Il giorno 26 Novembre 2010, si è svolto a Roma presso il Tempio di Adriano, Piazza di Pietra, il convegno “Le ragioni della concorrenza: vent’anni di antitrust italiano”, organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi di Roma e con il patrocinio dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato. Il convegno, rientrante tra le iniziative per il ventennale della suddetta Autorità, ha avuto come oggetto l’analisi della prima legge della concorrenza italiana, approvata nell’ottobre del 1990, che ha aperto una nuova prospettiva circa il ruolo del mercato nel nostro Paese. A tal fine si è cercato di ripercorrere l’esperienza dei primi venti anni di applicazione dell’antitrust italiano e delinearne le possibili evoluzioni future, attraverso le testimonianze di alcuni dei protagonisti di questa stagione che hanno ricoperto incarichi nell’Autorità o in organismi europei (Commissione, Corte di Giustizia) e il contributo di studiosi e operatori del settore.
I lavori sono stati aperti dagli indirizzi di saluto di Roberto Einaudi, presidente della Fondazione Luigi Einaudi, che ha messo in evidenza come Einaudi fu il primo a cercare di introdurre nella Costituzione italiana l’antitrust, con un emendamento che venne però respinto e fu tra i primi che si occupò di concorrenza. Precisamente l’emendamento proposto da Einaudi riguardava l’articolo 41 della Costituzione e sanciva che “La legge non è uno strumento di formazione dei monopoli economici e dove questi esistono li sottopone a pubblico controllo”.
La prima sessione, presieduta da Domenico da Empoli ed avente ad oggetto le visioni della concorrenza e la legge antitrust italiana, ha visto coinvolti esponenti che a quel tempo, per gli incarichi ricoperti e per i loro contributi, hanno dato un sostegno importante per la formulazione della futura legge 287/1990. Si tratta di Valerio Zanone ed Adolfo Battaglia, già Ministri dell’Industria e di Guido Rossi, già senatore della Repubblica. Nella fattispecie è stato sottolineato come, sebbene la legge antitrust italiana sia stata introdotta con un ritardo di 100 anni rispetto allo Sherman Act statunitense del 1890 e di una decina di anni rispetto agli altri Paesi europei, essa non sia priva di importanti spunti innovativi e sia frutto di diverse posizioni. I relatori hanno cercato di ripercorrere le fasi che hanno portato all’approvazione della legge, partendo dal dibattito sull’introduzione di una normativa sulla concorrenza degli anni 50, dominato dalla percezione di uno stretto legame tra assetto concorrenziale dei mercati e struttura economica-finanziaria dell’economia. In tale prima fase l’introduzione di tale normativa era considerata uno strumento indispensabile per la ristrutturazione dei mercati e dei beni finanziari e come uno strumento di deconcentrazione del potere economico. La forte espansione dell’intervento pubblico portò a considerare la normativa per la concorrenza come un requisito essenziale per una politica di liberalizzazione. Successivamente si è ripercorsa l’esperienza di Valerio Zanone che nel luglio del 1986 divenne Ministro dell’Industria, significativa perché portò alla convocazione di una Commissione, presieduta dall’economista liberale e liberista Franco Romani, che si interrogasse sulla possibilità di dotare l’Italia di una normativa antitrust e che riprendesse in chiave liberale le battaglie degli Anni 50. I risultati dei lavori della Commissione, davano in sintesi una risposta positiva circa l’opportunità di introdurre la normativa, ma richiesero ulteriori approfondimenti. Questi vi furono già nel 1987, con il governo De Mita, che ebbe come Ministro dell’Industria il repubblicano Adolfo Battaglia e nel programma di governo l’esplicito obiettivo di introdurre una normativa della concorrenza. A tal fine fu istituita una seconda Commissione, presieduta sempre da Romani, che si interrogò su temi importanti quali il rapporto con la normativa europea, propendendo per la teoria della barriera unica ( la normativa nazionale doveva limitarsi ad essere complementare a quella comunitaria nei casi in cui questa non trovava applicazione, perché i comportamenti in considerazione non avevano effetti tra gli Stati membri), la necessità di introdurre un controllo delle concentrazioni, all’epoca non previsto dalla normativa europea, la scelta tra un organo amministrativo con poteri investigativi a tutela della concorrenza o viceversa un’Autorità indipendente dal governo con poteri investigativi e di aggiudicazione ed infine il rapporto con le altre Autorità. In sostanza il progetto normativo frutto del lavoro della Commissione conteneva molti degli elementi della futura legge antitrust. Importanti, seppur di diversa natura furono gli spunti forniti dal disegno di legge di Rossi, del 1988 che guardava alla normativa come strumento per il controllo del potere economico della grande impresa, richiedeva un controllo obbligatorio delle concentrazioni e proponeva una Commissione con poteri inquirenti e sanzionatori, nominata dal governo, seppur all’interno di requisiti stringenti, e sottoposta alla decisione finale affidata alla magistratura ordinaria.
