Meloni G., L’amministrazione locale come amministrazione generale, Roma, Luiss University Press, 2005

07.03.2006

1. Il volume di Guido Meloni, dal titolo “L’amministrazione locale come amministrazione generale”, si pone l’obiettivo di illustrare le conseguenze prodotte in ordine al ruolo degli enti territoriali “minori” dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del titolo V della parte seconda della costituzione. La prima sensazione avvertita dal lettore è quella della notevole utilità di un’opera di questo genere. Benché infatti la dottrina abbia fin da principio ben colto l’impatto potenzialmente assai significativo della novella costituzionale sottolineando il carattere ormai prevalentemente autonomo e locale dell’amministrazione pubblica italiana (Cammelli) e la residualità del tradizionale modello ministeriale (Pajno), nonché tentando di risolvere i complessi problemi scaturenti dalle diverse qualificazioni formali delle funzioni di spettanza locale (Bin, D’Atena, Balduzzi, Falcon, Pizzetti, Corpaci, Pastori, Piraino, Mangiameli, Follieri, De Martin, Urbani, Fracchia, Marini, Rescigno) anche in relazione al potere statale e regionale di allocazione, si avvertiva l’esigenza di una riflessione monografica che collocasse organicamente le scelte al fine maturate nel 2001 nell’ambito della lunga evoluzione delle autonomie territoriali entro la cornice dello stato unitario.
In questo contesto l’ipotesi ricostruttiva di fondo, che l’autore opportunamente esplicita fin dalle pagine introduttive come si conviene nei lavori a tesi, è quella secondo cui si sarebbe assistito, a partire dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana , ad una profonda trasformazione nel modo di intendere la “generalità” dell’amministrazione locale: la quale, originariamente percepita alla stregua dell’idoneità di quest’ultima a farsi carico di tutti compiti concernenti le collettività di riferimento, assumerebbe oggi un significato ben più ampio ricomprendendo altresì tutte le funzioni che, pur non attinenti ad interessi esclusivamente locali, si presterebbero tuttavia alla localizzazione in base ai principi (ormai costituzionalizzati) di sussidiarietà e adeguatezza. In altri termini la stella polare dei processi allocativi sarebbe rappresentata non più (o non solo) dal tralatizio criterio soggettivo dell’interesse, bensì da quello oggettivo dell’adeguatezza, di talché “alla tendenziale capacità degli enti territoriali autonomi di occuparsi della pluralità indefinita dei fini riconducibili ai bisogni e alle esigenze delle comunità, fa seguito una più ampia caratterizzazione dei livelli locali dell’amministrazione chiamati ad assumere tutte le funzioni […] esercitabili adeguatamente al corrispondente livello territoriale”. (pag. 4). Ne discende, con tutta evidenza, l’avvento di un modello di amministrazione affatto innovativo segnato dall’elemento della prossimità ai cittadini a prescindere dal livello dell’interesse, secondo una prospettiva che riunifica in una comune struttura ontologica la tradizionale partizione della sussidiarietà in una dimensione verticale ed in una orizzontale (Pizzetti).
Proprio alla luce di tale impostazione si può per altro comprendere un ulteriore tratto caratterizzante dell’opera che qui si recensisce, costituito dalla scelta dell’autore di appuntare la propria attenzione in larga misura sulla dotazione funzionale delle autonomie locali o meglio, come sarebbe più corretto dire, sui principi “di sistema” che ad essa dovrebbero presiedere ferma restando la perdurante necessità di una puntuale attuazione legislativa di matrice sia statale che regionale di cui si avverte ad oggi la sostanziale carenza. Ciò tuttavia non comporta una completa disattenzione verso le delicate implicazioni della nuova generalità dell’amministrazione locale sul terreno dell’organizzazione tout court e del finanziamento delle funzioni a vario titolo conferite; siffatti profili, anzi, vengono richiamati, sia pure sinteticamente, nella parte conclusiva del lavoro ove essi trovano una sedes certamente adeguata stante il nesso di stretta consequenzialità che intrattengono col più generale inquadramento del ruolo assegnato a comuni, province e, in prospettiva, città metropolitane, in ordine al soddisfacimento dei bisogni dei cittadini.

