Il conferimento delle funzioni amministrative agli enti locali nelle leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112/98: spunti ricostruttivi

05.12.2002

Introduzione al Rapporto sull’attuazione regionale del d.lgs 112 del 1998 che il Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” della Luiss Guido Carli ha curato, nel febbraio del 2001, per il Servizio Studi della Camera dei Deputati, nel quadro delle attività di monitoraggio dell’attuazione delle riforme amministrative svolte dalla Commissione parlamentare prevista dall’art. 5 della l. 59 del 1997.

Portata e limiti del processo di attuazione regionale del d.lgs. 112

Il processo di attuazione regionale del d.lgs. 112 del 1998, che ha visto per la prima volta le regioni coinvolte a pieno titolo nella definizione delle scelte in ordine alla ripartizione delle funzioni amministrative conferite dallo Stato alle autonomie territoriali, può ritenersi in buona misura compiuto, anche se permangono tuttora lacune di particolare rilievo che rischiano di ridurre significativamente la portata complessiva del nuovo assetto delle competenze perseguito con il c.d. terzo decentramento.
Due regioni (Calabria e Campania), sulle quindici (ordinarie) chiamate a dare immediata attuazione ai conferimenti previsti dal d.lgs. 112, risultano infatti ancora inadempienti e, pertanto, sostituite dal Governo con il d.lgs. 96/99. Carenze, anche di un certo rilievo, sono inoltre riscontrabili anche nelle leggi di attuazione adottate dalle regioni che hanno assolto al ruolo loro riconosciuto dalla l. 59 del 1997, con la conseguenza di un ulteriore indebolimento dell’intero processo devolutivo.
Nel suo insieme, tuttavia, il quadro che emerge dall’analisi della legislazione regionale di attuazione del d.lgs. 112 presenta indubbi profili di particolare interesse.
Innanzitutto, e prescindendo per il momento da ogni valutazione in merito alle soluzioni adottate dai legislatori regionali, deve infatti rilevarsi come la scelta di affidare alle regioni -seppur limitatamente alle materie di cui all’art. 117 Cost.- il compito di procedere alla ripartizione delle funzioni amministrative conferite dallo Stato, abbia innescato un processo attuativo fortemente innovativo, con caratteristiche proprie non riscontrabili in altri momenti dell’esperienza regionale, né tantomeno rinvenibili con riferimento specifico alle prime due fasi di trasferimento delle funzioni statali alle regioni degli anni settanta.
Le regioni si sono trovate, così, come non era mai avvenuto in precedenza, ad intervenire contestualmente (“stimolate” anche dalla previsione del potere sostitutivo del Governo) e organicamente nell’opera di redistribuzione delle competenze amministrative che lo Stato ha conferito a favore dei sistemi regionali delle autonomie.
La novità dell’esperienza di attuazione del d.lgs. 112, in effetti, risalta maggiormente se la si compara con quanto realizzato in passato dalle regioni. Ciò vale sicuramente nei confronti della legislazione di delega che ha accompagnato l’avvio e il consolidamento degli ordinamenti regionali, il cui dato di sintesi sembra per lo più caratterizzato dalla scarsa propensione alla devoluzione di funzioni a comuni e province, nonché dalla ridotta organicità degli assetti delle competenze locali così definiti. Non diversamente sembra si debba argomentare anche con riferimento alla prima (ma lunga) fase di (in)attuazione dell’art. 3 della l. 142 del 1990 -in base al quale alle regioni è riconosciuto un primario ruolo di redistribuzione delle funzioni amministrative agli enti locali in vista del completamento della dotazione funzionale dei “nuovi” comuni e delle “nuove” province-, anch’essa non di rado caratterizzatasi per una assai limitata propensione dei legislatori regionali a ridefinire gli ambiti della competenza dell’amministrazione regionale a favore degli enti locali.

