Il difensore civico. Soggetti deboli e difesa flessibile contro le Pubbliche Amministrazioni tra passato e futuro

13.10.2003

L’articolo intende fornire un contributo all’attuale dibattito giuridico-amministrativo e politico sulla figura e sulle funzioni del Difensore Civico.
Dopo una breve introduzione sull’evoluzione storica dell’istituto della difesa civica e sui connessi riferimenti normativi attuali, il lavoro propone le concrete esperienze sul tema del Comune di Taranto e della Provincia di Lecce, per soffermarsi ampiamente sull’attuale riforma del Titolo V della Costituzione italiana in cui l’istituto assume un ruolo necessario per il suo completamento e dalla quale emergono positive riflessioni e suggerimenti sulla concreta applicazione della difesa civica.
L’istituto della difesa civica trova le proprie radici nella Roma del IV sec. d.C., dove si afferma la figura del “defensor civitatis”, con lo scopo esclusivo di difendere gli abitanti di una città e specialmente i plebei da ogni specie di oppressione, angherie e soprusi posti in essere dalle classi più abbienti, intervenendo soprattutto nel campo giudiziario e in materia fiscale.
La storia dell’istituto va in verità più indietro nel tempo; il primo vero difensore civico della storia dell’Europa Occidentale è stato il Tribuno della Plebe, un magistrato dello Stato che aveva potere di veto e potere di patronage, di protezione diffusa rispetto a tutti i cittadini, con il compito di assicurare un equilibrio tra gli organi dello Stato.
La figura del defensor proseguì durante l’epoca repubblicana e resse in epoca giustinianea, ma occorrerà attendere l’imperatore d’Oriente Leone VI (detto “il saggio” o “il filosofo”) per vedere la figura definitivamente eliminata.
Rare sono le testimonianze relative a magistrature analoghe per l’età medioevale e moderna.
Solo con la Costituzione svedese del 1809 viene costituito il cosiddetto Ombudsman ( letteralmente “colui che fa da tramite” tra Stato e amministrazione pubblica) che si caratterizza come organo ausiliario e fiduciario del Parlamento, di cui è emanazione, con lo scopo di ravvicinare il cittadino alle istituzioni, valorizzare gli organismi associativi, assicurare tutela dei diritti e degli interessi, in particolare di quelli che non hanno ancora una precisa dimensione di garanzia negli ordinamenti. Sulla scia dell’esperienza svedese l’istituto dell’Ombudsman prende piede dapprima negli altri Paesi scandinavi ( in Finlandia nel 1919, in Danimarca nel 1953), e successivamente viene adottato nella Repubblica federale tedesca (1956), nel Regno Unito (1967), in Francia (col nome di Médiateur nel 1973) e in Nuova Zelanda (1962); inoltre in tutti gli Stati dell’Australia, tutte le province del Canada, del Portogallo e della Spagna, ed, ancora, Tanzania, Zambia, Mauritius, Hawaii, Nebraska, Israele, nonché quasi tutti gli Stati dell’India. In linea generale, dappertutto il difensore civico cumula funzioni di mediazione del conflitto sociale, ponendosi come strumento di autotutela dell’amministrazione e di difesa dei diritti dei consociati; è entrambe le cose assieme, tenendo via via più dell’una o dell’altra posizione e funzione, in ragione dei caratteri delle differenti storie nazionali e della loro evoluzione.
L’indipendenza derivante è assicurata dovunque normativamente, ma riposa più che altro sul prestigio personale , sull’autorevolezza del titolare e sul diverso grado di cultura civica.
Una cantabile aria del Metastasio è assai idonea a sintetizzare le caratteristiche multiformi dell’istituto della difesa civica.
