Mestre – Centro culturale S. Maria delle Grazie – 10 novembre 2006
1. Lo statuto costituzionale della città metropolitana
La costituzionalizzazione delle Città Metropolitane costituisce certamente una delle più importanti tra le novità introdotte dalla riforma del Titolo V.
Dalle molteplici norme costituzionali (artt. 114, 117, co. 2, lett. p), 118, 119 e 120) che fanno riferimento alla città metropolitana possiamo trarre uno loro “statuto costituzionale”, che ruota intorno ai principi di doverosità, necessarietà e differenziazione.
L’inserimento della città metropolitana tra le istituzioni costitutive della Repubblica rende doverosa e non rinviabile la loro istituzione, nonostante il silenzio della carta fondamentale sulle relative modalità.
La loro istituzione rientra, difatti, tra i primi atti che il Governo si è impegnato ad adottare per riavviare il processo riformatore e il pieno adeguamento dell’ordinamento repubblicano alle direttive dettate dal Titolo V, dopo la recente bocciatura della “riforma della riforma”.
Il riconoscimento operato dalla carta costituzionale (art. 114 Cost.) degli enti costitutivi della Repubblica, se da un lato ne giustifica la pari dignità istituzionale, dall’altro presuppone una loro differenziazione.
Infatti, la considerazione secondo la quale la enumerazione degli enti suppone una diversità delle funzioni da svolgere, richiede di superare eventuali sovrapposizioni e ripetizioni tra le funzioni loro tributate.
Dunque, bisogna ripensare il carattere necessario dei diversi enti territoriali che possono insistere sulla medesima porzione di territorio, problema che si presenta in modo particolare se si prende in considerazione il c.d. governo di area vasta.
Da una necessaria stereotipizzazione, sul modello napoleonico, dell’intero territorio nazionale e da una sua divisione nei tre tipi di enti (Comune, Provincia e Regione), che dovevano essere presenti ovunque, secondo un modello di cerchi concentrici, si passa alla possibilità di una presenza diversificata delle istituzioni sul territorio, nonché delle articolazioni periferiche dell’amministrazione statale, in conseguenza dell’abrogazione dell’art. 129 Cost..
E così si possono concepire porzioni del territorio e comunità su di esso insistenti che non sono governate dai medesimi enti: si tratta ad esempio del caso di Roma capitale sulla quale potrebbe essere escluso il governo della Provincia o della Regione, ma anche il caso delle città metropolitane che si potrebbero sostituire ai comuni o alle province.
2. Il dibattito politico italiano e le indicazioni comunitarie
Testimonianza dell’attualità del tema concernente l’ordinamento e l’istituzione delle città metropolitane è fornita dallo spazio ad esso dedicato, oltre dai mass media, dal Parlamento nell’ambito della recente indagine conoscitiva sull’attuazione del Titolo V della Costituzione.
Le audizioni dei rappresentanti delle Istituzioni pubbliche e della società hanno evidenziato una comune convergenza sulla necessità di procedere all’istituzione delle città metropolitane e, al contempo, di evitare il proliferare dei livelli di governo.
Le scelte nazionali non possono non tener conto dei percorsi intrapresi a livello comunitario. A tal proposito la Commissione ha rivolto, di recente, al Consiglio e al Parlamento Europeo una comunicazione su “la politica di coesione e le città”, nella quale si sottolinea come l’Europa sia caratterizzata da una struttura policentrica di piccole, medie e grandi città. Molte di esse si raggruppano in aree metropolitane, mentre altre costituiscono l’unico centro urbano di una regione.
In questo quadro le città rivestono un’importanza capitale per raggiungere obiettivi di crescita e di occupazione, poiché in esse si trovano la maggior parte dei posti di lavoro, delle imprese e degli istituti di insegnamento superiore; la loro azione è inoltre determinante nella realizzazione della coesione sociale. Le città sono i centri della trasformazione basata sull’innovazione, sullo spirito imprenditoriale e sulla crescita economica.
È, pertanto, importante stabilire una cooperazione flessibile tra i vari livelli di collettività pubbliche. Le città devono trovare, nel rispetto dell’organizzazione istituzionale propria a ciascuno Stato membro, le forme di governance efficaci che consentano loro di gestire tutti gli aspetti dello sviluppo urbano.
3. La città metropolitana e “la Carta per le autonomie”
Come già anticipato, il Governo intende riavviare il processo di attuazione del Titolo V, con alcuni interventi normativi di carattere generale – sistematico.