2. Le considerazioni svolte in premessa consentono ora di dar conto con maggiore consapevolezza dell’ossatura prescelta da Meloni per la propria trattazione; ossatura che scaturisce dall’incrocio tra analisi diacronica ed analisi statica. L’esegesi del dettato costituzionale novellato dalla riscrittura del titolo V è preceduta infatti dalla ricostruzione delle principali tappe nelle quali la vicenda evolutiva delle “minori” istituzioni territoriali si è articolata proprio per l’esigenza, già sottolineata, di illuminare la progressiva comparsa di un nuovo concetto di generalità dell’amministrazione locale. Più precisamente il primo capitolo, dal titolo Il principio autonomistico e l’amministrazione locale: dal “nucleo” delle funzioni proprie alla competenza generale di comuni e province, ruota attorno all’impatto causato dalla Carta del’48 sul sistema delle autonomie e copre un arco temporale che giunge fino all’entrata in vigore del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Tale impatto si concreta, sulla scorta delle elaborazioni della migliore dottrina, nella rottura del rapporto di ausiliarietà delle istituzioni territoriali con lo stato tipico del modello autarchico e nell’affermazione di uno stretto nesso con le collettività di riferimento da cui discende la caratterizzazione delle funzioni locali in termini di funzioni volte al soddisfacimento di interessi e di bisogni localizzati.
Il secondo capitolo, dal titolo La generalità dell’amministrazione locale nella riforma amministrativa avviata dalla legge n. 59 del 1997, prende in esame la forte innovatività della riforma legislativa a Costituzione invariata evidenziando che “La ricostruzione dal basso del sistema delle competenze amministrative fondata sul principio di sussidiarietà, comporta […] il dover considerare il processo di riallocamento delle funzioni e dei compiti amministrativi non tanto con riferimento alla dimensione dell’interesse sotteso alle funzioni, quanto piuttosto alla dimensione delle funzioni […]” (pagg. 112 – 113).
Il terzo capitolo, dal titolo L’amministrazione locale come amministrazione generale nel nuovo quadro costituzionale, segnala il definitivo consolidamento, a seguito della novella del titolo V, del modello sperimentato con la l. 59/1997. Uno degli spunti di analisi a parere di chi scrive maggiormente condivisibili e convincenti è rappresentato tuttavia dalla sottolineatura del fatto che sarebbe riduttivo confinare il significato della novella del 2001 entro i limiti concettuali della mera costituzionalizzazione delle soluzioni escogitate dalla legislazione ordinaria della seconda metà degli anni novanta. Infatti, mentre quest’ultima “ doveva comunque necessariamente prendere le mosse da una competenza amministrativa statale da considerare come generale, rispetto alla quale operare con estrema perizia tecnica per sottrarre, attraverso i trasferimenti, le attribuzioni e le deleghe, porzioni consistenti di funzioni, oggi invece il processo è impostato dal primo comma dell’art. 118 cost. in senso esattamente opposto” (pag. 187). In certa misura, dunque, l’art. 118 Cost. attualmente vigente fonda una prospettiva inedita, nell’ambito della quale la titolarità in capo agli enti locali delle competenze amministrative da essi adeguatamente esercitabili costituisce la regola, essendo il riassorbimento delle stesse da parte dei “superiori” livelli di governo l’eccezione giustificabile unicamente in chiave di esigenze di esercizio unitario.
Seguono infine, come anticipato in precedenza, delle Considerazioni conclusive ove Meloni assai opportunamente passa in rassegna i nessi della propria ricostruzione con l’organizzazione locale, col finanziamento delle funzioni e col rapporto tra amministrazione locale e amministrazione periferica dello stato.