Il librettista “facile” del 700 scriveva: “E’ la fede degli amanti come l’araba fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
Questa massima mette in evidenza come il difensore civico sia anch’esso “un’ araba fenice”, in verità non perché non si sappia dov’è, ma perché – come il mitico uccello orientale – è capace di altrettante morti e di altrettante resurrezioni dalle sue ceneri, sintomatiche della grande flessibilità applicativa alla quale può piegarsi, ambientandosi perciò in contesti storici diversi, e muovendo da suggestioni teoriche d’indole non omogenea. Rimane però, con queste sue anime che lo tirano in direzioni diverse, come un “personaggio in cerca d’autore”, sul piano del disegno normativo. E’ la prassi che in realtà sta arricchendo, e conferendo corpo e spessore al ruolo del difensore civico. A tal fine, sono state analizzate le relazioni dei difensori civici regionali e comunali per inventariare e valutare, poi, il tipo di prestazioni ad esso riconducibili, proprio nel  senso del modello di Stato sociale oggi riformato. Ne è venuto fuori un ventaglio di interventi possibili, molto ampio ed incisivo, anche se in realtà diversamente pronto ed efficace a seconda dei luoghi del Paese in cui avviene l’impatto dell’istituto.
In Italia, la figura nasce a partire dagli anni ’70 a livello regionale, con connotazioni che ne fanno fin dall’inizio problematica la natura giuridica: in uno dei primi studi dedicato all’argomento (risalente agli anni ’80) veniva definito “ufficio complementare” del Consiglio regionale e come “istituto con funzione normativa”.
Definizioni certamente riduttive, in quanto con l’introduzione del difensore civico nell’ente locale (art. 8 l. n. 142/90), con le novità apportate dalla L. n° 127/97, e con le più recenti innovazioni contenute nell’art. 15 l. 340/2000, la natura giuridica dell’istituto assume connotazioni più complesse.
C’è da dire anche che il dibattito della dottrina intorno alla natura giuridica del difensore civico negli ultimi anni si è molto arricchito di studi e contributi teorici importanti. Si sta infatti verificando la possibilità di considerare questo soggetto non solo come organo con funzioni di tutela di interessi individuali e collettivi non altrimenti tutelati nei confronti di azioni ed omissioni dell’Amministrazione, ma anche come soluzione organizzativa che consenta una forma di partecipazione del cittadino al corretto svolgimento dell’attività amministrativa. L’istituto del difensore civico trova il suo radicamento e la sua ragion d’essere proprio in un’idea nuova del rapporto cittadino-stato; un’idea che, pur essendo fondata sul diritto e sul sistema delle regole, trova la sua esplicazione in quei valori di equità, giustizia, dignità che sono il fondamento della persona umana: la pubblica amministrazione deve essere pensata come “funzione” e servizio anziché come potere. E’, questa del difensore civico come autorità indipendente, un’opinione che sta suscitando l’interesse di molti studiosi. Il difensore civico viene collocato nella logica delle autorità amministrative indipendenti rafforzando oggi quella che è una semi-indipendenza affidata alla autorevolezza e al prestigio della persona che ricopre il ruolo, al modo in cui riesce ad esercitare la sua funzione.
Non più, quindi, solo il mediatore soft dei rapporti tra cittadino, o più ampiamente, residente e amministrazione o enti erogatori di servizi, ma anche, in qualche modo, il tecnocrate, l’organo di controllo sull’esercizio del potere locale di maggioranza: in concreto, il difensore civico può esercitare, in base al T.U. 267/2000 ed alle leggi “Bassanini”, che in esso sono rifluite per molta parte, il controllo eventuale sugli appalti e l’affidamento di servizi o forniture sopra la soglia di rilievo comunitario, sulle dotazioni organiche, sulle deliberazioni di assunzione del personale.  La durata definita della carica, la non rieleggibilità del difensore civico, la scelta tra persone qualificate, il dovere di informazione attraverso le relazioni periodiche, la netta indipendenza dall’organo esecutivo, costituiscono ulteriori elementi comuni con la categoria delle Authorities.
E’ proprio l’indipendenza che rende maggiormente “indigesta” al potere esecutivo la possibilità di trasformare il difensore civico in autorità indipendente, perché è ben comprensibile che nessuno sia disponibile a cedere volentieri quote di potere ad altre autorità, indipendenti da sé con le quali potrebbe confliggere e alle quali potrebbe dar conto del proprio operato.