L’attuazione del d.lgs. 112 e l’assetto complessivo delle funzioni locali

La lettura delle leggi regionali attuative del d.lgs. 112 sembra peraltro testimoniare, pur nella diversità delle realtà territoriali, come il ruolo affidato alle regioni dalla l. 59 abbia finito col riproporre l’esigenza di una riconsiderazione più ampia degli assetti della competenza amministrativa di regioni ed enti locali, ben al di là del pur necessario riparto delle funzioni da ultimo conferite dallo Stato al sistema delle autonomie.
Tale esigenza di fondo, volta a configurare un assetto delle funzioni amministrative più coerentemente ispirato al principio autonomistico sancito dalla Costituzione, è rinvenibile, seppur in misura non eguale, nelle varie leggi regionali, ma si traduce in soluzioni normative profondamente differenti a seconda dei contesti ordinamentali di riferimento.
A ciò contribuisce, ovviamente, il dato di partenza proprio di ogni realtà regionale, connotato fortemente dal livello di attuazione dell’art. 3 della l. 142 o, comunque, dal grado di decentramento (anche a carattere settoriale) delle funzioni amministrative riscontrabile in ciascuna regione.
In ogni caso, e tenuto conto delle peculiarità degli ordinamenti regionali, deve essere rilevato come molte delle leggi di attuazione del d.lgs. 112 non si limitino alla ripartizione delle funzioni oggetto del nuovo conferimento statale, ma si spingano oltre, andando a toccare ambiti più generali della competenza delle amministrazioni regionali e locali.
Tale impegno attuativo, ben più ampio di quello connesso alla mera ripartizione delle funzioni di cui al decreto 112, si è risolto però in forme e modalità diverse, che caratterizzano significativamente l’impianto normativo delle leggi regionali di attuazione.

Le diverse modalità attuative


1. Talune regioni hanno dato attuazione al d.lgs. 112 operando contestualmente una ricognizione -tendenzialmente statica- delle funzioni già attribuite o delegate agli enti locali. Ciò è stato realizzato:
a) assumendo nella legge di attuazione interi corpi normativi -ricompresi in leggi regionali di cui è sancita la contestuale abrogazione- a suo tempo adottati per la definizione organica od anche solo settoriale delle funzioni locali. Così facendo, il legislatore regionale si orienta verso una soluzione attuativa che sfocia nella predisposizione di una sorta di testo unico sulle competenze (emblematica la legge del Lazio);
b)  attraverso il mero rinvio a leggi previgenti, rispetto alle quali è confermata la ripartizione delle competenze in esse operata (i rinvii a leggi regionali di settore adottate nel passato (più o meno recente) sono piuttosto numerosi; riscontri si possono trovare, a titolo esemplificativo, con riferimento alle materie dell’artigianato (Emilia Romagna); del turismo (Emilia Romagna e Liguria); dell’urbanistica (Basilicata, Molise, Abruzzo e Umbria); dell’inquinamento idrico (Liguria e Puglia); dell’inquinamento acustico (Toscana e Liguria); della gestione dei rifiuti (Abruzzo, Basilicata, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria); delle risorse idriche e difesa del suolo (Lazio, Lombardia, Puglia); dei servizi sociali (Emilia Romagna)).
2. In altri casi, ma non necessariamente in modo alternativo rispetto alle tecniche di cui al punto precedente, insieme alla ripartizione delle funzioni del d.lgs. 112 è stata operata (o solo prevista) anche una modifica di quanto già definito per la ripartizione delle funzioni amministrative dalla previa legislazione regionale. Tale intervento si caratterizza, ovviamente, per la carica innovativa nei confronti degli assetti delle competenze affermati in passato dal legislatore regionale. La modifica delle competenze precedentemente definite può avvenire, però, secondo modalità diverse:
a) in via principale, incidendo direttamente sulla ripartizione delle funzioni amministrative determinata dalla legislazione regionale previgente (spostando cioè le funzioni da un livello di governo all’altro); un risultato di tale portata può essere perseguito:
– direttamente con la legge di attuazione del d.lgs. 112;
– attraverso il rinvio a futuri interventi del legislatore regionale, circostanza quest’ultima riscontrabile frequentemente anche in connessione con l’attesa di leggi statali di riforma di determinati settori (v., in particolare, quanto previsto in alcune leggi per le materie del turismo, dell’urbanistica, della tutela della salute, dei servizi sociali).
Nel caso di rinvii a future leggi regionali può riscontrarsi, inoltre, anche una contestuale conferma (seppure transitoria) della vigente legislazione di ripartizione delle funzioni (per citare solo un caso, oltre a quelli richiamati in precedenza, v. quanto disposto da talune regioni nella materia della gestione dei rifiuti);
b) in forma più marginale, ma non meno significativa, modificando il titolo del conferimento: una funzione prima delegata dalla regione al comune o alla provincia viene ora attribuita (o trasferita) all’ente locale (v., ad es., la legge dell’Umbria nelle materie dell’artigianato, dell’industria e del turismo; la legge dell’Abruzzo nella materia del turismo);
c) a ciò va aggiunta un’ulteriore caratteristica di talune leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112, consistente nel contestuale intervento di riforma e di semplificazione della disciplina sostanziale delle materie (v., ad esempio, Emilia Romagna, Lombardia, nonché alcune leggi della Toscana e della Liguria).
3. Vi sono, infine, alcune regioni che contestualmente all’attuazione del d.lgs. 112 dichiarano di voler perseguire anche l’obiettivo di redistribuire organicamente, in adempimento di quanto previsto dall’art. 3 della l. 142, le funzioni amministrative di dimensione locale ancora mantenute in capo alla regione.
Anche per questo aspetto possono essere riscontrati diversi modi di procedere:
a) in qualche caso è possibile rinvenire una pressoché contestuale adozione di leggi distinte (una rivolta all’attuazione dell’art. 3, l. 142, l’altra destinata all’attuazione del decreto 112), le quali, però, risultano strettamente connesse e organicamente rivolte alla definizione dell’assetto complessivo delle funzioni regionali e locali (Abruzzo);
b) in altri casi, invece, si assiste al tentativo di ricomprendere organicamente, in un’unica legge, gli interventi di ripartizione delle funzioni amministrative connessi con l’attuazione del d.lgs. 112 e quelli volti a dare (finalmente) corpo al ruolo regionale di distribuzione delle funzioni agli enti locali previsto dall’art. 3 della l. 142 (v., Molise, che però presenta anche la variante sub c));
c) talvolta, inoltre, l’obiettivo della distribuzione delle funzioni agli enti locali è rinviato, per specifiche materie, a futuri interventi del legislatore regionale, comportando in tal modo non solo l’ulteriore differimento della ripartizione organica di “tutte” le funzioni ancora regionali, ma anche la inattuazione  (almeno temporanea) dei conferimenti disposti dal d.lgs. 112 (esemplari i casi della Basilicata e del Molise, riguardanti una pluralità di materie). Da registrare, però, come per il Molise siano rinvenibili successivi interventi di attuazione; v., ad es., in materia di artigianato, di industria e di protezione civile.

