Giudizi di legittimità costituzionale sollevati in via incidentale dal Tribunale di Roma, dal Tribunale di Milano, dal Tribunale di Lamezia Terme, dal Tribunale di Ancona, dal Tribunale di Taranto, dal Tribunale di Oristano, dalla Corte di Appello di L’Aquila e dal Tribunale di Ancona
Norme impugnate e parametri di riferimento:
I giudizi rimettenti hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 218, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nella misura in cui – a titolo di interpretazione autentica – precisa che il personale degli Enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento. Tale interpretazione constrasterebbe con il principio generale per cui lo stesso personale doveva essere assimilato al personale ATA statale, attraverso il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, dell’anzianità maturata presso l’ente di provenienza, innovando con efficacia retroattiva la disciplina di settore, nonché determinando, nella categoria del personale ATA, la coesistenza, pur a parità di mansioni e di anzianità, di tre diversi regimi giuridici (i lavoratori ATA, provenienti dagli Enti locali; i lavoratori ATA inseriti fin dall’origine del loro rapporto di impiego nei ruoli dell’amministrazione dello Stato; i lavoratori inseriti nell’ambito dello stesso comparto di contrattazione collettiva), con evidente ed illegittima disparità di trattamento. Nel complesso, sarebbero violati gli articoli 3, 24, 36, 42, 97, 101, 102, 103, 104 e 113 della Costituzione, i principi del diritto comune del lavoro, di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche.
Argomentazioni della Corte:
La Corte osserva preliminarmente che l’inquadramento stipendiale nei ruoli statali del personale ATA in ragione del cosiddetto maturato economico e non della effettiva anzianità complessiva di servizio conseguita presso l’Ente locale ha costituito una delle possibili varianti di lettura della norma, avallata, tra l’altro, in sede di accordo siglato in data 20 luglio 2000 tra l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e i rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni dei dipendenti. Conseguentemente, deve ritenersi ragionevole il ricorso da parte del legislatore alla interpretazione autentica effettuata con la disposizione impugnata. Alle medesime conclusioni sotto il profilo della ragionevolezza si dovrebbe giungere anche a voler escludere il carattere interpretativo della disposizione censurata e a volerne ammettere quello innovativo, ma con efficacia retroattiva.
Neanche potrebbero ritenersi lesi i principi comuni del diritto del lavoro, giacché il fluire del tempo – il quale costituisce un elemento diversificatore che consente di trattare in modo differenziato le stesse categorie di soggetti – non comporta, di per sé, una lesione del principio di parità di trattamento sancito dall’art. 3 della Costituzione e, per altro verso, non considera la specificità propria della disciplina normativa dei due comparti di contrattazione collettiva (rappresentati, rispettivamente, da quello della scuola e da quello degli Enti locali), nei quali un diverso ruolo svolge l’anzianità di servizio maturata da ciascun dipendente.
In realtà, l’interpretazione dettata dalla disposizione censurata nasce dall’esigenza di armonizzare, con una normativa transitoria di primo inquadramento, il passaggio del personale in questione da un sistema retributivo disciplinato a regime ad un altro sistema retributivo ugualmente disciplinato a regime, salvaguardando i livelli retributivi maturati allo scopo di rendere, almeno tendenzialmente, omogeneo il sistema retributivo di tutti i dipendenti ATA, al di là delle rispettive provenienze. Senza peraltro dimenticare che il passaggio da un sistema ad un altro di progressione economica del pubblico impiego, in quanto importa una riduzione ad omogeneità di elementi per se stessi non omogenei, implica una scelta di coefficienti da operare sulla base di numerose variabili, ivi comprese le disponibilità finanziarie, e quindi con ampia discrezionalità.
Decisione della Corte:
Poiché l’efficacia retroattiva della disposizione censurata dai rimettenti deve ritenersi ragionevole e non lesiva degli altri principi costituzionali evocati, la Corte giudica le questioni di legittimità costituzionale non fondate, in riferimento a tutti i parametri dedotti dai rimettenti.
Giurisprudenza richiamata:
– Sull’impossibilità di elevare a dignità costituzionale – salva per la materia penale la previsione dell’art. 25 Cost. – il divieto di retroattività della legge: Corte costituzionale, sent. n. 274 del 2006;
– Sulla ragionevolezza delle leggi di interpretazione autentica: Corte costituzionale, sentt. nn. 39, 135 e 274 del 2006;
– Sulla specificità propria della disciplina normativa dei due comparti di contrattazione collettiva rappresentati, rispettivamente, da quello della scuola e da quello degli Enti locali: Corte costituzionale, sent. n. 276 del 2005 e ord. n. 190 del 2003;
– Sull’istituto del maturato economico: Corte costituzionale, sentt. n. 296 del 1984, n. 618 del 1987, n. 624 del 1988, n. 219 del 1998, n. 430 del 2004;
Sulla discrezionalità ammessa, anche alla luce delle disponibilità finanziarie, nella disciplina del passaggio da un sistema ad un altro di progressione economica del pubblico impiego: Corte costituzionale, sent. n., 219 del 1998.