Tutto ciò non è peraltro esatto. L’indipendenza non è separazione, al contrario è responsabilità, per cui è possibile che un’authority possa avvalersi della propria indipendenza senza per questo entrare in conflitto con il potere politico. Indipendenza non è,  inoltre,  necessariamente sinonimo di contropotere; tanto chiarito, strutturando la difesa civica nel senso appena precisato, si potrebbe davvero parlare di poteri reali, compresi quelli cogenti e di intervento attivo da riconoscere al difensore civico e senza i quali il suo stesso ruolo non avrebbe senso.
Tali poteri dovrebbero essere legati alle funzioni di autotutela, di controllo, di difesa dei diritti dei cittadini e al tempo stesso arbitrali nella soluzione di controversie tra cittadini e P. A.
Possiamo, quindi, intravedere nella figura del difensore civico una ulteriore funzione: quella di arbitro – conciliatore.
Il difensore civico diventa strumento di risoluzione delle controversie tra ente e cittadino, alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria. Il potere di arbitro può essere attribuito o da una normativa locale, da un atto preventivo dell’ente che riconosce al difensore civico il potere di risolvere determinate controversie, oppure anche da un atto successivo col quale l’ente si conforma alla decisione presa dall’Ombudsman e da una tacita manifestazione di volontà  del cittadino che si concreta nell’atto materiale di rivolgersi al difensore civico per tutelare i suoi diritti.
L’Ombudsman  in questo caso addiviene alla decisione in maniera molto spedita, si serve dei poteri d’indagine conferitegli dalla legge e dalla specifica competenza acquisita sul campo garantendo l’imparzialità e l’indipendenza della pubblica amministrazione.
Questa idea della composizione arbitrale dei conflitti tra P. A. e cittadini è stata sperimentata per esempio dal comune di Taranto, dove sta andando avanti con molto successo l’Ufficio di bonaria composizione delle controversie tra cittadini e Comune in materia di piccola conflittualità, incidenti con danni a persone e cose, piccolo contenzioso. I risultati sono eccellenti perché si stanno realizzando quattro importanti obiettivi:
a) eliminazione del contenzioso minore tra cittadini e Comune, col ricorso alla composizione transattiva che ha praticamente sostituito la via giurisdizionale;
b) notevole risparmio di risorse finanziarie per il Comune, poiché vengono eliminate le spese di giudizio;
c) sgravio dell’Ufficio legale di tutto il lavoro legato al contenzioso minore con possibilità dello stesso di dedicarsi al contenzioso più importante e con conseguenti risultati di maggiore efficienza;
d) il cittadino vede finalmente rispettato il proprio diritto ad essere risarcito di un danno in tempi brevi.
Tuttavia, occorre tener presente che questo non è l’unico esempio nella Regione Puglia.
Al fine di assicurare ai Salentini un sistema di controllo a garanzia dell’azione amministrativa in termini di trasparenza, partecipazione, incremento alla legalità, volto altresì ad impedire che vi siano abusi, disfunzioni, carenze, ritardi, anche la Provincia di Lecce ha inteso avvalersi della facoltà prevista dalla legge di istituire il difensore civico provinciale, di cui all’art. 35 dello Statuto, approvato con deliberazione del Consiglio Provinciale n. 11 del 29/04/2000.
In questi anni di attività il difensore civico provinciale ha cercato di raggiungere due preliminari obiettivi: a) informare il cittadino della esistenza, del significato e dell’efficacia della difesa civica, b) rendere conoscenza e opportunità della stessa ai membri dell’Esecutivo, dei Gruppi consiliari, dell’Assemblea consiliare, attraverso una costante informativa. Purtroppo l’Ombudsman risulta scarsamente recepito nelle nostre realtà anche se si è chiesto aiuto di divulgazione a tutti i corpi sociali, operanti sul territorio, all’intero sistema scolastico, a tutti i mezzi mass-mediali e ai sindaci di tutti i comuni della Provincia, con il corredo di migliaia di appositi depliant illustrativi.
