Corte costituzionale, 21 giugno 2010, n. 226 – Sulla legittimità costituzionale delle cd. “ronde”

11.05.2010

Corte costituzionale, 21 giugno 2010, n. 226

Giudizi di legittimità costituzionale in via principale, promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria avverso lo Stato

Norme impugnate e parametri di riferimento:

Sono impugnati i commi 40, 41 e 42 dell’art. 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui prevedono che i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale. I commi 41 e 42 disciplinano le modalità di iscrizione delle associazioni di volontari in un apposito elenco e i criteri per la costituzione e il funzionamento delle associazioni medesime.

Secondo le ricorrenti, le disposizioni violate sarebbero lesive della competenza esclusiva regionale in materia di polizia amministrativa locale espressamente prevista dall’art. 117, co. 2, lett. h), nonché del principio di leale collaborazione.

Argomentazioni della Corte:

Il giudizio della Corte è limitato ad una verifica della conformità delle disposizioni impugnate con le competenze legislative regionali, con specifico riferimento alla spettanza del potere di stabilire le condizioni alle quali i Comuni possono avvalersi della collaborazione di associazioni di privati per il controllo del territorio.

In particolare, la Corte si sofferma sulla nozione di “sicurezza pubblica”, alla quale espressamente il legislatore statale riconduce l’attività delle associazioni di volontari. Per consolidata giurisprudenza della Corte, la nozione di sicurezza pubblica va intesa in senso restrittivo, avuto riguardo cioiè solo all’attività di prevenzione e repressione dei reati. L’intera disciplina dettata dalle norme impugnate si presenta coerente con una lettura del concetto di sicurezza urbana di siffatto tenore. In questo ambito, appare legittimo l’affidamento ad associazioni di volontari di compiti di mera osservazione e segnalazione, posto che il codice penale riconosce a ciascun privato cittadino la facoltà di denunciare i reati, perseguibili d’ufficio, di cui venga a conoscenza.

Ad un diverso giudizio giunge la Corte in riferimento all’espressione “situazioni di disagio sociale” utilizzata dal legislatore per circoscrivere l’attività delle associazioni di volontari. In questo caso, risulta impraticabile una lettura conforme al dettato costituzionale, trattandosi di una formula che inevitabilmente incide sulla materia “servizi sociali”, di competenza residuale delle Regioni. Il riferimento alle “situazioni di disagio sociale” appare conseguentemente spurio ed eccentrico, ma tale circostanza rende la disciplina complementare delle disposizioni impugnate non incompatibile con i parametri costituzionali evocati.

Decisione della Corte:

La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 40 della legge n. 94 del 2009, limitatamente alle parole: “ovvero situazioni di disagio sociale”.

Giurisprudenza richiamata:

–          Sulla nozione di sicurezza urbana: Corte cost., sent. n. 196 del 2009;

Sull’interpretazione restrittiva della materia “ordine pubblico e sicurezza”: Corte cost., sentt. nn. 428 del 2004, 95 e 383 del 2005, 222 e 237 del 2006, 129 del 2009.

Elena Griglio