Il Mezzogiorno internazionale passa per le reti virtuali

14.07.2004

Il recente rapporto “L’Italia delle imprese 2003”, realizzato dalla Fondazione Nord Est per Il Sole 24 Ore, sottolinea come l’imminente allargamento ad Est dell’Unione Europea venga visto dagli imprenditori come un’opportunità alla quale guardare con crescente attenzione.
L’Europa di domani rappresenta, dunque,“l’alveo prescelto all’interno del quale internazionalizzare le attività delle imprese”.
Lo stesso documento sottolinea come, d’altronde, buona parte delle imprese italiane abbia già sviluppato rapporti commerciali e produttivi con i futuri Paesi europei, anticipando gli imminenti assetti istituzionali e politici.
Il fenomeno dell’internazionalizzazione, inoltre, subirà un’ulteriore spinta espansiva se verrà accolta la proposta del Governo italiano (cfr. Secondo Memorandum per la Riforma dei Fondi Strutturali destinati alla Politica di Coesione) di includere i temi del partenariato internazionale delle Regioni nell’ambito dei programmi operativi del QCS 2007-13.
E’ opportuno evidenziare che nello studio condotto dalla Fondazione Nord Est si evidenzia la lontananza fra le imprese e i soggetti istituzionali preposti a seguire il fenomeno della internazionalizzazione. Solo il 9,7% degli imprenditori intervistati, infatti, individua nell’Istituto di Commercio Estero un soggetto affidabile con il quale rapportarsi. Con gli stessi occhi sono guardati i Ministeri e le Ambasciate.
Un ruolo significativo è giocato, invece, dalle Società di consulenza che, a vario titolo, si occupano di internazionalizzazione, guadagnandosi un certo riconoscimento da parte degli imprenditori (10,8%).
In questo scenario si collocano ora anche Regioni ed enti locali, che, in alcuni casi, hanno strutture ad hoc ed attuano piani strategici predefiniti; in altri casi invece, come si verifica per lo più nelle Regioni del Sud, affidano i rapporti internazionali a singoli investitori e ad operatori dinamici del territorio.
Bisogna soffermarsi sulle ragioni di questa diversità, ricollegabili fondamentalmente a due variabili strutturali: il sistema economico/produttivo e la collocazione geografica.
Il processo di internazionalizzazione dei sistemi locali e delle Amministrazioni Pubbliche prende avvio, generalmente, in risposta a domande che provengono dal territorio e solo successivamente si struttura e diventa una funzione autonoma.
L’ ente territoriale, rispetto al processo di internazionalizzazione, infatti, deve avere primariamente la funzione di accompagnare e supportare la proiezione all’estero di soggetti economici, culturali o sociali, che operano sul proprio territorio.
Solo successivamente l’ente stesso si struttura con risorse organizzative e finanziarie, al fine di creare una strategia locale per la realizzazione di partnership internazionali.
Rispetto alla variabile strutturale, è evidente come l’ubicazione geografica rappresenti una componente rilevante nelle relazioni internazionali.
Le regioni del Nord Italia, ad esempio, confinano con altri paesi membri dell’Unione e ciò comporta ovviamente una facilitazione in termini di circolazione di beni, persone e servizi.
Ricordiamo che tanto più elevata è la perifericità tanto più complesso è il processo di internazionalizzazione.
Rispetto al processo descritto e alle due variabili specificate, è evidente, quindi, che il Sud del Paese debba tener conto di questo fattore di ritardo infrastrutturale e debba sperimentare strategie di internazionalizzazione diversificate rispetto a quelle attuate dalle regioni del Centro-nord.
Il Meridione è però caratterizzato anche da una terza variabile che si potrebbe definire storico-culturale.
Grazie alla storia secolare di rapporti internazionali con altre civiltà, dovuta proprio alla sua posizione strategica nel Mediterraneo, il Sud Italia possiede uno dei patrimoni storico-culturali più importanti e ricchi d’Europa ed è proprio questo patrimonio il reale beneficiario di una efficace politica di internazionalizzazione.