La redistribuzione regionale delle funzioni amministrative e l’esigenza di testi unici sulle competenze

Ne risulta un panorama normativo connesso all’attuazione regionale del d.lgs. 112 assai variegato, rispetto al quale risulta pressoché impossibile cogliere analiticamente e in termini generali l’assetto complessivo delle funzioni amministrative di ciascuna regione e dei rispettivi enti locali.
In tal senso la lettura delle schede di rilevazione predisposte per ciascuna materia sulla base delle leggi di attuazione del d.lgs. 112, non può ovviamente essere considerata sufficiente per definire il quadro delle competenze nei diversi sistemi regionali.
Tale limite di fondo (almeno sul piano ricognitivo) è determinato da una pluralità di fattori, tra i quali risaltano per un verso i limiti propri dell’intervento regionale nella distribuzione delle funzioni a comuni e province (la ancora ridotta opera di decentramento delle competenze amministrative da parte di talune regioni ) e, per altro verso, i caratteri strutturali delle leggi regionali di attuazione del decreto 112, le quali solo eccezionalmente sono volte a compiere una esplicita ricognizione dell’assetto complessivo delle funzioni amministrative (v. la l.r. del Lazio, peraltro solo parzialmente esaustiva da questo punto di vista).
D’altra parte, quello che potrebbe a ragione essere considerato come un mero aspetto “redazionale” (la più o meno completa elencazione nelle leggi regionali di tutte le funzioni e dei rispettivi livelli di governo competenti), nella realtà finisce per assumere un profilo più propriamente sostanziale, tenuto conto della crescente difficoltà ad orientarsi rispetto al gran numero di norme, per lo più a carattere settoriale, che disciplina anche a livello regionale l’attribuzione delle competenze delle diverse amministrazioni.
Un limite, questo appena richiamato, che potrebbe essere superato con l’impegno da parte delle regioni a compiere un’opera di sistematizzazione e di coordinamento normativo che possa tradursi -non senza una carica innovativa, laddove necessaria- in testi unici sulle competenze amministrative, volti a delineare compiutamente l’assetto vigente nel riparto delle funzioni tra gli enti territoriali di governo.

Attuazione del d.lgs. 112 e revisione degli assetti delle competenze amministrative

