alcuni spunti di riflessione al governo, rappresentato al tavolo del dibattito dal Ministro della giustizia Angelino Alfano. Anche in questo caso, nei diversi contributi sono stati prevalenti momenti di critica costruttiva rispetto ad un sistema ancora imperfetto di legislazione antimafia, reso inefficace da misure, quali quelle collegate alla riforma della giustizia, ritenute dall’opposizione incompatibili con i presupposti stessi del contrasto al fenomeno mafioso. Secondo Angela Napoli, membro della Commissione giustizia alla Camera e della Commissione parlamentare antimafia, la definizione di un codice antimafia efficace deve assolutamente tenere conto delle nuove dinamiche della criminalità organizzata, se si vuole evitare che la capacità della mafia di aggirare le leggi cresca a dismisura. Trincerarsi dietro i risultati, seppure lodevoli, ottenuti con azioni di tipo preventivo non è più sufficiente, ha argomentato la Napoli, laddove centrale è intervenire legislativamente, per consentire sequestri e confische effettive e in tempi brevi. Altra urgenza è individuata nel predisporre gli strumenti adeguati per la lotta alla cosiddetta “borghesia mafiosa”, la mafia dei colletti bianchi, definita dall’Onorevole Napoli come “linfa vitale”delle organizzazioni criminali. Irrinunciabile in questo campo una normativa in grado di colpire efficacemente il voto di scambio, fattispecie che rappresenta il momento di maggiore collusione tra mafia e potere politico, e rispetto alla quale l’art. 416 bis del codice penale risulta inadeguato. Altro nodo critico è rappresentato infine dalla rivisitazione della norma sullo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa: la nuova legge, secondo l’onorevole, andrebbe a peggiorare la situazione, rendendo lo scioglimento più difficile e il radicamento delle infiltrazioni mafiose più agevole, come emerso dall’esperienza del Comune di Conegliano Calabro. Sulla stessa linea Laura Garavini, capogruppo del Pd in commissione antimafia: il quadro preoccupante emerso dalla relazione della Direzione nazionale antimafia testimonierebbe come il piano straordinario antimafia sia ancora troppo lacunoso. Il codice costituisce senza dubbio, ha argomentato Garavini, un’opportunità da cogliere per colmare queste lacune e rispondere in modo adeguato, con una legislazione che sia in grado di fare fronte alla nuove forme di inquinamento mafioso e che sia una base per l’“Antimafia del giorno prima”. Idee condivise anche da Ignazio Messina, capogruppo Idv presso la Commissione Finanze della Camera, che riprendendo molte delle tematiche toccate dai relatori precedenti ha indicato una serie di priorità fondamentali per il proprio partito rispetto alla lotta alla mafia. Prima tra tutte la necessità di incidere sempre di più sulla mafia imprenditrice, che si troverebbe invece agevolata da provvedimenti come lo scudo fiscale o la possibilità di vendere i beni confiscati ai mafiosi. La ragione sociale della mafia odierna risiederebbe nell’accumulazione di profitti, ed è di questa ragione sociale che si deve tener conto per combatterla, partendo dalla creazione di quella che Messina ha indicato come “lobby trasversale della legalità”. A dare il contributo successivo è stato Andrea Orlando, responsabile del Forum giustizia del Pd. Secondo Orlando la lotta alla mafia non può essere lasciata esclusivamente alla magistratura e alle forze dell’ordine, ma deve coinvolgere l’intera società. L’idea è quella di un patto tra forze politiche e sociali nella lotta alla mafia, un patto che tenga conto dei risultati positivi raggiunti ma anche delle criticità, e che veda l’impegno in prima linea delle associazioni degli imprenditori e dei sindacati. In questo la legislazione può e deve essere un valido strumento, e la cui efficacia non può essere vanificata da provvedimenti, come lo scudo fiscale, che non fanno altro che fornire ai mafiosi nuovi modi di aggirare la legalità. Della stessa idea Lanfranco Tenaglia (esponente del Pd) che ha posto l’accento sulla necessità di mantenere il rapporto tra Pm e polizia giudiziaria, un vincolo garanzia di legalità e garanzia per l’imputato. A chiusura degli interventi dei colleghi anche l’onorevole Donatella Ferranti ha voluto fornire qualche strumento di riflessione, invitando apertamente il ministro Alfano a riflettere sui possibili risvolti negativi della riforma della giustizia, oltre che sulle conseguenze negative delle lacune della legislazione antimafia, prima tra tutte quella che investe l’autoriciclaggio. Inviti non frutto di pregiudizi o di un intento polemico, ha precisato Ferranti, ma di una volontà comune di risolvere determinati problemi. Una volontà condivisa anche dal Ministro della giustizia Angelino Alfano, intervenuto a chiusura di questa seconda parte del convegno. Il ministro, nell’accogliere gli spunti di riflessione offerti dai rappresentanti dell’opposizione ha tuttavia voluto avvertire circa i rischi derivanti da un atteggiamento, diffuso tra le file dell’opposizione, definito come “benaltrismo”: la tendenza cioè ad affermare che “ben