Una delle prove della refrattarietà lamentata viene confermata anche da un dato di fatto: la Provincia di Lecce, nel suo Statuto ha,  offerto ai Comuni la possibilità di convenzionarsi, con spesa limitata, con l’Ufficio del difensore civico provinciale.
Tuttavia, nessun comune, ad oggi, ha accolto l’invito: probabilmente per trascuratezza. Maggiormente ha inciso e incide un aspetto deleterio, quello di lottizzare, politicamente, tra gli incarichi amministrativi anche quello del difensore civico, aspetto deplorevole in quanto mostra che da noi la cultura della difesa civica vive ancora il suo “anno zero”.
La domanda dei cittadini leccesi di intervento da parte del difensore civico è varia ed,  in alcuni casi, stravagante; numerose sono le richieste  e spesso esulano  persino dagli specifici compiti;  ma questo non pregiudica la possibilità di ottenere un aiuto, una consulenza, o una segnalazione ai vari enti, ai quali compete operare in maniera esecutiva e decisionale.
Gli interventi del difensore civico della Provincia di Lecce hanno riguardato soprattutto i rapporti tra il cittadino e l’ente Provincia e precisamente : l’esclusione dai concorsi,  proroga di lavoro precario,  segnalazione di omissioni in gara d’appalto, controllo di impianti termici, sicurezza stradale non sempre completa ed efficiente.
L’Ombudsman  della Provincia di Lecce,  ultimamente, ha inoltrato,   alla Presidenza della Provincia, la proposta  di  istituire l’ufficio di  bonaria composizione delle controversie tra cittadini e provincia in materia di piccola conflittualità e piccolo contenzioso, al fine di ottenere vantaggi e risparmi di ogni tipo.
Si è quindi di fronte ad un’ennesima reincarnazione del difensore civico e del modo di guardare ad esso: la sua collocazione e la relativa azione tra gli strumenti e i metodi che si definiscono di Alternative Dispute Resolution, come accade negli Stati Uniti.
L’impegno può essere quello di far sì che la genericità dell’art. 8 (ora art. 11 T.U.E.L. 267/2000) venga superata da quella che si rende sempre più necessaria, cioè da una legge quadro che,  finalmente,  stabilisca quali debbano essere i principi, quali le linee guida che devono ispirare gli esercizi della funzione del difensore civico; una legge che restituisca ruolo e funzione ad una “magistratura” che, soprattutto nei Paesi del sud dell’Italia, è ancora considerata poco più di un singolo impiegato comunale; che renda inamovibile, (tranne che per fatti gravi inerenti la sua funzione), per un certo periodo di tempo,  il difensore civico sottraendolo agli umori politici delle maggioranze e dei consigli comunali, provinciali e regionali, che realizzi la sua effettiva autonomia attraverso un tipo di elezione,  che richieda un quorum ancora più ampio rispetto ai due terzi previsti in quasi tutti gli statuti, che non consideri l’incarico dell’Ombudsman come oggetto di “lottizzazione” politica e di trattative tra i partiti.
Il punto fondamentale oggi è l’apertura di grandi spazi all’azione del difensore civico nel momento in cui con il titolo V della Costituzione, parte II, i controlli esterni sugli atti amministrativi delle Regioni ed i controlli dei Comitati di controllo sugli atti dei Comuni e delle Province sono abrogati e nel momento in cui- ai sensi dell’ ultimo comma del nuovo articolo 118 Cost. – “è incentivato l’esercizio dell’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà”.
Secondo autorevole dottrina, è essenziale che si realizzi un controllo indipendente su come si amministrano le risorse pubbliche, tra le quali va ricompresa, ovviamente, l’informazione istituzionale dovuta al cittadino, che è anzi la prima fra tutte, in funzione di finalità, assieme di efficienza e di trasparenza. Un controllo non esterno e su atti puntuali perché tale non sarebbe quello del difensore civico, né potrebbe esserlo per intervenuta abrogazione costituzionale di tale tipo di sindacato; e nemmeno successivo-giurisdizionale, ma anche solo formale-legale.