Infine sono stati analizzati gli sviluppi parlamentari che hanno condotto alla legge antitrust italiana, fortemente ancorata alla normativa comunitaria, frutto di una sintesi tra posizioni diverse, trovata grazie ad un dialogo costruttivo tra governo e parlamento ed all’apertura all’opinione pubblica (infatti i contributi delle due Commissioni Romani portarono ad un testo governativo, aperto poi al confronto sia del testo in parte diverso di Guido Rossi sia dell’opinione pubblica).
La seconda sessione è stata dedicata all’applicazione della legge antitrust nell’arco di tempo che va dal 1990 al 2010 ed è stata presieduta da Maurizio Sella con relatori Alberto Pera, Giuliano Amato, Giuseppe Tesauro e Luigi Fiorentino.
Alberto Pera ha avuto il compito di analizzare gli anni della fondazione (1990-1994). Dopo aver fatto riferimento ad alcuni elementi che hanno caratterizzato l’applicazione della legge, quali la percezione che l’iniziativa economica fosse condizionata dall’intervento pubblico, il problema dell’indipendenza ed in particolare il contrasto tra l’approccio giurisdizionale e l’opposto approccio amministrativo, le problematiche poste dal sistema politico-partitico come elemento “nemico” della concorrenza e l’interpretazione restrittiva delle norme di deroga alla concorrenza (si pensi all’articolo 8 della L.287/90), ha sintetizzato quelli che a suo parere sono risultati gli ingredienti di successo dell’Autorità. Essi sono, nella fattispecie, la capacità di porsi come un organismo indipendente; una struttura organizzativa efficiente unita a stringenti requisiti per l’accesso ed al riferimento alla contrattualistica della Banca d’Italia, da considerarsi non solo un riferimento puramente economico ma come un riferimento ad un’Autorità eccellente; una chiara percezione dei fini, identificabili nella tutela della concorrenza ed infine l’utilizzo del criterio oggetto-effetto relativo alla condotta sotto esame, applicato in maniera molto restrittiva.
Giuliano Amato, già Presidente dell’AGCM, si è soffermato sulla fase di consolidamento (1994-1997). Egli ha individuato come caratteri fondamentali la protezione della concorrenzialità intesa come bene pubblico e la protezione affidata ad un’Autorità indipendente. Ha ricordato la sua battaglia affinché non fosse adottata la nozione di Autorità amministrativa, convinto che essa non dovesse essere sottoposta all’indirizzo del governo e a tal proposito ha ricordato come il livello di indipendenza dell’antitrust era superiore rispetto ad altre Autorità europee, in particolare Francia e Germania, dove alcune decisioni venivano prese dal Ministro. Altro aspetto innovativo è l’applicazione di un codice etico non solo per i componenti, ma per tutto il personale dell’Autorità. Tendenza parzialmente negativa è da rinvenirsi, invece, nella propensione eccessiva dell’Autorità nel considerare tutti i possessori di reti essential facilities, quando sarebbe stato preferibile creare una spinta alla duplicazione della rete piuttosto che attaccare tutti sulla stessa rete.