Ovviamente i profili connessi alle tecniche redazionali e all’opera di semplificazione e di riordino normativo sono senz’altro secondari rispetto a quanto attiene, invece, alle scelte e al livello di attuazione che caratterizza la distribuzione delle funzioni agli enti locali.
Il processo che vede come protagoniste le regioni nella definizione delle competenze di comuni e province non può, infatti, ritenersi compiuto, specialmente per quelle realtà che presentano ancora una situazione largamente deficitaria nell’opera di devoluzione delle funzioni e dei compiti amministrativi a favore degli enti locali.
In ogni caso, e in termini più generali, sembra corretto ritenere come proprio il nuovo conferimento di funzioni dallo Stato agli enti autonomi territoriali implichi, per i criteri che lo caratterizzano, a partire da quello di sussidiarietà, una revisione generale di quanto già previsto dalle regioni in passato, in modo da garantire la coerenza della ripartizione di competenze già in vigore rispetto ai nuovi criteri che presiedono al più recente conferimento di funzioni; principi, questi ultimi, che, per la portata che li caratterizza, devono oramai essere considerati quali criteri generali nella definizione dei rapporti di competenza tra enti autonomi.
L’intento volto alla verifica e all’aggiornamento delle competenze complessivamente considerate delle amministrazioni regionali e locali è riscontrabile, d’altra parte, già in alcune leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112, anche se esso si traduce in forme differenti (la contestuale riforma delle leggi regionali sulle funzioni locali o, invece, il semplice rinvio a futuro intervento di modifica). Per altro verso, l’opera di verifica da compiere nei confronti degli assetti delle funzioni rispetto ai nuovi criteri di conferimento non è detto che debba necessariamente risolversi in una radicale modifica delle “vecchie” scelte regionali, specialmente se queste risultano fondate su una legislazione regionale piuttosto recente e organicamente rivolta alla determinazione delle funzioni locali.

Qualche spunto di riflessione sulle scelte operate: la sussidiarietà nella redistribuzione delle funzioni agli enti locali

La complessità dei dati rinvenibili, nonché la incompletezza degli elementi conoscitivi desumibili dalle leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112, non permettono, come già accennato, di cogliere, in via generale e per ciascun ordinamento regionale, il quadro complessivo delle competenze amministrative dei diversi livelli di governo. Né, tantomeno, sembrano favorire l’individuazione di modelli attuativi cui riferire le scelte compiute dai legislatori regionali in ordine alla redistribuzione delle funzioni.
Purtuttavia, la lettura delle schede frutto della rilevazione compiuta sul dato normativo delle leggi di attuazione del decreto 112 permette di svolgere alcune considerazioni di carattere generale, le quali, anche se in una chiave che non può che essere problematica, contribuiscono a delineare elementi di contesto e talune linee di tendenza che caratterizzano maggiormente il processo attuativo da parte delle regioni del decreto di conferimento del 1998.
Una prima ed essenziale questione di fondo è relativa all’impatto che il principio di sussidiarietà (verticale) avrebbe operato nella nuova fase del conferimento di funzioni dalle regioni agli enti locali.
Vanno a tale riguardo premesse, seppure in estrema sintesi, talune considerazioni preliminari.
In primo luogo deve ricordarsi come il principio di sussidiarietà, che è stato espressamente previsto per la prima volta nella l. 59 del 1997 quale criterio ispiratore per il riparto delle competenze, risultasse – seppur in forma implicita – quale principio costitutivo dei rapporti tra amministrazioni autonome delineati nella l. 142 (ma v. già la Carta europea delle autonomie locali, art. 4.3, l. 439/1989), e ispirasse significativamente la definizione delle competenze locali contenuta nella legge di riforma del 1990 (emblematico al proposito l’art. 9 della l. 142, da leggere in connessione con i primi due commi dell’art. 3, che sancisce la competenza generale a carattere residuale del comune).
Ciò nonostante, l’espresso richiamo operato dalla l. 59 alla sussidiarietà verticale, cui vengono affiancati numerosi e significativi ulteriori criteri per la determinazione della competenza amministrativa dei vari livelli di governo, ha dato indubbiamente nuova forza al principio stesso, in base al quale il legislatore (statale e regionale) è stato chiamato ad attribuire la “generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime” (art. 4.3 lett. a), l. 59/97).
Per di più, la valenza del principio sussidiario risulta ulteriormente potenziata per il legislatore regionale, tenuto a conferire a province, comuni e altri enti locali “tutte le funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale” (art. 4.1, l. 59/97).
Il richiamo delle note disposizioni normative contenute nella legge di delega del 1997 contribuisce forse a riportare alla mente un’idea che, probabilmente ai più, si era venuta affacciando in vista dei nuovi conferimenti di funzioni amministrative; idea fondata sul presupposto che in base al principio di sussidiarietà e al possibile mantenimento in capo alle regioni delle sole funzioni a carattere unitario, si sarebbe dovuti pervenire a configurare il riparto delle competenze amministrative puntando essenzialmente sui livelli di governo comunale e provinciale, riconducendo pertanto l’amministrazione regionale a dimensioni (estremamente) contenute, anche se connotata significativamente per la portata e la qualità degli interventi ad essa riservati.
L’impressione che si ricava a leggere, seppur superficialmente, le norme sulla distribuzione delle funzioni relative alle materie oggetto del conferimento è, però, nella maggior parte dei casi, di segno diverso.
Le funzioni mantenute alla competenza regionale risultano infatti numerose e non di rado addirittura preponderanti rispetto a quelle conferite agli enti locali, con la conseguenza che non solo non è possibile immaginare la (irrealistica) scomparsa dell’amministrazione regionale, ma sembrano allontanarsi anche le prospettive di un suo più radicale ridimensionamento.
D’altra parte, la stessa difficoltà ancora riscontrabile nel ricomporre, specialmente per i piccoli comuni, ambiti di governo locale che presentino sufficienti caratteri di adeguatezza strutturale e funzionale, se per un verso concorre senz’altro a rendere più problematica l’opera di allocazione delle funzioni amministrative, per altro verso non può neppure essere assunta come alibi di carattere generale per giustificare le resistenze regionali al decentramento.
Si tratta, ovviamente, di considerazioni di carattere generalissimo, che richiederebbero ben altro approfondimento ,e in quanto tali, confutabili con dovizia di argomenti con riferimento a ciascuno specifico ambito funzionale e rispetto alle diverse realtà regionali. Rimane però la constatazione di un sistema di competenze che risulta fortemente caratterizzato per una rilevante dotazione di funzioni mantenute in capo alle regioni; funzioni peraltro non sempre connotate da compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento e controllo, che si ritiene debbano essere tra quelli da riservare più propriamente al livello regionale, bensì anche da significative quanto rilevanti attività di amministrazione attiva e di gestione.

