Corte costituzionale, 9 giugno 2010, n. 214
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale sollevato dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia avverso la Regione Puglia
Norme impugnate e parametri di riferimento.
E’ impugnato l’art. 5, comma 4, della legge della Regione Puglia 20 dicembre 1973, n. 26, come modificato dall’art. 1 della legge della Regione Puglia 30 settembre 1986, n. 28. La disposizione impugnata prevede che una modifica territoriale effetto di premuta e/o di cessione di terreni fra comuni confinanti, che siano tra loro d’accordo e che abbiano regolato d’intesa tra loro i rapporti patrimoniali ed economico-finanziari, possa intervenire mediante decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale.
Secondo il giudice rimettente, la disposizione impugnata costituirebbe una deroga all’art. 133 Cost.
Argomentazioni della Corte:
La norma impugnata introduce un procedimento semplificato per la modifica delle circoscrizioni comunali nella Regione Puglia, limitatamente al caso in cui essa derivi da permuta e/o da cessione di terreni voluta dalle due amministrazioni comunali confinanti. A detta della Corta, la formulazione letterale della disposizione rende evidente che la modifica delle circoscrizioni può essere realizzata anche in assenza dei requisiti richiesti dall’art. 133, secondo comma Cost., ovvero la legge regionale ed il referendum consultivo.
Una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ha tuttavia chiaramente indicato come obbligatorio il procedere mediante referendum nelle ipotesi di cui all’art. 133 Cost., in quanto l’istituto referendario garantisce l’esigenza partecipativa delle popolazioni interessate; l’obbligo sussiste anche per la mera modificazione delle circoscrizioni comunali, sicché il legislatore regionale dispone solo del potere di disciplinare il procedimento per la variazione delle circoscrizioni, fissando gli eventuali criteri per l’individuazione delle popolazioni interessate al referendum.
La Regione Puglia ha previsto in entrambi i testi statutari adottati una disciplina per l’istituzione e per i mutamenti di circoscrizioni e denominazioni dei comuni conforme al dettato costituzionale, che prevede l’adozione di una legge regionale, previa consultazione referendaria. Invece nella propria legislazione ordinaria, a partire dal 1986, la Regione ha escluso sia la necessità dell’apposita legge regionale, sia la previa consultazione con le popolazioni interessate.
Decisione della Corte:
La Corte dichiara incostituzionale la disposizione impugnata. La dichiarazione di incostituzionalità è inoltre estesa all’art. 21, comma 4, lett. f) della l.r. n. 27/1973, limitatamente alle parole «quando manca l’accordo dei Comuni interessati», posto che tale previsione fa corpo con la norma impugnata, producendo unitamente ad essa, quanto alle parole colpite dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, l’effetto di escludere il referendum. Parimenti incostituzionale in via consequenziale è stato giudicato l’art. 5, comma 2, della legge regionale n. 26 del 1973, limitatamente alle parole «In caso di accordo tra i comuni interessati si prescinde dalla consultazione popolare.», aggiunte dall’art. 4 della legge regionale n. 6 del 2010.
Giurisprudenza richiamata:
– Sull’obbligatorietà dell’istituto referendario nelle ipotesi di cui all’art. 133 Cost.: Corte cost., sentt nn. 204 del 1981, 107 del 1983, 279 del 1994 e 433 del 1995;
– Sull’autonomia riconosciuta alle Regioni nella disciplina del procedimento per la modifica delle circoscrizioni dei Comuni: Corte cost., sent. n. 94 del 2000.