Modi di utilizzo flessibile del personale negli enti locali

16.07.2003

Una serie di lavori pubblicati su questa rivista si sono occupati, da vari punti di vista, dei rapporti di lavoro flessibili nel pubblico impiego.
Sono stati delineati gli elementi fondamentali del contratto di formazione e lavoro e del rapporto part-time (contributi di Francesca Di Lascio, disponibili nell’archivio, sezione P.A. e lavoro) e analizzate le caratteristiche del telelavoro, del rapporto a tempo determinato e del lavoro temporaneo nella disciplina contrattuale negli enti locali (contributi di chi scrive, nella sezione autonomie).
Col presente lavoro si vogliono fornire alcune indicazioni di carattere generale sui diversi istituti di utilizzo flessibile del personale e sulla loro migliore gestione da parte delle amministrazioni del comparto enti locali.
Due strumenti di flessibilità, il telelavoro ed il lavoro a tempo parziale, influiscono su due degli elementi fondamentali della prestazione lavorativa, il luogo di esecuzione dell’attività e l’arco temporale di svolgimento della stessa.
In entrambi i casi, si tratta di modalità di esecuzione della prestazione che presentano notevoli vantaggi per il dipendente il quale, nel telelavoro domiciliare, può ottemperare all’obbligo lavorativo direttamente dalla propria abitazione, mentre, in caso di rapporto di lavoro part-time, può gestire liberamente il tempo reso disponibile dalla riduzione dell’attività lavorativa, dedicandolo ora alle proprie esigenze personali/familiari, ora allo svolgimento di altra attività lavorativa, più remunerativa o più stimolante, rispetto a quella svolta presso l’ente pubblico.
Questi due istituti possono, però, comportare notevoli aspetti positivi anche per le amministrazioni interessate. Per il telelavoro si può notare, ad esempio, come la dislocazione dell’attività in diversi punti, come avviene con la formazione dei c.d. centri di telelavoro, si mostra particolarmente funzionale nei casi di enti la cui attività si esplichi in territori che presentano rilevanti difficoltà negli spostamenti da un luogo all’altro, com’è il caso, ad esempio, delle comunità montane o isolane.
Del resto, anche il rapporto a tempo parziale può essere utilizzato dalle pubbliche amministrazioni in maniera vantaggiosa, a patto, però, che queste acquisiscano le capacità manageriali necessarie a gestire con profitto tale tipologia lavorativa. La riduzione dell’orario porta, infatti, il dipendente ad una concentrazione maggiore nello svolgimento della prestazione, concentrazione che può essere stimolata e rafforzata da un adeguato lavoro di attribuzione dei carichi di lavoro e di “assistenza” nell’espletamento dei compiti da parte del dirigente responsabile della struttura di appartenenza del dipendente.
La possibilità di attivare rapporti a tempo parziale con i propri dipendenti può anche essere utilizzata per miglioramenti di carattere organizzativo, come nel caso di prolungamento dell’apertura serale di musei e pinacoteche gestite da enti locali. Ancora, negli enti locali di ridotte dimensioni, è molto utilizzato, in particolare per la figura del segretario comunale, l’istituto dello “scavalco”, per cui uno stesso dipendente presta servizio, con due rapporti a tempo parziale, per due differenti amministrazioni.
Altre tre possibilità di utilizzo flessibile del personale, il tempo determinato, il lavoro temporaneo ed il contratto di formazione e lavoro, presentano un differente carattere complessivo, rispetto ai primi due esaminati, avendo come finalità comune l’utilizzo temporaneo della forza lavoro da parte delle amministrazioni, in considerazione di proprie necessità operative.
Nonostante la presenza di questa caratteristica comune, una accurata analisi della disciplina contrattuale degli enti locali, porta a delimitare i confini e a determinare le peculiarità di ciascun istituto.