E’ interessante osservare come la già ricordata indagine condotta dalla Fondazione Nord – Est abbia sottolineato come il Mezzogiorno viva oggi una fase di particolare attenzione verso i mercati esteri (da 28,3% del 2002, al 31,1% del 2003).
Anche il Rapporto Annuale 2003 del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, presentato lo scorso gennaio, sottolinea come il Sud mostri segnali di vivacità economica superiori al Centro – Nord (il PIL del Sud ha registrato un incremento pari allo 0,7%, più elevato rispetto a quello del Centro-Nord [0,3%]. Nell’ultimo quinquennio, 1999-2003, il tasso medio annuo di sviluppo del Sud si è attestato all’1,7%, contro l’1,4 del Centro-Nord).
Nel corso del 2003, infatti, nel condividere il rallentamento del ciclo economico, il Sud ha registrato andamenti lievemente superiori rispetto al resto della penisola, soprattutto nell’offerta imprenditoriale e nelle esportazioni che hanno mostrato e continuano a mostrare una discreta ripresa. Per la prima volta dal dopoguerra il PIL del Sud cresce più di quello del Centro-Nord: 1,9% contro 1,6%l’anno.
Indagini di diversa fonte (Banca d’Italia, Mediocredito Centrale, Associazioni industriali) confermano una crescente apertura delle imprese meridionali al commercio estero.
All’inizio degli anni novanta solo il 27% delle imprese meridionali vendeva all’estero; nella seconda parte del decennio la percentuale è salita al 40%.
L’evoluzione delle esportazioni meridionali dal 1995 al 2001 è stata leggermente superiore rispetto a quella delle esportazioni italiane, con un progressivo incremento del ruolo delle regioni in ritardo di sviluppo sul totale dell’export nazionale, passando dal 7% nel 1995 al 7,6% del 2001.
Il Rapporto del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione indica che il grado di apertura sui mercati esteri, calcolato tra le esportazioni e il valore aggiunto rispetto alla media nazionale, mostra un’evoluzione molto positiva, seppure con situazioni di partenza assai difformi da regione e regione.
Nel periodo gennaio-settembre del 2003, infatti, le esportazioni del Sud registrano una flessione, pari al 3,6%, inferiore alla media italiana. La situazione si presenta, tuttavia, molto differenziata a livello regionale. Il risultato, infatti, è influenzato soprattutto dalla performance negativa delle regioni peninsulari del Sud (-7,6%), mentre le isole registrano un aumento delle vendite pari all’8,9% (rispettivamente la Sicilia 3,9% e la Sardegna 20,7%), grazie al forte aumento in valore dei prodotti petroliferi esportati, che risentono meno della congiuntura economica negativa.
In effetti, il tasso di incremento delle esportazioni negli ultimi sette anni del Sud rimane superiore: 7,7% medio annuo contro il 4,1 del Centro-Nord.
Le esportazioni dei prodotti petroliferi rappresentano una componente importante del commercio del Sud anche se il loro andamento è fortemente influenzato dal prezzo del petrolio. Il Rapporto succitato evidenzia come d’altronde la crescita del Sud sia stata sostenuta dall’aumento del PIL per occupato, ossia della produttività del lavoro, che negli anni ’90 ha superato quello del Centro-Nord (6,6% medio annuo contro 6 %).
Un altro elemento positivo è l’incremento del numero delle imprese esportatrici, di cui oltre la metà è dato da imprese del Mezzogiorno con circa 5.000 unità in più.
Se dunque sul versante dell’internazionalizzazione attiva si registra qualche dato in controtendenza, non vi sono segnali di ripresa della cosiddetta internazionalizzazione passiva, ovvero la capacità di attrazione di investimenti esteri (marketing territoriale).
Le Regioni del Sud, infatti, continuano a non beneficiare in misura adeguata degli afflussi di investimenti diretti dall’estero (IDE), che rappresentano solo una percentuale limitatissima del flusso totale diretto in Italia (< 5%).
L’attrazione degli investimenti è, infatti, fondamentale per l’occupazione che ne deriva e soprattutto perché genera il trasferimento di tecnologie avanzate che possono accrescere la dinamica della produttività ed avere un effetto permanente sulla crescita.