Le soluzioni attuative in ordine alla redistribuzione regionale delle funzioni conferite agli enti locali

Talune ulteriori considerazioni possono essere svolte al fine di contribuire a far risaltare elementi di sintesi rilevabili dalla rilevazione effettuata sulle leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112.

1. Va innanzitutto considerato come l’impatto delle scelte regionali nella redistribuzione delle funzioni agli enti locali risulti piuttosto ridotto nelle materie diverse da quelle affidate alla competenza delle regioni dall’art. 117 Cost.
Per tali ambiti (tra i quali vanno ricomprese le materie dell’industria, dell’energia, delle miniere e risorse geotermiche, della protezione civile, dell’istruzione scolastica) il conferimento, come noto, è operato prevalentemente dal decreto statale nei confronti di tutti i livelli di governo autonomo (regioni, province e comuni).
Il che non esclude, peraltro, margini di manovra – potenzialmente anche significativi- da parte delle regioni, le quali avrebbero potuto comunque procedere ad un ulteriore decentramento delle competenze loro conferite direttamente dallo Stato (ricorrendo per lo più alla subdelega).
Le soluzioni affermate a tale riguardo differiscono, però, anche notevolmente, a seconda delle materie considerate.
Per l’industria, infatti, deve rilevarsi un generale mantenimento in capo alle regioni della gran parte delle funzioni ad esse conferite dal d.lgs. 112. A titolo puramente esemplificativo di un tale orientamento giova rilevare come la stessa previsione introdotta dal d.lgs. sostitutivo n. 96/99, che nelle regioni ancora inadempienti affida alla competenza provinciale la concessione e la erogazione di agevolazioni e contributi alle imprese, risulti pressoché isolata rispetto alle leggi regionali finora adottate, le quali confermano, invece, con l’eccezione della sola Umbria che subdelega la funzione alle province, l’esercizio regionale della funzione in questione.
Così come la distribuzione delle competenze operata dal d.lgs. 112 con riferimento alle funzioni di protezione civile sembra essere stata assunta dai legislatori regionali senza particolari interventi di ulteriore devoluzione a favore dei livelli di governo locale, salvo i rinvii a future leggi regionali, che però sono destinate a ridefinire prevalentemente aspetti di disciplina sostanziale della materia.
Considerazioni in parte diverse possono essere svolte con riguardo alla materia delle miniere e risorse geotermiche, per la quale si registra una maggiore propensione, almeno da parte di alcune regioni, alla subdelega (prevalentemente a favore del livello provinciale) di talune funzioni conferite.
Così come deve rilevarsi – seppur non in forma generalizzata- un certo orientamento favorevole alla localizzazione di compiti amministrativi (anche aggiuntivi rispetto a quelli previsti direttamente dal d.lgs. 112) nel campo dell’istruzione scolastica, in una prospettiva che però risulta orientata prevalentemente all’integrazione degli interventi formativi (compresa cioè la formazione professionale) e socio-assistenziali.
Ulteriore variante è rinvenibile, infine, nella materia dell’energia, nella quale è possibile riscontrare un certo numero di competenze riconosciute in capo a comuni e province; funzioni la cui devoluzione si fonda però principalmente su interventi di diretta attribuzione da parte del legislatore nazionale perseguiti con normative di settore.