Luigi Fiorentino, attuale Segretario generale dell’AGCM, ha analizzato il tema della concorrenza e del consumatore nel periodo 2005-2010, individuando il filo conduttore di questo periodo, da un lato nel riconoscimento della centralità del consumatore, dall’altro nella valorizzazione del dialogo sulla concorrenza e con le istituzioni e le imprese. Nel 2007 è avvenuta l’attribuzione all’AGCM di deleghe in materia di pratiche commerciali scorrette, in attuazione della direttiva 2005/29 CE. Ma il Segretario generale mette bene in evidenza come il legame tra il diritto antitrust strettamente inteso e la tutela del consumatore sia rinvenibile nello stesso dettato della legge 287/90 e che in precedenza riferimenti al consumatore ricorrano anche nel Trattato di Roma. A supporto di ciò vengono portate una serie di puntuali argomentazioni come il fatto che la Commissione, nel valutare le pratiche anticompetitive, focalizza l’enforcement sulle violazioni più dannose per i consumatori; che lo stesso Joaquim Almunia ha affermato che le Autorità pubbliche in questo particolare momento di crisi economica debbano difendere gli interessi del consumatore; che la Suprema Corte ha posto la legge antitrust a tutela degli interessi non solo delle imprese ma di “tutti i soggetti del mercato”, consumatori compresi (Cass., SS.UU., n. 2207/2005); che anche il giudice amministrativo, seppure con maggiore prudenza, comincia a considerare l’interesse del consumatore come parametro cui fare ricorso nei vari istituti. Tutto ciò a dimostrazione della tesi che il sistema di tutele ( tutela della concorrenza e tutela del consumatore) sia in realtà un “sistema integrato e unitario”, caratterizzato da un continuo dialogo e con competenze affidate alla stessa Autorità sulla base di solide motivazioni. Il fenomeno sopra descritto è definito come una vera e propria “osmosi tra tutela della concorrenza e tutela del consumatore” e trova chiara evidenza nei mercati dell’energia, delle telecomunicazioni, dei mercati finanziari e bancari-assicurativi. I consumatori sono i veri destinatari delle regole di concorrenza e deve essere garantita loro la possibilità di divenire parti attive.
Per quel che concerne il dialogo con le imprese, gli interventi messi in atto degni di menzione sono la procedura delle cosiddette “prenotifiche” delle operazioni di concentrazione tra imprese che si concreta in un’attività di assistenza gratuita alle imprese da parte degli uffici dell’Autorità nel fornire i chiarimenti necessari alla compilazione dei formulari; l’istituto degli impegni (2006), che possono essere resi obbligatori qualora l’Autorità li ritenga idonei a risolvere la problematica concorrenziale riscontrata in avvio e realizzabili solo a determinate condizioni; i programmi di clemenza (leniency programme), anch’essi disciplinati nel 2006, che prevedono l’immunità totale o parziale dalla sanzione amministrativa per l’impresa che autodenunci la propria adesione ad un cartello segreto e fornisca indicazioni per il reperimento delle relative prove; le misure cautelari, ossia misure d’urgenza che permettano all’Autorità di intervenire in maniera tempestiva ad impedire il prodursi di effetti di condotte anticoncorrenziali a danno dei consumatori o quantomeno a limitarne la portata. Tutti i suddetti strumenti hanno in comune la logica del problem solving nel senso di ripristinare il buon funzionamento del mercato.
L’Autorità ha altresì ottenuto, con la legge 262/2005 nuove competenze bancarie, in particolare in materia di concentrazioni ( a titolo esemplificativo la cessione di sportelli, la riduzione dei legami azionari, il superamento di conflitti di ruoli e doppi incarichi da parte di soggetti presenti nella governance di più imprese concorrenti) .
Quanto al rapporto con le istituzioni, vanno segnalati anche in questo ambito numerosi interventi posti in essere quali la crescente importanza dell’attività di segnalazione e consultiva nelle politiche di concorrenza e consumeristiche; l’istituzione nel 2009 della legge annuale della concorrenza e del mercato, con la quale il governo potrà tradurre in proposte normative i suggerimenti formulati dall’Autorità; un più intenso dialogo con le amministrazioni locali; la procedura ex art. 23 bis del d.l. 112/2008 (convertito in legge 133/2008) che richiede un parere dell’Autorità qualora un Ente locale intenda procedere ad un affidamento diretto in deroga alle procedure di evidenza pubblica.
L’intervento si conclude con la consapevolezza che questo periodo di crisi abbia dimostrato che le politiche di concorrenza non siano fine a se stesse ma al contrario strumenti funzionali al buon andamento dei mercati ed alla tutela dei consumatori. Di qui l’invito di Fiorentino a prendere atto che se è vero che tramite le regole di concorrenza si tutelano anche i consumatori, è altresì vero che la situazione attuale impone la presa di coscienza del fatto che attraverso la tutela dei consumatori si promuova la concorrenza.
