Evoluzione funzionale del concetto di sussidiarietà Corte Costituzionale, 25 settembre – 1 ottobre 2003, n. 303

13.04.2004

Corte Costituzionale, sentenza 25 settembre – 1 ottobre 2003, n. 303
La Corte Costituzionale si trova di fronte ad una serie multipla di ricorsi :
avverso la legge del 21 dicembre 2001, n. 443, nella sua versione originaria ed in quella che risulta dalle modifiche apportate dalla legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materie di infrastrutture e trasporti); avverso il d. lgs. 20 agosto 2002, n. 190 recante norme di attuazione della legge n. 443 del 2001, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale; avverso il d. lgs.  4 settembre 2002, n. 198 contenente norme rivolte ad accelerare la realizzazione  delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese  ai sensi dell’ art. 1, comma 2, della legge n. 443.
Con la legge n. 443 del 2001, il Parlamento ha inteso conferire una delega al Governo per l’ adozione di una esauriente disciplina normativa in materia di  infrastrutture ed insediamenti  produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio di attività produttive.
L’individuazione, la localizzazione e realizzazione delle c. d. grandi opere avviene in base ad un programma predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti d’intesa con i Ministri competenti, le Regioni o Province autonome di volta in volta coinvolte nel contesto procedimentale (art. 1, comma 1). Questo nelle linee essenziali il  nuovo art. 1, comma 1 della legge n. 443 (c.d. legge obiettivo), così come modificato dalla legge n. 166 del 2002 (art. 13, comma 3), per il quale, dunque, non è più sufficiente che le Regioni  siano solo sentite, o comunque non è più sufficiente che il coinvolgimento delle Regioni sia solo  di tipo consultivo o propositivo; lo stesso inserimento del programma nel documento di programmazione economico finanziaria (indispensabile in considerazione del rilevante impegno di spesa che un programma di così vasto respiro comporta),
presuppone un ulteriore momento concertativo . Invero gli interessi delle Regioni  in questo successivo momento, sono  espressi unitariamente in seno alla Conferenza unificata (organo collegiale nato dalla sintesi funzionale della Conferenza Stato- Città ed autonomie locali e Conferenza Stato – Regioni quando si tratta di assumere deliberazioni, promuovere e sancire intese ed accordi, designare rappresentanti  in relazione a materie  ed a  compiti di interesse comune alle Regioni, alle Province, ai Comuni ed alle Comunità montane).  Il CIPE, che nella versione originaria della legge n. 443, interveniva  solo nella prima fase applicativa della legge attraverso l’approvazione del programma, oggi per effetto delle modifiche addotte dalla legge n. 166, interviene anche in una fase anteriore, cioè nella fase d’inserimento del programma nel DPEF, in occasione del quale non può farsi almeno dell’acquisizione del suo parere. Il Governo ha a sua disposizione  12 mesi per adottare la normativa idonea ad accellerare le procedure di realizzazione delle grandi opere  in funzione della perequazione socio economica fra le varie aree del paese. La legge prevede che tutti gli interventi di grandi opere inclusi nel programma così formato, inserito, ed approvato, siano ipso iure inseriti in ogni successiva formula concertativa Stato-Regioni,  ed in particolare divengano parte integrante di “…. un’ intesa generale quadro avente validità pluriennale tra il Governo ed ogni singola Regione o Provincia autonoma, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere”.
Prima di decidere nel merito delle innumerevoli censure, la Consulta fa una premessa che per la sua incisività non potrà non influenzare la successiva evoluzione giurisprudenziale ed elaborazione dottrinale . Il ragionamento della Corte prende le mosse dalla valutazione della legittimità costituzionale delle leggi  in base alle quali lo Stato assume in via sussidiaria l’esercizio di funzioni amministrative concernenti materie di legislazione non esclusiva dello Stato (art. 117 Cost., comma 2), ma concorrente (comma 3).
