Giovanna De Minico, Regole – Comando e consenso, Giappichelli, Torino, 2005

27.09.2005

Il volume analizza una tipica problematica contemporanea del diritto: quella della “scomposizione” dell’ordinamento giuridico, della frammentazione del sistema delle fonti e degli effetti che queste stesse hanno generato sui procedimenti di produzione delle regole giuridiche negli ultimi due decenni. La funzione di regolazione non è più infatti riservata allo Stato, ma è da questo condivisa con «autori indebiti, pubblici o privati».
Il testo si articola attorno ad una lettura parallela dei poteri normativi di due soggetti: le autorità indipendenti (Capp. Primo e Secondo) e i privati (Cap. Quarto). Nel primo caso, l’analisi ha ad oggetto i poteri regolamentari della Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa), dell’AGCom (Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni) e del Garante per la protezione dei dati personali (Autorità per la Privacy). Nel secondo, l’esempio proposto di “autoregolazione” privata è quello dei codici di deontologia professionale, specie quelli dei giornalisti, quelli in materia di protezione dei dati personali e quelli sull’informazione politica. La scelta di tale accostamento scaturisce dalla constatazione che entrambi questi soggetti, nell’esercitare il potere di autoregolazione, producono regole di diritto oggettivo. Ciò fa sorgere la necessità non solo di individuarne i modelli di legittimazione, ma pure di collocare questi fenomeni all’interno dell’ordinamento nel suo complesso e, dunque, di conoscere le logiche endogene, sostanziali e procedimentali di produzione delle regole.
Per le autorità indipendenti il fondamento del potere regolatorio, esclusa la provenienza dall’alto del potere statale, viene individuato nell’esperienza pratica («il limite del fatto spinge il potere regolativi verso il basso»), che rappresenta un «tipo nuovo di necessità di normazione». Dopo aver analizzato i caratteri del potere normativo delle Autorità, l’Autrice ne fornisce una interpretazione compatibile con l’ordinamento costituzionale, alternativa al circuito democratico-rappresentativo.
Nel secondo capitolo si analizzano i procedimenti di formazione delle regole delle Autorità indipendenti, specialmente sotto il profilo della partecipazione dei soggetti regolati alla produzione di tali regole, partecipazione che viene letta come elemento in grado di compensare il deficit di legittimazione politico-rappresentativa delle Autorità. La rappresentanza di interessi, in luogo di quella politica, «comunica democraticità alle autorità indipendenti altrimenti prive di questo attributo».
All’autoregolazione dei privati è dedicato il capitolo quarto. Quanto alla collocazione, «l’autoregolazione inizia dove finisce l’eteronormazione partecipata»: nell’arco che va dal comando al consenso, essa si situa subito dopo l’eteronormazione propria delle Autorità indipendenti, portandola a termine, in un ideale continuum. Anche qui è la «necessità che governa il settore di riferimento» a generare e giustificare l’autoregolazione (o diritto dei privati), attraverso cui il privato si autolimita. A differenza delle condizioni generali di contratto che, per la loro genesi unilaterale e per la natura pattizia, non divengono fonte del diritto, i codici deontologici sono suscettibili di creare diritto oggettivo, producendo regole a valere per tutti gli «omnes, iscritti o meno al soggetto collettivo autore della regola». In questa nuova architettura plurale del sistema giuridico, al legislatore residueranno compiti esclusivi, tanto in fase preventiva (predisporre le nervature istituzionali entro cui il potere dei privati potrà dispiegarsi) quanto in fase successiva (di controllo e correzione dei sistemi autoregolatori), secondo una particolare lettura del principio di sussidiarietà orizzontale.
L’analisi si arricchisce di un elemento comparatistico: i due temi (autoregolazione delle Autorità indipendenti e dei privati) sono infatti posti a confronto, rispettivamente, con l’esperienza delle Independent Regulatory Commissions statunitensi (Cap. Terzo) e con alcuni casi britannici di self regulation (Cap. Quinto).
Nelle Conclusioni, l’Autrice propone una ricomposizione del sistema. Pur dando atto che «la novità è indiscutibile», si riconosce che essa «non giunge ad esiti rivoluzionari». Non, dunque, una condivisione paritaria del progetto normativo fra Stato e destinatari delle regole, né sistema autopoietico: l’eteronomia classica e l’imperatività (come opposto del consenso anticipato dei destinatari delle regole) continuano a caratterizzare tanto il diritto delle Autorità indipendenti quanto l’autoregolazione. La prospettiva proposta è quella “reticolare”, con la fonte statuale e le altre organizzate secondo modelli cooperativi. Pure in questo modello di «equilibrio dinamico», tuttavia, lo Stato continuerà a detenere il ruolo forte di «architetto del sistema»; ad esso spetterà sempre il compito di «ricondurre il molteplice ad unità, ricomporre il diritto imperativo e quello consensuale a sistema».
Lo Stato resterà dunque imperituro «regolatore di ultima istanza».

d.dellapenna