L’attrazione di investimenti è inoltre lo strumento più efficace per assicurare una compiuta valorizzazione del patrimonio economico e sociale nelle sue molteplici eccezioni appena richiamate.
Una politica regionale di internazionalizzazione in tal senso dovrebbe quindi risolvere il gap infrastrutturale, migliorare la qualità dei servizi reali e finanziari e garantire maggiore controllo in materia di sicurezza. Non si tratta naturalmente di sterili affermazioni di principio e qualche cosa si sta movendo grazie al sostegno comunitario: questi sono, infatti, alcuni degli obiettivi fissati dal Quadro Comunitario di Sostegno ob.1 2000-2006.
Quest’ultimo introduce una importante innovazione rispetto al precedente periodo programmatorio, attribuendo ai collegamenti immateriali un forte potenziale di “rottura con gli andamenti tendenziali del passato”, in termini di variabili intermedie.
In tale contesto assume notevole rilievo l’internazionalizzazione, considerata una priorità trasversale rispetto agli assi tematici del QCS stesso e strumento di collegamento immateriale in grado di superare la perifericità di determinati sistemi locali.
Il QCS ha, infatti, ipotizzato una strategia tesa al miglioramento delle “condizioni di contesto” economico e sociale. Essa è volta all’incremento della dotazione di capitale sociale – in infrastrutture, in tutela e fruibilità del patrimonio naturale e culturale, in giustizia e ordine pubblico – per creare economie esterne, di contesto, che valorizzino le “risorse immobili”, naturali, culturali e umane (quelle la cui produttività, privata e sociale, è maggiore nel contesto locale), sviluppino nuove occasioni di investimento e favoriscano una crescita della produttività.
Si tratta di una politica di “nuova programmazione”, di accelerazione e riqualificazione degli investimenti pubblici, concepiti come un fondamentale strumento di offerta.
Il concetto di internazionalizzazione proposto e previsto nel QCS deve pertanto essere inteso nella più ampia accezione del termine, includendo, infatti, l’insieme delle interrelazioni economiche, istituzionali e culturali tra diversi territori.
In termini progettuali, devono ricomprendersi anche le azioni integrate di sistema che mirano a promuovere l’internazionalizzazione, in modo globale, di territori regionali o porzioni omogenee di essi.
Supporto all’internazionalizzazione attiva e attuazione degli investimenti non possono essere, comunque, due attività indipendenti; risultano essere , infatti, strettamente correlate e, anche se in maniera diversa, influenzate dalle medesime variabili, vale a dire la perifericità e il tasso di infrastrutturazione. Tanto maggiore sarà quest’ultima e, conseguentemente, minore la prima, tanto più efficaci saranno gli sforzi nelle direzioni sopra descritte.
Ne consegue che ogni passo verso la “smaterializzazione” dei collegamenti non possa prescindere da significativi investimenti proprio nelle infrastrutture, siano essi strade, ponti o reti virtuali.
Animazione economica, seminari e comunicazione istituzionale risultano essere sterili e generalmente inefficaci, se non supportate da robusti programmi di sostegno alle infrastrutture.
Un esempio per tutti.
Nel Mezzogiorno circa 21.000 aziende operano nel comparto tessile e abbigliamento, settore molto attivo che ha registrato nel Sud Italia un incremento dell’8,8% contro il 3,8% del centro – Nord (Rapporto Annuale DPS – 2003)
La variabile di crescita appare indissolubilmente legata alla logica della filiera; diversamente, si finirebbe nelle spire della grande distribuzione.
Internazionalizzarsi non significa produrre un piccolo accessorio per lo stilista francese; internazionale è l’azienda che tesse il broccato in una filiera produttiva del made in italy rintracciabile.
In questi casi nulla sarebbe più concreto e materiale di collegamenti virtuali in seno alla filiera produttiva, in grado di migliorare la competitività dei numerosi distretti del Sud Italia, da Calitri a San Marco dei Cavoti in Campania, dal nord barese a Casarano in Puglia e da Pescopagano a Venosa in Basilicata, di sviluppare il tessuto imprenditoriale minore e le realtà produttive locali.
Queste sono le principali infrastrutture del terzo millennio.
di Luciano Monti