La soluzione del 3° comma dell’art. 11 del vigente T.U.E.L., che fa del difensore civico una versione debole dei vecchi Co. Re. Co., appare al tempo stesso irrealistica e rinunciataria, perché da un lato pretende che il difensore civico controlli (eventualmente e ad istanza della minoranza) la maggioranza che, in larga misura, l’ha espresso e può revocarlo o non riconfermarlo, dall’altro sacrifica la prospettiva invece più moderna e promettente del controllo possibile: quello che dovrebbe piuttosto risolversi in uno “scrutinio preventivo rispetto all’efficacia ed in itinere di qualità democratica endoprocedimentale” , per così dire, un riferimento e una radice forte per legittimare il quale si ritrova inoltre – sul piano costituzionale – nell’ultimo comma dell’attuale art. 118 Cost..
Occorre, peraltro,  evitare di vedere e costruire l’Ombudsman come una sorta di para-magistrato; egli si trova nella possibilità di creare soluzioni facendo mediazione e proponendo, in posizione di terzietà, nuove soluzioni organizzative, ottimizzative ed equitative, che riposano sull’autorevolezza ed il prestigio di chi le avanza e per le quali sono decisive per un verso la sua indipendenza, per l’altro l’informalità e la non onerosità dell’accesso all’istanza di protezione, nonché la tempestività e l’aderenza al bisogno specifico della soluzione  trovata.
In questa fase riformatrice del titolo V, il legislatore deve maturare la convinzione della indispensabilità della funzione della difesa civica nel sistema della nostra democrazia, sostenendo una modifica dell’art. 11, comma 1°, della 267/2000 – a mente del quale il difensore civico “può” essere introdotto negli Statuti degli enti locali – emendandolo nel senso di dire che “deve” esservi introdotto, rendendo quella del difensore civico una istituzione obbligatoria, come è accaduto in Puglia dove, su sollecitazione dell’Associazione Nazionale Difensori Civici Italiani (ANDCI) regionale, nel nuovo statuto regionale sarà inserita la figura del difensore civico auspicata,  a dire il vero,  da oltre vent’anni e mai realizzata.
Secondo un’autorevole dottrina, tale obbligatorietà non è impedita dall’attuale lettera del titolo V, se è vero che la nuova formulazione dell’art. 117 Cost., ribalta completamente l’impostazione precedente dove erano indicate tassativamente le materie nelle quali le Regioni potevano legiferare in concorrenza con lo Stato, mentre in tutte le altre vi era potestà legislativa esclusiva dello Stato; ora, invece, sono elencate tassativamente le materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato (comma 2°) e alla legislazione concorrente tra Stato-Regione (comma 3°), mentre si afferma che spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata in base ai commi precedenti (comma 4°).
La competenza esclusiva dello Stato sulla giustizia amministrativa (art. 117 comma 2° lett. l) può consentire un suo intervento uniformizzante nel campo della difesa civica, una legge di sostegno dell’istituto che, sia pur con snellezza, ne fissi l’obbligatoria previsione, rinviando alle fonti di autonomia la disciplina puntuale dei modi di investitura, delle garanzie di indipendenza e delle funzioni.
Il difensore civico – o comunque strumenti di mediazione e garanzia di ascolto, ponderazione e soddisfazione di quanto possibile di diritti, interessi legittimi individuali e collettivi o diffusi e in definitiva anche di bisogni e situazioni da proteggere di soggetti deboli, che non fossero ancora riuscite ad attingere un sufficiente grado di formalizzazione, ma siano aspettative serie – è in quest’ottica determinante; lo è senz’altro, inoltre, nell’ipotesi che si debba garantire in concreto quella erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali, la cui determinazione generale è sicuramente riservata alla legge esclusiva dello Stato e che rappresenta la frontiera attuale dell’uguaglianza sostanziale. In ragione di tali possibili fondamenti, appare necessaria l’obbligatorietà dell’Ombudsman; se non si vuole gravare ciascun ente, anche piccolissimo, dell’onere relativo, possono essere previsti moduli consortili o convenzionali, ad esempio addossando interventi e costi connessi al difensore civico regionale o provinciale, su proposta dell’ente.