Il Governo e la sua maggioranza parlamentare, pertanto, sono chiamati non solo ad individuare le funzioni fondamentali degli enti locali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. p) della costituzione, ma a ripensare il quadro ordinamentale delle autonomie locali, pur con la consapevolezza che la posizione costitutiva ed equiordinata riconosciuta agli enti locali, la cessazione del potere di controllo regionale, l’ampliamento delle prerogative autonomistiche, il sistema paritario di relazioni istituzionali hanno determinato il superamento della titolarità in capo allo Stato di un potere ordinamentale invasivo, preminente ed eterodiretto.
Dunque, si apre la strada verso una “Carta per le autonomie locali”, quale fonte deputata a garantire le prerogative autonomistiche nel nuovo ordinamento policentrico. Si tratta di individuare un complesso di garanzie generali per le istituzioni locali, necessarie per la tenuta unitaria dell’ordinamento della Repubblica.
Riteniamo che le problematiche concernenti la disciplina e l’istituzioni delle Città metropolitane vadano affrontate e risolte nell’ambito del nuovo quadro ordinamentale che il governo intende realizzare, attraverso il perseguimento di tre obiettivi e principi fondamentali: la semplificazione della rappresentanza territoriale, la sanità della gestione finanziaria, la democraticità dell’amministrazione.
4. Le nozioni di “area metropolitana” e di “città metropolitana”
Per poter definire una coerente ed adeguata disciplina legislativa per le città metropolitane bisogna interrogarsi sulla portata dell’art. 114 Cost., ed in particolare chiedersi se la previsione tra gli enti costitutivi della Repubblica della città metropolitana esaurisce le possibile forme di governo del territorio metropolitano oppure si possono prevedere ulteriori strumenti/sistemi di governo metropolitano.
A tal proposito è utile ripercorre l’evoluzione legislativa dell’istituto.
L’introduzione sul piano generale della città metropolitana – preceduta in ambito regionale dalla legge siciliana n. 9 del 1986 – risale alla legge n. 142 del 1990, che considerava “aree metropolitane” le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali, e prevedeva contestualmente che nell’area metropolitana la provincia si configurava come autorità metropolitana con specifica potestà statutaria ed assumeva la denominazione di “città metropolitana”.
La successiva legge n. 436 del 1993, oltre a rendere facoltativa la delimitazione dell’area metropolitana da parte della regione, si è preoccupata di prorogare i termini previsti dalla legge n. 142 del 1990 per l’istituzione delle città metropolitane.
La legge n. 265 del 1999 – ripresa nel dlgs. n. 267 del 2000 -, pur ribadendo la previsione delle aree metropolitane, per quanto riguarda gli strumenti di governo metropolitane distingue tra città metropolitane ed esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali.
In particolare si dispone che nelle aree metropolitane, il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali possono costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato, enti che acquisiscono le funzioni della provincia.
Tuttavia si prevede che fino all’istituzione della città metropolitana la Regione, previa intesa con gli enti locali interessati, può definire ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associative e di cooperazione, nelle materie della pianificazione territoriale, delle reti infrastrutturali e servizi a rete, dei piani di traffico intercomunali, della tutela e valorizzazione dell’ambiente e rilevamento dell’inquinamento atmosferico, degli interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica, della raccolta, distribuzione e depurazione delle acque, dello smaltimento dei rifiuti, della grande distribuzione commerciale e delle attività culturali.
Inoltre, se la legge n. 142 del 1990 disponeva che la Regione Sardegna poteva con legge delimitare l’area metropolitana di Cagliari, la legge n. 265 del 1999 fa salve le città metropolitane e le aree metropolitane definite dalle regioni a statuto speciale (Palermo, Catania, Messina, Trieste), nonché le leggi regionali vigenti in materia di aree metropolitane.
Delle 14 Città Metropolitane 7 (Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Catania, Palermo e Messina) hanno delimitato l’area metropolitana, mentre le altre 7 (Torino, Milano, Trieste, Roma, Napoli, Bari e Cagliari) non hanno invece provveduto ad individuare formalmente l’area, anche se per alcune di queste sono stati realizzati studi e proposte di perimetrazione.
La ricostruzione del quadro normativo ci consente di avanzare alcune considerazioni.
In primo luogo si rileva che il legislatore ha fatto ricorso ai due modelli di governo metropolitano, che la scienza del diritto ha elaborato e che si possono rinvenire a livello europeo: quello strutturale – per il quale il governo dell’area metropolitana è attribuito ad una apposita istituzione (ente locale) – e quello funzionale – basato sulla conferma dell’assetto del governo locale esistente e sul ricorso a forme di cooperazione interistituzionale.
