Gaetano Pecora, Il pensiero politico di Gaetano Filangieri. Una analisi critica, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli ( Catanzaro), 2008

02.04.2008

L’amore incondizionato per la libertà ed il profondo rispetto per le idee altrui, anche quelle non condivisibili, sono i sentimenti che animano le pagine dell’ultimo lavoro che Gaetano Pecora ha consegnato alle stampe, per i tipi della Rubbettino, con il titolo Il pensiero politico di Gaetano Filangieri. Una analisi critica.
Ritengo che questo titolo non renda le atmosfere suscitate dalla lettura del testo. Un titolo troppo freddo e distaccato che fa pensare ad una sorta di esame autoptico di un corpo ormai esanime. Privo di linfa vitale. Mentre non è così! Proprio no! Al contrario: ogni pagina pulsa di un confronto appassionato e serrato con le tesi di Gaetano Filangieri. Pagina, dopo pagina, le idee assumono corpo e vita. Seducono e coinvolgono il lettore. Lo invitano a seguirle nei meandri reconditi del ragionamento, là dove i pensieri politici prendono forma e condizionano le esistenze.
Pecora interroga Filangieri, e questi rivive attraverso l’esposizione ancora accorata delle sue tesi. Forse risentito per le critiche che gli sono mosse, ma mai offeso. E come potrebbe? Egli, in fondo, avverte che Pecora non ha tutti i torti. E poi, le obiezioni sono formulate, certo con tono deciso, ma mai sprezzante, mai distruttivo, sempre privo di saccente supponenza. L’atteggiamento di Pecora è esente da ogni manifestazione di risentita arroganza. Di quella particolare arroganza che caratterizza molti studiosi. Una diffusa specie, questa, di pseudo-scienziati sociali che gode di più nel denunciare gli inevitabili limiti delle tesi dei maestri piuttosto che ricercare in essi quei rari brandelli di verità politiche. Frammenti di conoscenza che, accumulandosi in patrimonio comune, possano consentire di migliorare le nostre esistenze.
Se Filangieri era animato, ed io credo lo fosse, da sinceri propositi liberali non può che sopportare con tollerante stoicismo illuministico le argomentazioni di Pecora quando questi dimostra che l’applicazione di quelle particolari procedure giuridiche, formulate nella Scienza della legislazione, conducono, indipendentemente dalle intenzioni del loro autore, inesorabilmente verso esiti liberticidi.
Nelle pagine del volume di Pecora, Filangieri, come un personaggio della Commedia dantesca, interrogato, rivive ed espone con nostalgica passione le sue tesi attraverso la riproposizione di lunghi brani della Scienza. E, a più di due secoli di distanza, le sue parole ancora pulsano. Esse esprimono la difficoltà, più che mai attuale, di elaborare procedure giuridiche tali da garantire contemporaneamente le libertà individuali ed il mantenimento di un giusto ed armonico ordine sociale. Ecco: una ipotesi per un titolo che meglio avrebbe introdotto il lettore alla vitalità e all’attualità del testo di Pecora: Incontro con Gaetano Filangieri. Ovvero: limiti e contraddizioni per una legislazione liberale. Proprio di questa secolare difficoltà si tratta. In un certo senso, si può affermare che il testo di Pecora va oltre le intenzioni dichiarate dall’autore. Certo, egli ha cura di precisare che con il suo lavoro intende unicamente rispondere alla «domanda delle domande, quella per così dire – egli ricorda nelle pagine introduttive – che mi ha uncinato al gancio del suo interrogativo (…) : come si spiegano le altalenanti fortune di Filangieri la cui Scienza della legislazione, prima volò alta nella riconoscenza dei contemporanei che la salutarono come il manifesto della riscossa contro l’abuso e i privilegi; poi, a partire dai primi decenni del secolo decimonono, venne atterrata nella fangaia del confuso e del pericoloso dove è tutto un ripullulare di fermenti assolutistici e liberticidi». Eppure, nonostante questa precisazione, Pecora non si limita ad una fredda analisi delle altalenanti fortune delle tesi dell’autore della Scienza. Pecora si immedesima con l’animo di Filangieri. Soffre per le contraddizioni liberticide della Scienza. Si commuove per il tentativo di quel giovane e geniale autore strappato prematuramente dalla morte alle sue ricerche. «Ricordiamolo, – sottolinea Pecora – è il pensiero di un ventiquattrenne la cui sorgiva freschezza stuzzicava il consenso dei contemporanei e (…) gonfiava l’attesa per qualcosa di ancora più potente e definitivo». Attesa delusa per la prematura scomparsa avvenuta a soli trentacinque anni.