Il difensore civico deve autodifendersi, pretendere, attraverso i rappresentanti politici a vari livelli, una legislazione di sostegno per poter difendere i bisogni dei cittadini; la forza di questo istituto è di essere il motore di una nuova cultura dei diritti e dei doveri di cittadinanza, una cultura  fantasiosa, morbida, suasiva.
Fantasiosità, capacità di vivere nelle scuole, di essere promotori della cultura civica, in questi termini il difensore civico diventa il protagonista di una strada laterale rispetto alla strada della tutela giudiziaria, interventore ausiliario del cittadino e,   come qualcuno ha detto, coniando una bella immagine, deve essere il “megafono destinato a dare voce a chi normalmente non l’ha o ne possiede una flebile”.
L’Ombudsman si trova nella possibilità di creare soluzioni facendo mediazione e proponendone delle nuove in posizione di terzietà.
C’è innanzitutto stato un tentativo di copertura costituzionale dell’istituto della difesa civica (con l’introduzione dell’art. 97 bis) nell’ultima bicamerale (D’Alema), che ha fatto la fine improduttiva di tutta la Commissione e del suo lavoro. Per ora c’è stato anche il fallimento di introdurre un difensore civico nazionale, almeno con legge ordinaria e a Costituzione invariata. L’ultimo progetto di legge in ordine di tempo, intitolato “Istituzione del difensore civico”, è stato presentato in Parlamento il 30 maggio 2001 su iniziativa dell’Onorevole Boato (p.d.l. 189). Il difensore civico, così come definito nel disegno di legge, non comporterebbe la soppressione dei difensori civici regionali, né una loro subordinazione al difensore civico nazionale, anzi si prevede una netta distinzione delle rispettive competenze, mentre per svolgere i compiti nella periferia dovrebbe prevedersi una convenzione con il difensore civico regionale. Circa le funzioni che dovrebbe avere il difensore civico nazionale non vi sono spunti di novità rispetto alla corrispondente figura regionale e locale, venendo questi a configurarsi come un ufficio avente strettamente una funzione propulsiva, propositiva e di impulso nei confronti delle amministrazioni statali. Tra l’altro  si pongono interrogativi sul rapporto tra questo difensore civico “generale” di eventuale istituzione e quelli che emergerebbero se si consolidasse un’altra tendenza: di prevedere figure settoriali, pubbliche o private, che ne esercitino le funzioni caso per caso, vale a dire per esempio per la tutela dei diritti dell’infanzia, per la tutela dei portatori di handicap o del cittadino in armi ed altri ancora. E c’è, ancora,  il problema del raccordo di tutto questo sistema a rete con il Mediatore europeo, che opera dal 1994 e il cui possibile ricorso costituisce una delle facoltà che danno contenuto e sostanza all’istituto della “cittadinanza europea”.
Come per i conflitti più violenti che si dispiegano in sede internazionale o dentro altri paesi, così, al fine di superare i contrasti di interessi e di opinione che si sviluppano all’interno delle diverse parti della nostra comunità nazionale, occorre adoperare il metodo del dialogo e della mediazione, perché le reciproche differenze culturali e le legittime diversità di aspettative materiali dei differenti territori siano conosciute, comunicate e discusse con sempre maggior approfondimento, le debolezze rafforzate e i punti di forza delle varie comunità ed aggregazioni sociali valorizzati attraverso una loro integrazione che non metta capo ad una piatta omogeneità, ma di quelle distinzioni, che sono l’eredità attuale di un lascito storico, colga la ricchezza e la capacità di stimolo al bene comune.

di Marcella Cazzetta