altro”, rispetto a quanto fatto dal governo, servirebbe per parlare di vere riforme. Alfano ha voluto sottolineare l’impegno dell’esecutivo nella lotta al fenomeno mafioso, un impegno sancito già dal primo Consiglio dei ministri a Napoli nel 2008 e fondato su una chiara scelta di merito, la volontà cioè di intervenire preventivamente, approvando leggi antimafia perchè giuste e non perchè risposte emotive alle stragi di mafia. Nell’elencare alcuni dei passi avanti e delle novità introdotte dal Governo Berlusconi in quest’ambito, Alfano si è concentrato sulla figura del “manager” dei beni confiscati alla mafia, una figura considerata “di rottura” rispetto alla mentalità diffusa tra i sostenitori della Criminalità Organizzata come veicolo per uscire dalla povertà e dalla disoccupazione. Pur nella consapevolezza di una strada da percorrere ancora molto lunga, il ministro ha voluto esprimere il proprio entusiasmo rispetto ai risultati finora conseguiti, rispetto ai quali la magistratura ha avuto un ruolo fondamentale. Per quanto riguarda il codice antimafia, Alfano ha spiegato poi che il tavolo per la sua attuazione è ancora aperto: il disegno di legge ora al Senato è considerata in questo senso un’importante base di confronto, che può essere migliorata e modificata entro i prossimi due anni. D’accordo circa la possibilità eventuale di inserire in agenda il tema dell’auto riciclaggio, Alfano ha concluso il proprio intervento rivolgendosi ai parlamentari dell’opposizione presenti e sottolineando come, sebbene negli ultimi anno sulla normativa antimafia ci sia stato un altro tasso di collaborazione in Parlamento, “Il tema della giustizia continuerà a dividerci, dividerà anche in futuro destra e sinistra ma dobbiamo proseguire come in questi anni: forte polemica sui temi della legislazione sulla giustizia ma forte condivisione sulle opzioni di fondo per quanto riguarda l’antimafia’”. La terza ed ultima parte del convegno ha visto il susseguirsi degli spunti offerti da rappresentanti della società civile e del mondo della magistratura. Ad aprire questa sessione la riflessione del professore Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale presso l’università di Palermo, che ha analizzato alcuni aspetti tecnico-giuridici della normativa, evidenziando alcuni elementi di difficile interpretazione che potrebbero risultare di ostacolo rispetto ad un’attuazione della normativa piena ed efficace. Tra gli altri, un forte elemento di ambiguità è rappresentato, secondo Fiandaca, proprio dalla denominazione della legge delega, etichettata come “codice” nonostante la presenza di molteplici elementi di affinità con la fattispecie del testo unico. Il termine, ha spiegato Fiandaca, sebbene utilizzabile secondo diverse accezioni, dovrebbe in linea di principio essere riferito sempre ad interventi normativi che segnino una rottura culturale o un’innovazione. Innovazione che nella normativa in esame non apparirebbe così evidente, dal momento che prevalente è più che altro l’intenzione di garantire una riorganizzazione formale della materia. Andrea Campitoti, presidente di Avviso Pubblico, associazione di enti locali e regioni, nel ricordare come la lotta alle mafie sia uno degli obiettivi centrali dell’associazione, ha voluto sollevare alcune perplessità sugli aspetti della legislazione antimafia incidenti sulla organizzazione degli enti locali. Elementi critici in questo senso sarebbero riconducibili alle disposizioni sullo scioglimento dei comuni, rispetto al quale la normativa attuale avrebbe registrato significativi passi indietro. Ma i problemi non si limiterebbero alle leggi: lo scioglimento di un comune, ha argomentato Campitoti, rappresenta infatti un “evento traumatico per le comunità”, rispetto al quale lo stato dovrebbe intervenire investendo sui territori colpiti, incentivando gli operatori locali e dimostrando come la scelta della legalità possa essere premiata. Un passo importante in questa direzione potrebbe essere compiuto prevedendo nella legge il risarcimento dei comuni che si costituiscano parte civile nei processi contro la mafia. Altri nodi spinosi sono da individuarsi poi nella questione della gestione dei beni immobili confiscati alla mafia ed del loro riuso, nella necessità di stimolare la legislazione regionale, nell’adottare provvedimenti atti a colpire i legami tra mafia e consenso politico. Non di meno, ha concluso Campitoti, è necessario sostenere gli amministratori virtuosi che cercano di governare bene e per questo sono minacciati: la politica tutta dovrebbe unirsi attorno a queste persone assumendosi una univoca responsabilità nella lotta alla mafia. Su riflessioni di carattere più squisitamente economico si è concentrato l’intervento di Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, che ha voluto analizzare il fenomeno mafioso alla luce delle distorsioni da esso create al funzionamento del mercato: è alla luce del suo rapporto con le dinamiche di mercato che il fenomeno mafioso va analizzato oggi, ed è sempre rispetto a queste dinamiche che si deve vagliare la legislazione antimafia. Uno