2. Valutazioni di ordine differente devono essere svolte, ovviamente, per quanto attiene alle materie regionali dell’art. 117 Cost., rispetto alle quali il compito di redistribuzione agli enti locali delle funzioni statali da ultimo conferite è espressamente affidato dalla l. 59 del 1997 agli ordinamenti regionali.
Le soluzioni attuative concretamente perseguite possono però differire notevolmente anche a ragione delle caratteristiche proprie delle materie oggetto del conferimento.
a) Vi sono, infatti, delle materie che risultavano nel loro complesso affidate ampiamente alla cura dei governi regionali e locali già prima del nuovo conferimento avviato dalla l. 59 e per le quali lo stesso decreto attuativo ha operato prevalentemente al fine di riservare talune funzioni allo Stato, piuttosto che conferirne espressamente delle ulteriori al sistema delle autonomie (ad es., si pensi a quanto previsto in particolare per l’artigianato e il turismo, nonché per l’urbanistica).
È pur vero che la mancata espressa individuazione di ulteriori funzioni da parte del legislatore delegato nelle materie sopra richiamate non potrebbe escludere di per sé un ampliamento della competenza regionale e locale, che oggi deve essere determinata -in virtù della clausola generale residuale che gioca a favore delle autonomie territoriali- per sottrazione delle funzioni tassativamente riservate allo Stato. Purtuttavia, il dato di sintesi che sembra possibile ricavare in questi ambiti funzionali mostra come gli interventi regionali siano scarsamente incidenti (quando non totalmente assenti), e volti più che altro alla ricognizione diretta (o tramite rinvio) di quanto già previsto dalla legislazione regionale previgente, salvo che la regione non colga l’occasione dei nuovi conferimenti per procedere anche alla redistribuzione di funzioni ancora non decentrate (per la circostanza da ultima richiamata v., ad es., Basilicata e Molise in materia di artigianato).
In alcuni casi, inoltre, talune leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112 si occupano di materie, pure rientranti nell’elenco dell’art. 117 Cost. – quali cave e torbiere, acque minerali e termali – che non risultano neppure considerate dal decreto di conferimento.
Si tratta di un ulteriore indizio di come le regioni muovano, con l’attuazione del d.lgs. 112, anche in direzione della definizione – sia in forma ricognitiva dell’esistente, sia con interventi più innovativi- dell’assetto complessivo delle funzioni amministrative.
La disomogeneità dei dati rinvenibili (dovuta principalmente al diverso modo di procedere delle regioni) non permette, però, di trarre un qualche bilancio conclusivo in ordine alla più o meno ampia localizzazione delle funzioni amministrative in tali ambiti, come risulta evidente anche dalla consultazione delle schede relative alle materie citate.
b) Altre materie, pur ricomprese – anche in virtù della interpretazione evolutiva data al catalogo costituzionale delle competenze regionali – tra quelle di cui all’art. 117 Cost., hanno registrato, invece, un più significativo intervento da parte del legislatore delegato, il quale, oltre a definire le riserve a proprio favore, ha conferito anche un certo numero di funzioni statali a regioni ed enti locali.
La misura del conferimento statale differisce a seconda delle materie, ma riguarda, in ogni caso, ambiti significativi di competenze relativi, in particolare, a: fiere e mercati, edilizia residenziale pubblica, tutela ambientale, inquinamento delle acque, inquinamento acustico e atmosferico, risorse idriche e difesa del suolo, opere pubbliche, viabilità e trasporti.
Rispetto a tali materie l’intervento di redistribuzione delle funzioni amministrative operato dalle regioni costituisce una fase decisiva del processo di conferimento avviato sulla base della delega del 1997. E proprio a ragione di ciò sembra possibile svolgere qualche ulteriore considerazione valutativa.
– L’ambito dell’intervento regionale
Proprio con specifico riferimento alle materie in cui intervengono nuovi conferimenti da parte dello Stato è possibile cogliere con maggiore evidenza la differenziazione delle modalità attuative seguite dai legislatori regionali.
Non mancano, infatti, i casi in cui la redistribuzione delle nuove funzioni viene colta come occasione per una più ampia disciplina della materia (non sempre peraltro circoscritta al profilo delle competenze, né tantomento necessariamente innovativa (è il caso delle leggi- testo unico) (v., a mero titolo di esempio, le leggi di Abruzzo, Basilicata, Lombardia e Lazio in materia di fiere e mercati; le leggi di Lazio e Piemonte nella materia dell’inquinamento idrico, nonché ancora le norme di Lazio e Piemonte insieme a quelle di Toscana e Liguria nella materia dell’inquinamento acustico).
