Il pensiero amministrativistico di Giorgio Berti: l’amministrazione capovolta

19.01.2006

Questo scorcio del pensiero di Giorgio Berti sull’amministrazione è tracciato con l’emozione di chi lo ha sempre visto come un “fratello maggiore”, avendo con lui non solo condiviso la relazione con uno stesso maestro, Feliciano Benvenuti, ma praticato da un quarantennio una schietta comunanza di ideali e di affetti. Questa profonda sintonia dovrebbe render possibile penetrare con fedeltà il pensiero di Berti; ma non toglie la possibilità che, come suole avvenire nella comprensione di ogni sistema giuridico e dell’intera vita d’una collettività e nella lettura di ogni autore e di ogni opera (anzi, come si sa, in ogni forma di conoscenza), così anche in questo caso passi la soggettività del lettore, dando a quella lettura, entro certi limiti, un carattere individuale e problematico, a cui l’autore considerato è ovviamente il più legittimato ad apportare correzioni. E naturalmente la condivisione non impedisce che, accogliendo molto dell’impianto dell’autore, sul finire di questo discorso si affaccino, e proprio all’interno di quell’impianto, alcuni interrogativi.
Peraltro, il titolo di questo contributo, formulato da un gruppo di amici e che porta in particolare l’impronta dell’acuta fantasia di Federico Spantigati, indica già il tenore, dunque accreditato da una comune lettura, delle concezioni di Giorgio Berti intorno all’amministrazione. Siamo evidentemente in presenza di un’interpretazione dell’amministrazione non convenzionale, di un lavoro scientifico che non sta, o comunque non sta tutto né prevalentemente, dentro i paradigmi correnti. Un carattere che potrebbe rendere l’autore un personaggio addirittura scomodo per qualcuno, se non fosse che la discrezione, la signorilità e la ritrosia che sono sue impediscono che l’oggettivo contrasto di quell’interpretazione con le idee ricevute si trasformi in diffidenza o antipatia.

di Umberto Allegretti


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