La Corte già in precedenti occasioni (Corte Costituzionale, sentenza n. 274 del 2003) ha affermato la sopravvivenza  (quasi inevitabile) del ruolo unificante  dello Stato, pur nel mutato quadro di riferimento costituzionale. In particolare in base all’ art. 118 Cost., “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città  metropolitane, Regioni e Stato, sulla base di principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.   Viene nel caso in esame in considerazione l’ipotesi estrema ma non remota  in cui i primi livelli istituzionali della spirale federalista (Comuni, Province , Città metropolitane e Regioni),  più vicini alle  comunità di pertinenza, non siano in grado di tutelarne gli interessi; in  questo caso si attiva in via surrogatoria la potestà amministrativa (e legislativa) dello Stato. Il primo comma dell’ art. 118, ripristina cioè, in nome dell’ esercizio unitario delle funzioni amministrative i meccanismi – propri di uno Stato in parte ancora regionalista- di esercizio centralizzato delle medesime . Questo a condizione che sia fatta salva la rigidità della Costituzione, e con essa il riparto di competenze stabilito nel nuovo titolo V, parte II. In proposito la Corte afferma che in applicazione dei  principi di sussidiarietà ed adeguatezza si può derogare al nuovo assetto di competenze di cui al titolo V “… solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata”. La Consulta coglie la complessa evoluzione funzionale del concetto di sussidiarietà : da fondamento teorico della graduale trasformazione dei rapporti tra sfere di competenza (in cui, quella statale si è lentamente ritratta lasciando via via ampi spazi operativi a quella regionale), a giustificazione  pratica della possibile  riappropriazione da parte dello Stato del suo ruolo unificante,….. e con esso  delle funzioni amministrative  spettanti agli altri enti territoriali nell’ ipotesi particolare contemplata dall’ art. 118, comma 1. Soprattutto, mentre nell’ un caso il concetto di sussidiarietà è servito a spiegare come le competenze siano distribuite tra Stato e Regioni in base alla legge, nel secondo caso invece, la sussidiarietà  connota l’intervento dello Stato in materie che non appartengono alla sua competenza esclusiva. Ciò soprattutto, quando questo intervento ha un fondamento diretto nell’accordo  dello Stato con le Regioni (prima ancora che nel dato normativo cui la previsione dell’ accordo resta comunque ancorata), ovverosia in un’intesa tra Stato e Regioni, come sintesi tra la volontà attrattiva dello Stato e la volontà regionale autolimitativa delle proprie attribuzioni . Volontà, espressa dalle Regioni consapevolmente, in un contesto dal quale oggettivamente emerga che il modo più adeguato per perseguire gli interessi pubblico collettivi, è l’esercizio (non frazionato regionale) ma unitario statale,  delle funzioni preordinate alla tutela di quegli interessi.
Il  principio di sussidiarietà e di adeguatezza nel ragionamento della Corte, hanno una valenza “procedimentale” più che sostanziale “….poichè’ l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale, solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà “.  Resta comunque salvo l’ossequio al principio di legalità: devono essere fatte salve in ogni caso le prerogative costituzionali delle Regioni; è una legge a prevedere l’assunzione da parte dello Stato di date funzioni amministrative, in base ad un’intesa con le Regioni; la possibilità per lo Stato di disciplinare con legge le funzioni amministrative assunte in via sussidiaria, consente di verificarne costantemente “la legalità” dell’ esercizio  La preoccupazione principale in questa particolare materia sembra proprio quella per cui, ammettendo  lo Stato a subentrare sussidiariamente alle Regioni nell’ esercizio di determinate funzioni amministrative, verrebbe modificato il riparto costituzionale di competenze ,  l’insieme di prerogative costituzionali delle Regioni, ……..  la stessa rigidità della Carta fondamentale. Preoccupazione tanto più reale se si considera che l’effetto attrattivo contemplato al comma 1, dell’art. 118 si estende oltre l’attività amministrativa fino a lambire quella legislativa. Ma sarebbe quasi un non senso ammettere lo Stato ad esercitare le funzioni amministrative concernenti materie che non sono quelle di sua competenza esclusiva, senza poi darvi la possibilità di  organizzarne con legge l’esercizio. A questo punto però occorre ribadire ancora una volta  che le sole materie sulle quali può esprimersi pienamente il legislatore statale sono quelle di sua competenza esclusiva elencate nel capoverso dell’ art. 117 Cost., e che al di fuori di questo ambito, l’avocazione allo Stato di funzioni amministrative, pur tra mille cautele procedurali, non può divenire con il tempo una via traversa attraverso cui  dilatare tale tassativa elencazione. Quali, a questo punto le sorti del nuovo assetto delle competenze definito in particolare dai novellati artt. 117 ed 118,…… ma soprattutto quali le sorti del principio della rigidità della nostra Costituzione la quale non tollera modifiche che non siano quelle adottate nel rispetto della  procedura aggravata di revisione costituzionale descritta dall’ art. 138?  Si potrebbe provare ad ipotizzare che le Regioni  continuino a regolare con  propria legge le funzioni amministrative  attratte dallo Stato. A prescindere  dalla difficoltà di immaginare lo Stato come  mero esecutore di  leggi regionali di volta in volta diverse, e a condizione di non dimenticare che la necessità pratica su cui si fonda l’ “esercizio sussidiario” è quella di imprimere unitarietà all’ esercizio di funzioni amministrative, non è forse fuor di luogo  evitare ogni ulteriore ipotesi ricostruttiva e riflettere invece sulla circostanza che il fenomeno attrattivo non opera  mai rispetto a materie di competenza esclusiva delle Regioni (art. 117, comma 4), e che con riferimento alle materie di competenza concorrente, l’intervento del legislatore statale è di norma fisiologico (art. 117, comma 3). Si tratta di vedere  entro quali limiti lo Stato possa essere in grado di attrarre funzioni amministrative regionali dettando allo scopo norme legislative che siano solo di principio (come è naturale quando si verte in materie di competenza concorrente) e non anche di dettaglio, o comunque, non tali da compromettere le prerogative costituzionali del legislatore regionale. Sono proprio questi limiti, quelli  che si ritengono superati nel ricorso qui in esame, ove le Regioni ripetutamente denunziano  l’analiticità delle statuizioni della legge impugnata.