Successivamente interviene Giuseppe Tesauro sul tema dell’ispirazione comunitaria nel periodo 1998-2005. Dopo aver testimoniato la sua esperienza in ambito comunitario, dove l’Autorità per la concorrenza era vista in maniera molto positiva, egli annovera tra i punti di forza dell’Autorità una sinergia presente tra giuristi ed economisti. Considera una fortuna per l’Italia l’aver ripreso quasi alla lettera le norme comunitarie e l’aver sviluppato meccanismi interpretazione conforme come quello sancito dall’art. 1, comma 4, della L. 287/1990, ma sottolinea come questo non abbia significato mai un appiattimento alle dinamiche comunitarie. Ciò lo porta a definire la materia della concorrenza come emblematica della sinergia tra diritto nazionale e diritto comunitario.
A seguire vi è stata una discussione generale tra Aurelio Pappalardo e Mario Siragusa. Il primo ha concentrato la sua attenzione su tre punti vale a dire 1) il fatto che l’antitrust abbia bisogno di un contesto che le permetta di svolgere il suo ruolo. A titolo esemplificativo cita una disciplina legislativa che favorisca il mercato e che fa difetto; 2) il fatto che in generale non vi sia un grande sostegno alla concorrenza; 3) il fatto che vi sia stato, a livello comunitario un certo “declassamento” dei valori della concorrenza, riferendosi al fatto che il riferimento alla concorrenza, prima parte integrante del Trattato, sia ora rinvenibile in un protocollo (precisamente il protocollo sul mercato interno e la concorrenza, che prevede che “le parti contraenti, considerando che il mercato interno ai sensi dell’articolo 2 del trattato sull’Unione europea comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata, hanno convenuto che a tal fine l’Unione adotta, se necessario, misure in base alle disposizioni dei trattati, compreso in base all’articolo 308 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il presente protocollo è allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato sul funzionamento dell’Unione europea”). Il secondo ha sottolineato come se è vero che gli sviluppi normativi comunitari abbiano influenzato e rappresentato un modello per la normativa nazionale, è altresì vero che vi sia stata anche una forte spinta interna. Secondo il relatore ciò è testimoniato dal fatto che l’Autorità ha migliorato alcuni aspetti rispetto al quadro comunitario prevedendo meccanismi importanti come la comunicazione di avvio della procedura; una forte sensibilità al due process e all’accesso (in ambito comunitario si accede al fascicolo solo dopo la lettera degli addebiti); una data certa di chiusura del procedimento (non presente in ambito comunitario); la verbalizzazione di tutte le riunioni che sono inserite nel fascicolo; le audizioni finali di fronte al Collegio; un forte spirito di collaborazione improntato alla trasparenza tra avvocati e funzionari antitrust ed infine l’importanza data al precedente comunitario e il suo rispetto che ha avuto come effetto quello di rendere la norma più prevedibile e di fornire importanti indicazioni alle imprese. Inoltre l’Autorità ha saputo innovare i procedimenti, basti pensare ai tentativi di introdurre l’ istituto degli impegni, avvenuti in anticipo rispetto alla sede comunitaria. Siragusa si sofferma poi anche sulle possibili critiche nei confronti dell’Autorità sintetizzabili nel forse eccessivo entusiasmo nel ruolo da dare al benessere del consumatore che potrebbe condizionare l’applicazione del diritto antitrust “puro”; la duplicazione di procedimenti di più Autorità; un eccessivo ricorso allo strumento degli impegni ed una debole politica sanzionatoria.
La terza sessione, presieduta da Antonio Tizzano è stata dedicata alle prospettive dell’antitrust italiano, con relatori Mario Monti, Sabino Cassese e Berardino Limonati. Tizzano, nell’introdurre i lavori ha ricordato l’elevato grado di decentralizzazione del diritto antitrust europeo che è stato raggiunto, seppur sotto il controllo della Commissione e della Corte di Giustizia ed il rilievo crescente della tutela dei diritti fondamentali nelle procedure di concorrenza, basti pensare ai diritti di difesa. Il primo a prendere la parola è stato Mario Monti, già Commissario europeo alla concorrenza, che ha ricordato come la Scuola ordoliberale di Friburgo sia stato l’antecedente di Einaudi in materia di concorrenza. Il Bundeskartellamt, infatti, nacque nello stesso momento della Commissione e fu la prima Autorità tra i sei Paesi fondatori grazie all’influsso dell’Economia Sociale di Mercato, di cui la concorrenza costituisce una componente essenziale. Il suo intervento ha fatto riferimento al processo di modernizzazione, introdotto dal Regolamento 1/2003, ai tentativi della Commissione di spingere in sede WTO per creare una sezione globale della concorrenza, tentativi poi confluiti nell’ICN ed infine all’ECN, che sembra ben funzionare. Monti considera la legge annuale per la concorrenza ed il mercato una buona occasione per dare maggiore effettività alle segnalazioni e pone enfasi sul ruolo dell’opinione pubblica, arrivando a dire che la prospettiva dell’Autorità dipenderà dall’opinione pubblica e dal quadro culturale che può favorire o viceversa ostacolare l’affermazione della concorrenza. Dal punto di vista procedurale, infine, ritiene non condivisibile e da rivedere la richiesta di una maggioranza dei 2/3 per l’approvazione delle concentrazioni comunitarie.
