Elezioni comunali e provinciali Consiglio di Stato, sez. V, 16 ottobre 2002, n. 5608

16.10.2002

Consiglio di Stato, sez. V, 16 ottobre 2002, n. 5608

I Giudici di Palazzo Spada con la sentenza n. 5608 del 2002 ribadiscono il principio a norma del quale nel ricorso elettorale non è preclusa la proposizione di motivi aggiunti.

In tal senso, si spiega l?indirizzo interpretativo secondo il quale, nel giudizio elettorale ben possono essere formulati motivi aggiunti, rivolti a sostenere l’originaria domanda di correzione dei risultati della competizione, mediante la contestazione dei vizi emersi nel corso della verificazione e non rilevabili dagli atti del procedimento elettorale soggetti a pubblicità. Analogamente, si è affermato che se nel corso del giudizio elettorale, in occasione di verifiche disposte in ordine alla regolarità delle operazioni elettorali, emergano irregolarità o vizi diversi, il ricorrente ben può formulare motivi aggiunti, pur avendo l’onere di indicare il tipo di errori e di brogli che assume si siano verificati in determinate sezioni e la loro incidenza sui risultati elettorali. Detta regola di giudizio non è affatto assoluta e va anzi coordinata con la disciplina sostanziale del procedimento elettorale, il quale prevede particolari forme di pubblicità delle operazioni, attribuendo un ruolo di controllo e di partecipazione anche ai candidati, ai rappresentanti di lista e, sia pure in forma più attenuata, agli stessi elettori. Detti soggetti hanno la possibilità di assistere allo spoglio delle schede, verificando la correttezza dell’attribuzione dei voti all’uno o all’altro candidato. In particolare, la minuziosa disciplina della ‘contestazione’ dei voti, incentrata sulla deduzione a verbale delle pretese irregolarità nella valutazione delle espressioni di voto e sulla formazione di appositi plichi in cui conservare le schede contestate, mira ad assicurare una certa forma di contraddittorio nelle operazioni elettorali e ad agevolare la stessa individuazione del materiale istruttorio nel caso di impugnativa giurisdizionale.

Non solo, ma il legislatore ha inteso dare rilievo anche al principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico, prevedendo il rigoroso termine di decadenza di trenta giorni (dimezzato rispetto all’ordinario termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso impugnatorio dinanzi al giudice amministrativo), entro il quale l’interessato può contestare le operazioni elettorali: trascorso tale termine perentorio, i risultati diventano inattaccabili. Ciò risponde all’esigenza di assicurare la corretta funzionalità degli organi elettivi delle autonomie locali, espressione del modello costituzionale della democrazia rappresentativa, tanto più significativa in relazione ad istituzioni (come quelle comunali) che presentano una stretta correlazione con la realtà territoriale autoamministrata, esprimendone tutti gli interessi generali (ancorché localizzati). D’altro lato, il giudizio elettorale non si configura come una sorta di giurisdizione di diritto obiettivo, destinata ad accertare l’effettivo responso delle urne elettorali, attraverso una verifica completa di tutte le schede e la sostanziale ripetizione di tutte le operazioni elettorali, attuata in dipendenza di un ricorso strumentalmente indirizzato a tale esclusivo scopo. A fronte di questi principi (tendenziale trasparenza delle operazioni elettorali, certezza dei rapporti di diritto pubblico concernenti la costituzione e il funzionamento delle istituzioni rappresentative, carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa in materia elettorale), si colloca la regola che ammette, in linea di massima, la proponibilità dei motivi aggiunti.

Resta fermo, intanto, che il ricorso elettorale, purché tempestivamente proposto, delimita i poteri istruttori e decisori del giudice, nell’ambito delle specifiche censure formulate, le quali non possono assumere carattere meramente generico od ipotetico, e devono comunque agganciarsi ad indici fattuali (sia pure presuntivi) di sufficiente attendibilità. I motivi aggiunti potrebbero ritualmente prospettarsi per censurare ulteriori illegittimità riguardanti le medesime operazioni, solo quando queste già sono risultate oggetto di originarie e tempestive doglianze, che abbiano indicato la natura dei vizi denunciati, il numero delle schede contestate e le sezioni elettorali cui si riferiscono le stesse schede. Viceversa, i motivi aggiunti non sono ammissibili, quando, ormai scaduto il termine di decadenza decorrente dalla proclamazione degli eletti, il ricorrente deduce di aver conosciuto ulteriori vizi delle operazioni elettorali per effetto delle verifiche istruttorie disposte dal giudice amministrativo, poiché in tal modo verrebbe elusa la regola fondamentale riguardante l’immutabilità dei risultati elettorali non tempestivamente impugnati. Né in senso contrario, potrebbe assumere pregio l’obiezione secondo la quale il singolo elettore, legittimato alla proposizione del ricorso (art. 83/11 del D.P.R. n. 570/1970), non potrebbe avere una puntuale, completa e specifica conoscenza dei vizi delle operazioni e degli errori di attribuzione delle schede compiute dagli uffici elettorali contestualmente. Ora, a parte il rilievo che, nella specie, l?appellante riveste proprio la qualità di candidato (ed è quindi specificamente e direttamente interessato dagli effetti dell’atto impugnato), va osservato che nelle ipotesi di ‘azioni popolari’ è avvertita l’esigenza di definire con chiarezza, nei prescritti termini decadenziali, l’oggetto del giudizio elettorale, definito in funzione non solo del petitum (rettifica o annullamento dei risultati elettorali), ma anche della specifica causa petendi (tipo delle irregolarità e dei vizi denunciati).

Si tratta di principi costantemente ribaditi dalla giurisprudenza più recente, secondo la quale, nel ricorso elettorale i motivi aggiunti non sono ammissibili quando, dopo la scadenza del termine di decadenza decorrente dalla proclamazione degli eletti, il ricorrente deduce di aver conosciuto ulteriori vizi delle operazioni elettorali per effetto delle verifiche istruttorie disposte dal giudice amministrativo, poiché in tal modo verrebbe elusa la regola fondamentale riguardante l’immutabilità dei risultati elettorali non tempestivamente impugnati.

a cura di Vincenzo Antonelli