Le Regioni ricorrenti infatti muovono due tipi di rilievi avverso l’ unico articolo della legge n. 443:
a)                                                l’ individuazione, la localizzazione, e la realizzazione di grandi opere non rientra nelle materie di competenza esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, comma 2, Cost. ; anche a voler ricondurre questa materia tra quelle di  competenza concorrente risulta  comunque violato l’art. 117,  perchè rispetto alle materie di competenza concorrente lo Stato dovrebbe limitarsi alla formulazione dei principi generali, e non anche una peculiare normativa di dettaglio;
b)                                               risultano fraintesi i  principi di sussidiarietà ed adeguatezza, dal momento che pur nel contesto del meccanismo partecipativo previsto dalla legge impugnata , non sono previsti meccanismi adeguati di tutela del dissenso eventuale delle Regioni  al programma di grandi opere.
Secondo la Corte, le norme impugnate così come formulate predispongono cautele procedurali adeguate ad assicurare il coinvolgimento dei “soggetti titolari delle attribuzioni attratte” salvaguardandone la posizione costituzionale. Tutto conferma che la legge impugnata  subordina l’efficacia vincolante del programma all’ esistenza di un intesa  tra Stato e  Regioni ed alla circostanza che da essa, svoltasi su un piano perfettamente paritario e nella logica della leale cooperazione, emerga un  concordato temperamento del riparto di competenza stabilito dalla Costituzione in funzione di una più adeguata cura dell’ interesse pubblico .
Non fondata è la questione di costituzionalità relativa al limitato coinvolgimento delle Regioni, alle quali, all’ interno dell’ iter procedimentale qui in esame, sarebbe riservato  un ruolo nient’ altro che consultivo rispetto alla fase approvativa (paragrafo 6 del considerato in diritto).
L’approvazione dei progetti (preliminari e definitivi) è demandata al CIPE, che in questa particolare occasione è  in composizione integrata, dal momento che vi partecipano invero i Presidenti delle Regioni e delle Province interessate; pertanto essi   sono messi in condizione di partecipare in modo consapevole alla formazione della volontà dell’ organo collegiale.
E’ invece fondata la medesima questione in relazione al comma 3-bis della legge n. 443,  introdotto dalla legge n.166 del 2002 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), per il quale il programma può essere approvato (alternativamente) con un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, previa delibera del CIPE (nella sua composizione integrata), sentita la Conferenza unificata e previo parere delle commissioni parlamentari (paragrafo  8 del considerato in diritto). Invero, qui prima ancora di degradare il ruolo delle Regioni, viene degradato il ruolo del CIPE, che da organo con poteri deliberativi definitivi, diviene organo con funzioni preparatorie a quelle della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ridimensionato il ruolo del CIPE, viene ridimensionata anche la valenza partecipativa della sua componente regionale.  Al riguardo è pure fondata la  questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, del d. lgs. n. 190 del 2002, nella parte in cui non prevede che la composizione della Commissione speciale  chiamata a valutare gli effetti diretti ed indiretti sull’ uomo … sul patrimonio culturale e sociale ed ambientale….della realizzazione di dati progetti infrastrutturali di rilevanza nazionale,  interregionale, o internazionale,  possa essere integrata da  rappresentanti delle Regioni interessate, ove in sede di intesa (Stato e Regioni) sia stata accertata l’esistenza di un interesse regionale, concorrente con quello nazionale, alla realizzazione degli interventi programmati (paragrafo 31 del considerato in diritto).