Non mancano, inoltre, anche a fronte dei nuovi conferimenti, i rinvii a futuri interventi del legislatore regionale cui è rimessa la stessa distribuzione delle nuove funzioni, nonché in taluni casi il riordino complessivo della disciplina di settore (numerosi in tal senso i riscontri rinvenibili nelle schede e nelle note di sintesi relativi, in particolare, alle materie fiere e mercati, edilizia residenziale pubblica, inquinamento idrico, risorse idriche e difesa del suolo).
In altra direzione, l’opera di redistribuzione delle regioni (anche per le nuove funzioni conferite) risente in talune materie della incidenza di legislazioni nazionali di settore (e delle connesse norme regionali di attuazione, ove presenti), cui di frequente si rinvia (emblematicamente, v. inquinamento acustico, gestione dei rifiuti, risorse idriche e difesa del suolo, trasporti).
– La scelta del livello di governo competente
Indubbiamente il profilo che desta maggiore interesse nell’analisi delle leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112, specialmente con riferimento alle materie propriamente regionali investite dai nuovi conferimenti, è quello che attiene alla valutazione delle scelte compiute dai legislatori per individuare i destinatari finali delle funzioni amministrative.
Qual è l’ente che risulta vincitore, almeno in termini comparativi, nella partita dei nuovi conferimenti?
La risposta non può essere né semplice, né tantomeno di carattere generale.
Si è già rilevato -e il lettore che si cimenterà con le schede, utilizzando le necessarie avvertenze interpretative che si è tentato di delineare, potrà verificarne la fondatezza- come il livello regionale di amministrazione non risulti certamente sprovvisto di un’ampia dotazione funzionale, che lo colloca in una posizione di sicuro rilievo in un sistema amministrativo sempre più caratterizzato da una compresenza dei vari livelli di governo (spesso di “tutti” i livelli) relativamente ai medesimi ambiti funzionali.
Per tentare una qualche ulteriore considerazione di sintesi riferita più propriamente alle materie regionali investite dai nuovi conferimenti possono essere avanzati i seguenti rilievi:
– alcune materie risultano caratterizzate da una rilevante concentrazione di funzioni in capo alle regioni, cui corrisponde, non sempre però con omogeneità di soluzioni da parte dei legislatore regionali, un decentramento delle funzioni a dimensione locale in capo ai comuni. È il caso, in particolare, delle materie edilizia residenziale pubblica e fiere e mercati, per le quali il sistema di amministrazione territoriale sembra chiaramente orientarsi verso un modello a due livelli, che esclude nella sostanza il ruolo dell’ente intermedio;
– vi sono, al contrario, materie dove, oltre a pur rilevanti funzioni mantenute alla competenza regionale, si è affermata una prevalente (anche se non esclusiva) dimensione provinciale delle funzioni da conferire, come nel caso della viabilità o, seppur in termini differenti, per le funzioni in materia di inquinamento atmosferico e di inquinamento idrico, di gestione dei rifiuti, di risorse idriche e difesa del suolo, di trasporti;
– da rilevare, infine, come in taluni ambiti di intervento – caratterizzati per lo più da un carattere trasversale e strumentale rispetto a specifiche competenze – la ripartizione delle funzioni risulti talvolta assai meno nettamente orientata a favore dell’uno o dell’altro livello di governo locale, come riscontrato nella materia delle opere pubbliche, rispetto alla quale talune leggi regionali rinviano per la individuazione del soggetto locale competente ad una successiva valutazione dell’adeguatezza o della “competenza” degli enti rispetto all’opera da realizzare (una sorta di competenza diffusa è prevista, analogamente, per la specifica funzione di progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche rientrante nella materia risorse idriche e difesa del suolo);
– assai marginali risultano invece i conferimenti previsti a favore delle comunità montane, le quali sempre più sembrano configurasi – al di là delle competenze proprie loro riconosciute dalla legislazione nazionale e regionale – come le naturali destinatarie di funzioni comunali che per gli enti di piccole dimensioni richiedano di essere affidate ad un livello di governo a carattere associativo adeguato.