Pertanto, se la città metropolitana costituisce l’istituzione locale di governo delle aree territoriali ad intensa urbanizzazione, l’esercizio coordinato delle funzioni metropolitane (di area metropolitana) costituisce uno strumento di riordino/razionalizzazione funzionale che prescinde sia dalla delimitazione dell’area metropolitana sia dalla istituzione della città metropolitana.
In secondo luogo la facoltatività dell’istituzione delle città metropolitane rispetto alla delimitazione dell’area metropolitana apre la strada verso una autonomia concettuale di quest’ultima nozione. Infatti, alla delimitazione dell’area metropolitana non deve necessariamente corrispondere la costituzione di una città metropolitana. Pertanto, possiamo avanzare un’autonomia concettuale della nozione di area metropolitana.
Il medesimo legislatore ci fornisce una conferma di questo assunto quando utilizza la nozione di area metropolitana per disciplinare materie peculiari ed autonome rispetto ai sistemi di governo metropolitano. Ad esempio, nel disciplinare gli accordi territoriali (ex art. 2, comma 3, L. 9.12.1998, n. 431) stipulati fra organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori per la determinazione del canone dei contratti di locazione di natura transitoria si fa riferimento alle aree metropolitane di Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Torino, Bari, Palermo e Catania, e ai comuni con esse confinanti (art. 2, comma 2, del D.M. Infrastrutture-Economia 30.12.2002).
Queste considerazioni devono confrontarsi con la lettera dell’art. 114 Cost., che nell’individuare gli enti territoriali costituitivi della Repubblica indica soltanto la Città metropolitana, nonché con l’art. 118 Cost., che prevede tra i livelli di governo presso i quali collocare per esigenze unitarie le funzioni amministrative le Città metropolitane.
A tal proposito si può ritenere che il legislatore costituzionale con l’art. 114 Cost. ha inteso riconoscere gli enti territoriali aventi carattere costitutivo, istituzionale e rappresentativo delle comunità di riferimento, senza con ciò incidere sulle possibili articolazioni territoriali degli stessi, mentre il richiamo contenuto nell’art. 118 cost. del principio di adeguatezza conforta la legittimità costituzionale delle forme di cooperazione tra gli enti locali.
Pertanto, è possibile prospettare – e, di conseguenza, regolare con legge ordinaria – un governo del territorio metropolitano che non sia attribuito necessariamente alla città metropolitana.
5. Le proposte del Governo
5.1. Il governo di area vasta
È evidente come l’istituzione delle Città metropolitane si incrocia da un lato con l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, dall’altro con la disciplina del governo di area vasta.
Infatti, le funzioni fondamentali devono disegnare la “differente” identità delle istituzioni locali, e allo stesso tempo garantire una semplificazione del governo locale.
Il carattere policentrico dell’ordinamento repubblicano rende sempre più attuale e non rinviabile la necessità di assicurare una governance locale mediante la ridefinizione del c.d. “governo di area vasta” ovvero degli istituti volti perseguire una dimensione ottimale nell’erogazione dei servizi ai cittadini.
Il principio di sussidiarietà, che anima il nuovo quadro istituzionale, chiede, infatti, alle autonomie locali di assolvere adeguatamente alla missione di governo dei fenomeni sociali e delle istanze delle collettività locali e induce a ripensare le responsabilità dei diversi livelli istituzionali.
Nel sistema multilevel, che oggi caratterizza il nostro ordinamento, operano molteplici soggetti:
1. comune
2. associazioni
3. ambiti territoriali ottimali
4. province
5. città metropolitane
Appare, pertanto, doveroso operare una razionalizzazione del sistema, evitando per quanto possibile sovrapposizioni e duplicazioni di ruoli e compiti.
Le riflessioni sin qui svolte rendono necessario:
– definire in maniera ragionata e ponderata le funzioni fondamentali dei comuni e quelle degli altri livelli di governo locale
– individuare (e semplificare) i soggetti cui attribuire il governo di area vasta
L’obiettivo politico – istituzionale da perseguire è la riduzione a due livelli dell’individuazione delle funzioni “tipiche”: il livello comunale e il livello di area vasta.
In questo quadro la città metropolitana costituisce un ente di area vasta, la cui presenza tende ad escludere quella di altri soggetti.