3. Tentando ora qualche sintetica valutazione d’insieme, si vuole anzitutto sottolineare come il libro di Meloni raggiunga un perfetto punto di equilibrio tra completezza della trattazione e chiarezza dell’esposizione. L’esaustività dei riferimenti dottrinali, giurisprudenziali e di diritto positivo, certo indispensabili in una materia da lungo tempo all’attenzione dei giuspubblicisti, non pregiudica la sussistenza di un filo conduttore fortemente unitario e costantemente percepibile dal lettore.
Sul piano del merito i risultati dell’indagine appaiono largamente condivisibili. Per cominciare è convinzione di chi scrive che il nuovo art. 118 Cost. supporti pienamente un’interpretazione in virtù della quale la dotazione funzionale dei “minori” enti territoriali si estende, particolarmente sub specie di funzioni conferite, ad un complesso di compiti che, a prescindere da ogni considerazione sulla natura degli interessi, risultano localizzabili in ossequio al principio di adeguatezza. D’altra parte è assolutamente degno di nota il tentativo dell’autore di offrire una caratterizzazione in termini sostanziali e non meramente procedurali del principio di sussidiarietà il quale postula, come si coglie in numerosi passaggi del volume in oggetto, la funzionalizzazione dei processi allocativi alla edificazione di un’amministrazione pubblica il più possibile “vicina” ai cittadini.
Cionodimeno si nutre qualche perplessità che concerne non tanto la tenuta del modello sul piano teorico, quanto la sua capacità di affermarsi nella prassi anche al di là della perdurante inttauazione di alcune norme costituzionali chiave (si pensi ad esempio alla mancata definizione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, alla mancata riforma dell’ordinamento locale, alla mancata attuazione delle previsioni sull’autonomia finanziaria). In particolare, se la declinazione del principio di adeguatezza è operata in termini puramente efficientistici (come sembra fare l’art. 7, comma 1 della l. 131/2003 che riconnette il concetto di esercizio unitario al buon andamento, all’efficienza o all’efficacia dell’azione amministrativa, ovvero ad esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale), si profila il pericolo di letture centralizzatrici suscettibili di svuotare dall’interno l’edificio costruito da Meloni: non si può infatti dimenticare che proprio la moltiplicazione delle sedi decisionali connaturata ad un ordinamento policentrico è spesso vista come “nemica” dell’efficienza dei pubblici poteri. Queste preoccupazioni si consolidano se si tiene poi conto di alcuni ulteriori profili.
In primo luogo, nonostante il tentativo di affermare configurazioni magis ut valeat della sussidiarietà, dominus dei processi allocativi resta pur sempre il legislatore (statale o regionale), sulla base di scelte il cui sindacato risulta assai problematico in quanto esposto al duplice rischio di sconfinamenti nell’area delle valutazioni politiche e di riduttivi confinamenti entro i limiti di un labile controllo esterno di ragionevolezza.
In secondo luogo il tessuto costituzionale continua a soffrire di gravi lacune, particolarmente sotto il profilo dell’insufficiente configurazione di sedi di raccordo tra enti territoriali e dell’impossibilità per gli enti locali di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale per tutelare le proprie prerogative.
In terzo luogo la legislazione ordinaria, nella quale la giurisprudenza costituzionale si specchia a partire dalla ben nota sentenza 303/2003, sembra aver fin qui sperimentato soprattutto la valenza “ascendente” del principio di sussidiarietà.
In questo contesto ci si chiede, dunque, se non possa conservarsi una qualche ragion d’essere ed un certo margine di operatività al criterio degli interessi, pur nella consapevolezza che esso indubbiamente non esaurisce l’ambito delle competenze amministrative locali. In particolare, se si ritiene – per usare le parole dello stesso Meloni (pag. 208 ss.) – che le funzioni proprie sono quelle che riflettono l’immediatezza del rapporto tra dato comunitario e dato funzionale, si può giungere a costruire attorno ad esse il “nucleo duro” dell’autonomia, per ciò stesso refrattario ad essere messo in discussione in virtù di considerazioni di carattere efficientistico.

recensione a cura di Marco Di Folco