La differenziazione nella distribuzione delle funzioni

Il quadro che si è cercato di delineare, seppur per tratti del tutto essenziali, presenta, purtuttavia, non poche varianti riconducibili alle scelte compiute da ciascuna regione.
In particolare, come è ovvio, è riscontrabile talvolta una significativa diversità di soluzioni adottate dai legislatori regionali nella determinazione della competenza di una medesima funzione.
La differenziazione gioca, però, prevalentemente rispetto al mantenimento o meno della funzione alla competenza regionale, piuttosto che in ordine alla scelta del livello di amministrazione locale cui devolvere la funzione stessa.
Così, alcune funzioni risultano in alcuni casi riservate alla regione, in altri conferite all’amministrazione locale (prevalentemente al livello provinciale) (v. nella materia dell’inquinamento idrico le funzioni relative all’elenco delle acque dolci superficiali e talune funzioni di monitoraggio; nella materia dell’inquinamento elettromagnetico la funzione per l’autorizzazione delle reti di trasporto; numerose funzioni in materia di risorse idriche e difesa del suolo; in materia di viabilità la funzione relativa alla classificazione delle strade).
Da segnalare, infine, che la differenziazione delle soluzioni adottate può essere riscontrata -per quel che vale tale indizio- anche nei confronti delle soluzioni affermate dal d.lgs. 96/99 di sostituzione delle regioni inadempienti, tendenzialmente più favorevoli ad una localizzazione delle funzioni conferite (principalmente al livello provinciale). Lo scarto tra scelte regionali e quelle compiute con l’intervento sostitutivo è pressoché generale per quanto riguarda le funzioni relative alla concessione ed erogazione di incentivi (in materia di industria, di miniere e di fiere e mercati), che le regioni – contrariamente a quanto previsto dal decreto 96/99- mantengono alla propria competenza. Mentre, in altri casi, tra cui in primo luogo molti di quelli in precedenza richiamati, il margine di differenziazione può riguardare un numero più o meno elevato di leggi regionali.
Una sostanziale coincidenza tra disposizioni sostitutive e scelte distributive regionali caratterizza, invece, le funzioni in materia di viabilità affidate alla provincia (con qualche eccezione relativa alla classificazione delle strade).

I titoli del conferimento

Un qualche cenno deve infine essere dedicato a quanto si rinviene nelle leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112 in ordine al titolo del conferimento utilizzato per la devoluzione delle funzioni agli enti locali.
È noto come proprio il riconoscimento del ruolo regionale di redistribuzione delle funzioni a comuni e province, operato dall’art. 3 della l. 142/90, avesse favorito l’affermarsi di un orientamento dottrinale (peraltro già da tempo rappresentato) che ha da subito trovato riscontro sotto il profilo applicativo nell’opera di taluni legislatori regionali, secondo il quale le regioni possono attribuire direttamente funzioni agli enti locali, anziché solo delegarle come prevede la disposizione costituzionale del terzo comma dell’art. 118.
Il passaggio è di non poco momento, anche se deve ricordarsi come la stessa delega di funzioni avesse subito nel tempo, prevalentemente ad opera del giudice costituzionale, una profonda trasformazione, che ne aveva resi sempre più sfumati i connotati di differenziazione rispetto alla attribuzione vera e propria.
Comunque, talune differenze tra i due titoli del conferimento sembrano tuttora permanere ed anzi, proprio a ragione del sempre più generale ricorso all’attribuzione a favore degli enti locali da parte delle regioni, taluni caratteri distintivi sembrano trovare nuova ragion d’essere (v., ad es., quanto sancito dalla l.r. del Lazio, che prevede il finanziamento delle funzioni attribuite agli enti locali con somme ripartite tra gli enti, senza vincolo di destinazione; mentre le somme relative alle funzioni delegate o subdelegate risulterebbero vincolate nella destinazione).
Senza entrare nel merito di questioni di ordine più generale, preme tuttavia constatare come dai dati desumibli dalla legislazione regionale analizzata, il ricorso alla delega risulti sicuramente ridotto, anche se non sempre del tutto marginale.
Ovviamente il ricorso alla delega o ancor più alla subdelega, risulta obbligato qualora si tratti di funzioni rientranti in materie diverse da quelle dell’art. 117 Cost. e, quindi, conferite dallo Stato alle regioni a titolo di delega (art. 118, secondo comma, Cost.).
Negli altri casi, invece, si assiste tendenzialmente ad una preferenza della attribuzione a favore degli enti locali, testimoniata significativamente anche dalle modifiche apportate a talune leggi regionali di delega, volte a trasformarne proprio il titolo del conferimento (v. ad es. la legge dell’Umbria).
Non può tuttavia non essere evidenziato come in molti casi, e relativamente a gran parte delle materie oggetto del conferimento, sia possibile riscontrare per le medesime funzioni un diverso atteggiarsi dei legislatori regionali nella scelta del titolo del conferimento (alcuni delegano, altri attribuiscono), la qual cosa rappresenta un ulteriore elemento che meriterebbe, insieme a molti altri che pure si manifestano all’interprete a seguito della lettura delle leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112/98, di essere più adeguatamente valutati di quanto non sia possibile fare in questa sede.

di Guido Meloni