Parità dei sessi e competizione elettorale Corte Costituzionale, 10 –13 febbraio 2003, n. 49

13.02.2003

Corte Costituzionale, 10 –13 febbraio 2003, n. 49

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 2 , e 7, comma 1, della legge regionale della Valle d’ Aosta, 2002 n. 21 concernente modifiche di due precedenti leggi regionali, la legge 1993, n.3, contenente norme per l’elezione del Consiglio regionale della Valle d’Aosta, e la legge 1998 n.47, dettata a salvaguardia delle tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys. Le norme impugnate, inseriscono l’ art. 3-bis per il quale le liste di candidati per le elezioni al Consiglio regionale devono includere candidati di entrambi i sessi, e sostituiscono l’art. 9; a termini del nuovo art. 9, l’ ufficio elettorale regionale può dichiarare l’invalidità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti in ugual numero candidati di entrambi i sessi. La questione di legittimità costituzionale è dichiarata infondata.

Secondo il Governo le norme impugnate, nel porre la presenza numericamente equivalente di candidati di entrambi i sessi come condizione di validità delle liste elettorali, finiscono con il violare il principio di eguaglianza nell’ accesso alle cariche elettive, (artt. 3, comma 1, e 51, comma 1, Cost.): infatti una qualunque quota di riserva prevista dalla legge in funzione del sesso dei candidati , si risolve in un ostacolo alla libera esplicazione dei diritti politici di coloro che aspirano a partecipare ad una competizione elettorale.
La Corte in una precedente sentenza, la n. 422 del 1995, aveva osservato che la previsione normativa di standard numerici di candidati in ragione del loro sesso costituisce da un lato, un esempio di attività positivamente rivolta a realizzare un’eguaglianza tra i sessi non più solo formale, ma anche sostanziale, ai fini dell’ accesso ai pubblici uffici ed alle cariche pubbliche elettive; dall’ altro essa può finire, però, con il realizzare una tutela rinforzata dei diritti politici dei cittadini di sesso femminile, a discapito dei diritti politici altrettanto fondamentali di quelli di sesso maschile (generando cioè una nuova discriminazione al contrario fondata ancora una volta sul sesso).
Oggi, nel rinnovato quadro costituzionale (in particolare, art. 117, comma 7 Cost., e legge costituzionale n.2 del 2001, di modifica degli Statuti delle Regioni ad autonomia differenziata), la Corte Costituzionale si discosta con consapevolezza da una concezione ambivalente delle statuizioni normative che si propongono di garantire ai due sessi l’equivalenza numerica nelle competizioni elettorali. Prima di tutto, la Corte precisa con chiarezza che la tutela dei diritti fondamentali degli individui non è più solo un formale riconoscimento dei diritti medesimi o un nominale impegno dei pubblici poteri a rimuovere gli ostacoli al loro pieno esercizio; ma è fondamentalmente una doverosa attività del legislatore statale e di quello regionale, di concreto promuovimento delle condizioni per un effettivo esercizio di tali diritti. Di questa attività, promozionale e di impulso della parità tra i sessi, le norme impugnate sono sicuramente espressione. Invero, con riferimento al contesto specifico delle competizioni elettorali, la Corte specifica che la pari consistenza numerica di uomini e donne nelle liste elettorali, lungi dal porsi come requisito discriminatorio di eleggibilità o di candidabilità, o come ostacolo frapposto al libero accesso di ogni cittadino alle cariche elettive (c.d. elettorato passivo), costituisce in realtà un vincolo non idoneo ad incidere sui diritti politici degli individui in ragione del loro sesso, poichè la rilevanza giuridica di questo vincolo, si esprime in una dimensione temporale ristretta (la fase che precede la competizione elettorale) e nei confronti non di tutti i cittadini, ma solo di determinati soggetti (….partiti politici, aspiranti consiglieri…).

a cura di Giuliana Bianchi