Il tempo determinato, che è strumento di più antico utilizzo da parte della pubbliche amministrazioni, viene ad assumere un ruolo diverso, e più limitato, rispetto al passato. Nella regolamentazione del CCNL comparto Regioni – Autonomie Locali del 14.9.2000, appare opportuno far ricorso ai contratti a termine in presenza di necessità operative di durata medio/lunga e caratterizzate da una prevedibilità tale da consentire selezioni del personale sufficientemente rigorose. Questo in quanto, per rapporti “urgenti” e di breve durata, appare preferibile utilizzare il lavoro interinale, per le motivazioni che vedremo meglio in seguito.
Il tempo determinato è anche lo strumento da utilizzare nei casi di esclusione soggettiva stabiliti per i rapporti di lavoro temporaneo dall’art. 2, comma 4, del C.C.N.L. sopra citato e cioè per i profili della categoria A, per quelli dell’area di vigilanza e per quelli del personale educativo e docente degli asili nido e delle scuole materne, elementari, medie e superiori, nonché per le posizioni di lavoro che comportano l’esercizio di funzioni nell’ambito delle competenze del Sindaco come Ufficiale del Governo.
È, infine, preferibile utilizzare i contratti a termine anche per le assunzioni temporanee di personale appartenente alla categoria B da effettuarsi mediante richiesta di avvio a selezione ai competenti servizi per l’impiego, considerate le finalità sottese a tale particolare procedura di selezione.
Da quanto testé caratterizzato, emerge anche il ruolo riservato al lavoro temporaneo negli enti locali. Questo strumento è particolarmente adatto per effettive, urgenti, necessità, come, ad esempio la sostituzione di personale assente dal servizio, ed andrebbe, in generale riferito a rapporti, rectius missioni, di breve durata.
Il lavoro temporaneo è anche strumento per l’innovazione, essendo funzionale, tra l’altro, alla sperimentazione di nuove figure professionali, non presenti, ordinariamente, nelle piante organiche degli enti pubblici, come ad es. il  “responsabile della comunicazione”, il “web designer”, “l’addetto stampa”, ecc.. Se viene utilizzato per questa finalità, come anche per l’elaborazione di progetti di miglioramento ben specificati dalla normativa contrattuale (ad es. l’elaborazione di manuali di qualità e di carte di servizi; l’attivazione e aggiornamento di sistemi informativi), questo istituto può trovare rapidamente una giusta collocazione nell’ambito dei mezzi di flessibilità a disposizione degli enti locali.
Passando al contratto di formazione e lavoro (d’ora in poi indicato con l’acronimo c.f.l.), questo presenta una duplice funzione. Da un lato ha un contenuto di esperienza lavorativa e formativa per i giovani, con attività di formazione più intensa per le professionalità più elevate. D’altro lato, si presenta come “corridoio privilegiato” per una successiva assunzione a tempo indeterminato da parte del datore presso cui l’esperienza lavorativa si è svolta.
Nelle pubbliche amministrazioni è importante accentuare il primo dei due aspetti sopra descritti, attribuendo al c.f.l. una funzione formativa più accentuata, in quanto per l’eventuale assunzione definitiva non bisogna tralasciare di seguire i principi generali che regolano l’accesso nelle pubbliche amministrazioni. L’attuale disciplina contrattuale degli enti locali va, invece, proprio nel segno opposto ottenendo, con una strana commistione tra norme pubbliche e norme private, l’effetto di eludere il principio del pubblico concorso stabilito dall’art.97 della costituzione.
Infatti, se alle procedure selettive “semplificate” per l’individuazione dei lavoratori con c.f.l., fa seguito, al termine del rapporto, una “selezione riservata” agli stessi soggetti, finalizzata alla definitiva assunzione in pianta stabile, si ottiene, di fatto, una chiara elusione del principio sopra richiamato.