Pecora ripercorre e rivive con Filangieri i momenti più salienti delle fortune e delle stroncature della Scienza della legislazione. Il lusinghiero giudizio di Pietro Verri che la definì «un’opera che fa onore all’Italia». L’esclusivo rapporto con Goethe, che cosi descrisse, nelle sue memorie, il giovane Filangieri: «Egli appartiene a quella categoria di giovani egregi, che si prefiggono il bene dell’umanità non scompagnato da un’onesta libertà». Ed ancora: Pecora elenca le numerose traduzioni della Scienza in francese, inglese, tedesco, russo, danese, olandese. Racconta il sogno americano di Filangieri. Quando questi, dopo aver stabilito rapporti di sincera amicizia con Benjamin Franklin, fantasticando di poter «concorrere al gran Codice che era in elaborazione nelle Province Unite d’America», sospirava: «giunto che sarei in America, chi potrebbe più ricondurmi in Europa! Dall’asilo della virtù, dalla patria degli eroi, dalla città de’ fratelli, potrei io desiderare il ritorno in un paese corrotto dal vizio e degradato dalla servitù?». Sogni e speranze spazzate via da un destino spietato.
Magra consolazione: le stroncature arriveranno postume. Conferisce ad esse forma, la penna di Benjamin Constant. Questi, fra il 1822 ed il 1824 dava alle stampe ben due volumi di Comento alla Scienza della legislazione. La sua critica risultava devastante. Il pensiero di Filangieri «non differisce – egli sostiene – in cosa alcuna da quello di Rousseau». La legislazione per il primo, la società per il secondo, è «una potenza senza limiti, a cui vantaggio si [ trova] alienato tutto l’essere individuale>>. I diritti inalienabili di ogni singolo individuo (vita, libertà e proprietà), nella ipotesi filangeriana, sono garantiti da leggi formulate con «una incertezza ed una oscurità, che probabilmente e, forse realmente, – avverte Contant – è stata in ogni tempo la sorgente di ogni abuso». Leggi – a giudizio di Constant – non fondate su solide basi costituzionali, ma affidate alla tutelala di un legislatore simile a «un ente superiore al resto degli uomini» che ricorda, aggiungiamo noi, molto da vicino il filosofo legislatore della Repubblica platonica: un’inquietante figura dal profilo tirannico.
Per decine di pagine, Pecora espone le accuse di Constant. Ribatte ad esse punto per punto attraverso un confronto serrato fra il Comento e la Scienza. Quindi, in conclusione, invita il lettore al giudizio finale sulla dotta disputa.
Seguendo le alterne vicende della Scienza, l’autore compie un salto nel tempo: 1924, il giudizio di Benedetto Croce. Questi, memore della lezione di Vincenzo Cuoco sugli esiti totalitari della astratta razionalità giacobina nelle scelte politiche, ritiene che Filangieri abbia commesso l’errore di lasciarsi «guidare – si legge ne La Storia del Regno di Napoli – dal preconcetto del secolo, la credenza nell’astratta Ragione». E, da questa credenza si era generato «il germe lontano – egli conclude – del giacobinismo e del fanatismo e del Terrore».
Pecora non nega gli effetti devastanti del razionalismo politico giacobino, ma replica che : dal razionalismo alla illibertà non è necessariamente un percorso obbligato. A conferma della sua tesi, egli indica il caso americano e le convinzioni che ne aveva ricavato Filangieri. «La rivoluzione americana – spiega Pecora – con tutto il suo corredo di ingegneria costituzionale che l’accompagnò, fatti duri, perentori (…) stavano lì a convincere lui ( e poi magari a convincere noi) che la Ragione – anche la Ragione – può servire la causa della libertà».