Le città metropolitane dovranno nascere sulla base delle varie esperienze che si sono sviluppate nelle differenti realtà italiane. In particolare dalle esperienze maturate in questi ultimi anni è possibile trarre tre modelli per la costituzione della Città metropolitana:
1. lo sviluppo/incremento delle funzioni e competenze del comune capoluogo (assorbimento da parte del comune capoluogo dei comuni contermini)
2. l’associazionismo dei comuni insistenti sull’area (la città metropolitana quale risultanza di processi aggregativi dei comuni)
3. la trasformazione dell’ente provinciale (la città metropolitana svolge anche le funzioni provinciali e si sostituisce alla provincia)
5.2. I sistemi di governo metropolitano
La definizione dei sistemi di governo metropolitano non può ridursi ad una mera ingegneria costituzionale, ma deve tener conto delle caratteristiche delle comunità e dei territori metropolitani. Sicché possono configurarsi due strumenti/sistemi: la città metropolitana, quando la realtà socio-territoriale è caratterizzata da forte conurbazione e da consolidata interazione/interdipendenza, e la cooperazione (associazione) metropolitana, quando non vi è o è debole la conurbazione.
A tal proposito il principio di necessaria differenziazione tra le istituzioni locali richiede di non perseguire un modello uniforme di governo del territorio metropolitano al fine di rispettare la diversità territoriale e comunitaria delle stesse.
Si reputa, pertanto, possibile in base al grado di conurbazione ed integrazione territoriale, sociale ed economica, sia prevedere forme e strumenti diversificati di governo del territorio metropolitano –città metropolitane e cooperazione metropolitana-, sia procedere in tempi adeguati e differenti all’istituzione di questi organismi metropolitani, partendo dalle realtà metropolitane già individuate dal nostro ordinamento.
Come riferito all’inizio della nostra riflessione il legislatore statale, nel fissare la disciplina del relativo ordinamento, non potrà non tener conto dello “statuto costituzionale” delle città metropolitane, che riconosce e garantisce loro:
– una potestà statutaria e regolamentare
– funzioni fondamentali e funzioni proprie
– una specifica disciplina elettorale
– una adeguata articolazione organizzativa
– risorse finanziarie adeguate
– una dimensione adeguata del territorio
– un processo partecipato per l’istituzione.
5.3. Il percorso per l’istituzione delle città metropolitane
È convincimento diffuso che non si possa procedere all’istituzione delle nuove città metropolitane prima della definizione delle funzioni fondamentali che i diversi livelli di governo locale dovranno esercitare. Questa indicazione esclude, pertanto, la possibilità di invocare oggi la disciplina contenuta nel, pur vigente, testo unico, nonostante il silenzio della carta costituzionale.
In particolare, il silenzio della Costituzione sul percorso per l’istituzione delle città metropolitane non può essere interpretato quale conferma della mancanza di vincoli costituzionali.
È profondamente legato alla natura costitutiva e democratica delle autonomie, espressa dagli artt. 5 e 114 Cost., la necessità di seguire un processo istitutivo partecipato dagli enti interessati.
L’evidente incidenza dell’istituzione delle città metropolitane sull’assetto territoriale delle province legittima, inoltre, la competenza legislativa dello Stato, che attraverso la partecipazione delle istituzioni e comunità locali interessati dovrà garantire il carattere “repubblicano” della legge istitutiva.
A tal proposito, la giurisprudenza costituzionale (C. Cost. 374/1994) ammette che l’istituzione di una nuova Provincia (o la modifica della circoscrizione di una Provincia esistente) possa essere effettuata, oltre che con legge formale delle Camere, anche mediante il ricorso ad una delega legislativa, nel rispetto dei limiti richiamati nell’art. 76 della Costituzione. Per la Consulta non è dato individuare ostacoli di natura costituzionale suscettibili di impedire che gli adempimenti procedurali destinati a “rinforzare” il procedimento (e consistenti nell’iniziativa dei Comuni e nel parere del la Regione) possano intervenire, oltre che in relazione alla fase di formazione della legge di delegazione, anche successivamente alla stessa, con riferimento alla fase di formazione della legge delegata.
Naturalmente, l’istituzione degli organismi metropolitani non mancherà di incidere sulle articolazioni periferiche dello Stato, contribuendo ad una loro razionalizzazione, soprattutto oggi alla luce dell’abrogazione dell’art. 129 Cost..
Le scelte del legislatore devono essere guidate dal principio costituzionale di adeguatezza che richiede, da un lato, di sperimentare nuove forme aggregative al fine di garantire la fruizione delle prestazioni dei diritti civili e sociali, dall’altro, di procedere ad una razionalizzazione e semplificazione degli apparati pubblici.
In conclusione, se bisogna rifuggire dalle mere rivendicazioni localistiche, espressione di un’autonomia più rivendicata che praticata, al contempo non si può ridurre la regolazione e l’istituzione degli organismi metropolitani a meri interventi di ingegneria costituzionale.
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