Segue l’intervento di Sabino Cassese che nel ripercorrere brevemente le fasi della nascita dell’Autorità, parla di un “esordio felice”. Individua poi sei caratteristiche ricorrenti delle Autorità indipendenti in Italia:
– l’affermazione in aree dominate dal diritto europeo che prevale su quello nazionale dando luogo a fenomeni di erosione e disaggregazione dello Stato;
– il fatto che siano nate come corpi monofunzionali;
– la sottrazione all’influenza diretta del governo;
– il fatto che siano predisposti collegi per assicurare decisioni ponderate, uscendo quindi dal normale modello amministrativo di tipo monocratico;
– l’utilizzo di procedure di partecipazione quali l’obbligo di informare, di ascoltare e motivare, tra loro strettamente connessi e che simulano il processo giudiziario;
– infine, lo svolgimento di funzioni di regolazione o di aggiudicazione, non comunque redistributive.
A parere di Cassese, al decennio felice è seguito quello dell’erosione, testimoniato da un ritorno aggressivo della politica, da un controllo forte delle Corti sulle Autorità che non ha tenuto conto delle loro peculiarità, da una perdita dei fini delle Autorità stesse e da una lenta progressione di carriera del personale. Il relatore si concentra altresì sulle nuove tensioni che hanno seguito le contraddizioni del passato, individuabili nell’ancoraggio europeo che ha declassato le Autorità nazionali a “terminale operativo” di quelle sovranazionali; nella crisi economica, che ha spostato molte decisioni fuori dall’ambito nazionale, richiedendo un intervento della politica ed infine nella competizione innescatasi tra le Autorità, per la difesa di competenze o per l’acquisizione di compiti nelle zone di confine, oppure per la spartizione di risorse. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, Cassese si definisce moderatamente ottimista circa il futuro delle Autorità.
La terza sessione si è conclusa con l’intervento di Berardino Limonati che ha svolto importanti considerazioni circa i rapporti e le intersezioni tra antitrust, libertà di iniziativa e diritto privato.
La quarta ed ultima sessione dedicata agli effetti ed alle prospettive dell’antitrust italiano, è stata presieduta da Pierluigi Ciocca ed ha previsto brevi interventi dei seguenti relatori: Fabio Cerchiai, Simone Mori, Guidalberto Guidi, Francesco Gianni, Alessandro Penati, Stefano Micossi e Giovanni Sabatini. Ogni relatore ha condotto un bilancio derivante dall’esperienza del proprio settore di attività e i risultati degli interventi hanno sancito il riconoscimento dell’aumento del grado di concorrenza durante il ventennio di attività dell’Autorità, seppur in un quadro non uniforme, un processo di liberalizzazione inteso non solo come obiettivo ma come strumento per ottenere maggiore competitività che ha raggiunto grande profondità e successo, specialmente in alcuni settori (basti pensare a quello energetico) e una prassi di confronto positivo ed intelligente tra Autorità e imprese.
Le conclusioni sono state affidate ad Antonio Catricalà, attuale Presidente dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Il presidente ha sostenuto come la storia di un’istituzione debba essere la somma delle azioni positive dell’istituzione stessa e che la visione sociale, politica ed etica condizioni l’Autorità. Nonostante il ventennio sia stato caratterizzato da un’economia fortemente malata di “protagonismo statalista” e da una profonda crisi delle istituzioni politiche, dovuta anche alla corruzione, Catricalà ha rivendicato il merito dell’Autorità di aver mantenuto la credibilità, non da ultimo nella difficile fase di crisi economica-finanziaria. Nelle competenze dell’antitrust rientrano la distribuzione dei diritti nel mercato ma anche la tutela del consumatore, che compare nella legge istitutiva ma anche nella Costituzione, dove nella nozione di persona può a buon diritto essere ricompressa anche quella di consumatore. L’intervento si conclude con la consapevolezza che la “competizione sia non solo un principio economico, ma anche etico”.