Pagina dopo pagina, Pecora, con argomentazioni documentate ed ineccepibili, riesce in alcuni casi, a dissolvere le aporie teoriche che i critici hanno individuato nelle tesi filangeriane. In latri casi, egli conferisce alle contraddizioni presenti nella Scienza almeno il beneficio del dubbio e affida al lettore il giudizio finale. Ma nulla può quando Filangieri afferma che il diritto, purché risulti efficace, non può che risultare giusto. In questo caso – ammette Pecora – «siamo proprio nel cuore pulsante dell’ideologia positivistica, (…). E’ come se Filangieri fosse rimbalzato sulla pedana giusnaturalistica e poi con un doppio salto mortale (…) fosse tornato giù positivista, e positivista estremo, a la Hobbes, per intenderci».
Bisogna convenire che non è certo coerente con i propri propositi liberali, Filangieri quando sostiene che: «L’interesse della società sarebbe, che le passioni dominanti dei suoi individui fossero soltanto quelle, che sono le più efficaci a rendergli utili allo Stato». Con queste affermazioni, Filangieri molla «gli ultimi ormeggi dell’individualismo – constata Pecora – e si abbandona alle correnti organicistiche».
E’ vero! Non si può negare che la Scienza è attraversata da una profonda ed insanabile frattura. Una frattura che il testo di Pecora non intende occultare, ma mostrarla in tutta la sua evidenza per capirne le cause. Del resto, la rilettura critica della Scienza, operata da Pecora, non consiste, e non può essere letta come un esame cui sottoporre Filangieri per assegnargli o negargli la patente di liberale. Anche se il delicato pudore intellettuale, che lo distingue, gli ha suggerito di presentare il testo come un’accurata indagine filologica; con questo lavoro, Pecora, in realtà, assume su di sé la sofferenza della disperata ricerca di Filangieri e prosegue nella sisifica fatica di teorizzare un sistema legislativo capace di garantire un’efficace ed efficiente convivenza liberale. La tensione partecipativa di Pecora traspare dalle sue stesse conclusioni. Rileggiamo, in proposito, il brano finale del testo. Dopo essersi chiesto se Filangieri possa essere considerato individualista o organicista, Pecora risponde: «Quale fu dunque il suo colore più vero? Il registro più autentico di Filangieri? Non sapremmo dirlo; forse perché non l’ebbe chiaro neppure lui. Ecco perché sul punto di congedarci, confessiamo di abbandonare la Scienza con un sentimento doppio, che è di disappunto par la mancanza di un’ispirazione unitaria che definisca bene il carattere dell’opera; ma anche di piacere, quando dalla sua tormentata varietà, come da un caleidoscopio, abbiamo levato la pietruzza viva, pulita, di quelle insomma che fanno riporre il libro sicuri che, a qualche pagina, tra qualche tempo, capiterà sempre di riaprirlo con gratitudine».
Lo abbiamo riaperto e ne siamo grati. Le caleidoscopiche pietruzze ci dicono ancora molte cose. Certo i tempi sono diversi. In un universo globalizzato, le applicazioni tecnologiche rivoluzionano continuamente le strutture ed i ruoli sociali, ma il problema di fondo è lo stesso di quello di due o di quattro secoli fa. Dalle ipotesi lockiane, attraversando le aporie del razionalismo illuministico, fino a raggiungere il liberalismo anomalo di Friedrich August von Hayek, la sostanza delle questioni del contendere sono sempre le stesse: come (ed in certe particolari circostanze addirittura: se) garantire legittimamente – secondo legge – a tutti gli attori sociali tutte le libertà, e, nello stesso tempo, progettare quei meccanismi giuridici, inevitabilmente limitativi e liberticidi, finalizzati a prevenire gli abusi e le degenerazioni di quelle stesse libertà da parte di alcuni a danno di altri? Sono complesse questioni di metodi e di modelli alternativi o, forse, più semplicemente, è un’avventurosa esplorazione, ancora in corso, ai confini delle libertà. Ed ogni confine segna un punto di non ritorno. Il nostro confine, il confine della libertà segna quel punto oltre il quale avviene l’irreversibile dissoluzione di ogni vincolo di coesione tra gli attori sociali. In termini più espliciti: il regresso allo stato ferino.

recensione a cura di Ludovico Martello