dei problemi maggiori dell’Italia in quest’ambito, secondo Lo Bello, è stato proprio la carenza di una salda cultura di mercato, ben radicata invece in altri paesi. Accanto all’importanza degli strumenti offerti dal diritto positivo, che vanno continuamente integrati, Lo Bello ha evidenziato poi la crescente importanza assunta nella lotta alla mafia di un diritto “vivente”, proveniente dalla società civile, che va diffondendosi e consolidandosi, andando ad integrare i risultati raggiunti dal diritto positivo. Tale diritto, che si fonda su strumenti che spaziano dai codici etici ai protocolli di legalità, va valorizzato. Sulla forza proveniente dalla società civile si è concentrato anche l’intervento di Davide Pati, rappresentante legale e responsabile del settore beni confiscati dell’associazione Libera. Secondo Pati, al di là del Codice, la priorità assoluta consiste nel dare piena attuazione ai provvedimenti antimafia varati dal 2008 ad oggi, partendo in primis dal regolamento attuativo dell’Agenzia Nazionale e dell’albo degli amministratori dei beni confiscati. Altrettanto importante è poi dare risalto ad alcune questioni che stanno a cuore ai cittadini, emerse con chiarezza nel corso degli Stati generali dell’antimafia del 2009: rendere tempestivi ed efficaci le previsioni di benefici per i collaboratori di giustizia, rafforzare la lotta al caporalato, contrapporsi ad ogni forma di discriminazione nei confronti di soggetti vittime delle mafie sono solo alcuni dei punti toccati. A chiudere i lavori i tre interventi rappresentativi del punto di vista della magistratura riguardo alla legge delega. Un’occasione per ribadire come non vada smorzata l’efficacia delle armi a disposizione della magistratura e delle forze dell’ordine, e per sottolineare che, quando si parla di riforma della Magistratura, si deve tener conto di un unico modello di magistrato, autonomo, indipendente e al servizio dello Stato nella lotta alla mafia. Comune denominatore degli interventi è stata dunque la consapevolezza dell’importanza, per un contrasto efficace alla criminalità organizzata, della figura di un Pm autonomo e indipendente, rispondente al modello attualmente delineato dal nostro ordinamento. Questa l’idea al centro dell’intervento di Antonello Ardituro, Magistrato della direzione distrettuale di Napoli, che ha affermato come l’accertamento patrimoniale attualmente previsto dalla legge delega soffra di una visione miope e parziale, in quanto limitato ad una verifica preventiva. Dopo aver constatato questi ed altri limiti insiti nella normativa, Ardituro ha sottolineato la necessità di un intervento più ampio, basato su un ripensamento dell’intera materia e fondato sulla consapevolezza che i risultati positivi raggiunti in questo campo si devono innanzitutto al modello di Pm attualmente previsto dal nostro ordinamento. Stessa linea di pensiero anche per il sostituto procuratore generale di Caltanissetta, Franca Inbergamo, che ha voluto aggiungere qualche riflessione sul processo al patrimonio. Un processo da ripensare in un’ottica integrata, che veda procedere di pari passo non solo le indagini sul bene ma anche quelle incidenti sul fattore umano, dal momento che non esiste un bene in se pericoloso, ma solo un bene la cui pericolosità sociale è collegata al soggetto criminale. In questo senso diventa fondamentale avvalersi di strumenti efficaci: intercettazioni e collaboratori di giustizia sono essenziali, sopratutto in un contesto, come quello attuale, in cui le imprese a partecipazione mafiosa sono la prevalenza, e l’attuale normativa sulle collaborazioni di giustizia si presenta inefficace e disincentivante rispetto alle scelte operate dai pentiti. Ultima ad intervenire Silvana Saguto,Presidente della sezione Misure di Prevenzione presso il Tribunale di Palermo, che ha ripreso alcuni spunti offerti dai contributi precedenti collegandoli ad alcune osservazioni conclusive di carattere tecnico tra cui l’analisi del termine di efficacia del sequestro e il problema della revoca della confisca patrimoniale. A conclusione dei lavori del convegno si è dato spazio al contributo di una studentessa della Luiss, Laureanda in giurisprudenza, che ha presentato alcuni aspetti della propria tesi di laurea sulle infiltrazioni mafiose nel basso Lazio. La tavola rotonda ha dunque offerto un quadro abbastanza composito dello stato attuale della legislazione antimafia. Se lo scopo fondamentale è stato quello di evidenziare punti critici e punti mancanti di una legge delega rispetto alla quale il Governo ha ancora un anno di tempo, è anche emersa l’idea comune che la legislazione antimafia non possa essere meramente compilativa, ma debba prendere atto del fatto che le Mafie sono sempre più finanziarizzate, investono nei patrimoni e mettono a punto strumenti operativi sempre più efficaci. L’auspicio è che le riflessioni raccolte possano costituire una base importante per approdare ad un miglioramento ulteriore rispetto ai risultati raggiunti finora e alla soluzione di alcuni nodi critici ancora aperti.

di Annalisa Avitabile