Appare, infine, incongrua, per gli stessi motivi sopra descritti, la previsione, per le amministrazioni che intendono utilizzare nel tempo il c.f.l., d’un obbligo di “conferme in ruolo” pari al 60% del numero dei dipendenti impiegati con detta tipologia contrattuale nei 24 mesi precedenti.
In attesa d’una modifica del CCNL, è preferibile per gli enti locali far ricorso con cautela a questo strumento contrattuale, gestendolo  con attenzione maggiormente rivolta alle sue caratteristiche di formazione e prima esperienza lavorativa, che come fase preliminare ad un processo di reclutamento delle risorse umane.
La flessibilità negli enti locali vuol dire anche la possibilità di assunzioni a tempo determinato per l’assistenza agli organi di supporto dell’attività politica, così come previsto dall’art.90 del d.lgs. 18 agosto 2000, n.267, ovvero l’utilizzo per la predetta funzione, o per il supporto all’attività, amministrativa di personale con contratto di collaborazione coordinata o continuativa.
Per un’ottimale gestione, occorre nuovamente portare chiarezza sul ruolo e sulle funzioni di ognuna delle possibili opzioni. Per rapporti di supporto operativo che comportino uno stretto legame con l’organo politico ed un rapporto caratterizzato dall’intensità dell’orario di servizio prestato, è necessario far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato, cui si applicheranno le norme previste dal CCNL del 14/9/2000 per questo tipo di rapporto, fatta salva la possibilità di deroghe derivanti dalle peculiarità della prestazione (come può avvenire, ad esempio, per il trattamento economico accessorio che può essere attribuito, ai sensi dell’art. 90, comma 2° d.lgs. n.267/2000, come indennità onnicomprensiva, inclusiva dei compensi per lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale).
Qualora, invece, l’attività di supporto agli organi politici, ovvero a quelli amministrativi, si svolga in maniera sostanzialmente autonoma, con scarsa rilevanza dell’obbligo d’orario, appare necessario far riferimento a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Sui collaboratori coordinati e continuativi vale la pena di fare alcune precisazioni ulteriori. Per quanto la normativa di riforma di questa tipologia di rapporto di lavoro, il cui schema provvisorio è stato approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 6 giugno u.s., non ha immediata applicazione nei confronti dei datori di lavoro pubblici (art.1, comma 2°, dello schema di decreto legislativo), appare opportuno ridurre, in generale, l’utilizzo di tale tipo di prestazione, tenendo presente la necessità di inquadrare eventuali, future, collaborazioni nell’ambito di progetti o di attività ben determinate, sia nell’oggetto che nella durata e nelle modalità d’esecuzione.
Da ultimo, va ricordata la possibilità per gli enti locali di servirsi dell’attività di consulenza di esperti di provata competenza nel campo in cui si chiede la loro collaborazione, come previsto, in via generale per tutte le amministrazioni pubbliche dall’art.7, comma 6°, del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165.
L’utilizzo di dette figure professionali è soggetto, in virtù d’un consolidato orientamento della Corte dei Conti a limiti ben precisi. Le amministrazioni possono far ricorso ai consulenti solo in presenza dei seguenti requisiti: straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare; mancanza di strutture e di apparati preordinati a tale soddisfacimento, ovvero carenza, qualitativa o quantitativa del personale addetto a tali strutture, in relazione alla richiamata eccezionalità delle finalità da soddisfare nel caso concreto (cfr. in merito Corte dei Conti, sez. III, Giur. Appello, sentenza 8 gennaio 2003, n.9).
Altro principio fondamentale, ribadito dalla magistratura contabile nella sentenza sopracitata, è che la consulenza deve avere oggetto, durata e compenso specificamente indicate nell’atto di incarico. In questo senso devono considerarsi illegittimi non solo gli incarichi con indicazione generica ed indeterminata dell’attività che deve essere svolta dal consulente, ma anche le c.d. le “consulenze generali” che abbraccino un eccessivamente vasto campo di competenze.

di Gianluca Di Pofi