Non diversa è la sorte  del comma 3, dell’ art. 1 della legge n. 443, per il quale compete al Governo adottare le opportune modifiche ed integrazioni  necessarie a coordinare la disciplina normativa contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, con quella della stessa legge n.443  e dei decreti legislativi emanati in sua attuazione (paragrafo 7 del considerato in diritto). Il d.P.R. n. 554 del 1999 è un regolamento adottato dal Governo per dare attuazione alla disciplina normativa dei lavori pubblici quale risultante dalla legge n. 109 del 1994.  In relazione a tale regolamento la Corte (con sentenza n.302 del 2003 ) ha già risolto un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni: non spetta allo Stato dettare con regolamento una disciplina che  attuativa della legge sui lavori pubblici,  possa applicarsi anche alle Regioni. Attraverso questo regolamento si è concretizzata una tipica ipotesi di delegificazione, come fenomeno di declassamento ( in funzione semplificativa) della disciplina normativa di una data materia che da legislativa, diviene regolamentare[*]. Esso pur ammissibile entro certi limiti tra fonti di produzione normativa tra le quali esiste una sovrapposizione gerarchica, non  lo è  invece tra leggi dello Stato e leggi della Regione, tra le quali esiste invece  una definita separazione di competenze; ciò  tanto più  che, per l’effetto abrogativo delle preesistenti disposizioni di legge che la legge autorizzatrice della delegificazione ricollega all’entrata in vigore del regolamento delegato, verrebbe per ipotesi coinvolta anche la  normativa regionale  già vigente in quella data materia. Ora, se sulla base di un’ intesa con le Regioni, lo Stato può assumere in via sussidiaria   l’esercizio unitario di funzioni amministrative , non sarebbe però  consentito allo Stato demandare ad un atto di normazione secondaria di fonte governativa l’esercizio concreto di tali funzioni. In realtà il nuovo comma 6, dell’art. 117, Cost., è chiaro: la potestà regolamentare dello Stato si esprime nelle sole materia di legislazione esclusiva, e nemmeno in nome del principio di sussidiarietà  si può costringere la disciplina normativa di una materia di competenza regionale concorrente nei limiti angusti  del regolamento di fonte governativa. Una legge del Parlamento può sancire il declassamento e l’abrogazione delle preesistenti disposizioni di leggi statali  non di quelle delle Regioni . Queste le ragioni per cui la Corte uniformandosi ad una sua recente pronuncia (la sopracitata sentenza n. 302 del 2003) ha dichiarato l‘ illegittimità costituzionale del comma 3 dell’ art. 1 della legge n. 443 che richiama per l’appunto il d.p.r. n. 554  del 1999. Per i motivi fin qui illustrati la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale anche dei primi  quattro commi dell’ art. 15 del d. lgs. n. 190 del 2002 (paragrafo 28 del considerato in diritto). Ivi infatti troviamo un chiaro riferimento al d.P.R.  n. 554 del 1999 (cfr., art. 1, comma 7, d. lgs. n.190) ed ai regolamenti adottati in base alla legge quadro n.109 del 1994, ed alla pretesa applicazione dei medesimi  anche alle Regioni, a  Province, a Città metropolitane, ed a Comuni.
Risultano impugnati i commi 6 – 12 e 14 dell’ art.1, ove vengono disciplinati gli interventi edilizi. Secondo la Corte è errata la premessa interpretativa da cui partono le Regioni. Per quest’ ultime  la mancata inclusione di quella fondamentale materia definita  tradizionalmente “ urbanistica” nel novellato art. 117, sarebbe argomento  sufficiente a determinarne l’ automatica inclusione tra le materie che in via generale e residuale apparterebbero alle Regioni (paragrafo 11 del considerato in diritto).
Osserva di contro la Corte che non diversamente dal previgente  art.117, Cost., anche in quello novellato, ciò che attiene all’ attività edificatoria (“..la materia dei titoli abilitativi ad edificare..”) è riconducibile alle materie di competenza concorrente ed in particolare a quella denominata “governo del territorio” , come insieme  degli interventi sul territorio rispettosi della sua natura e funzionali al  suo razionale impiego ( la Consulta tuttavia precisa come la progettazione e la realizzazione  di grandi opere infrastrutturali pubbliche o private o di insediamenti produttivi strategici, è attività ampia e complessa che spesso non si presta a rigide schematizzazioni, in quanto  coinvolge plurime competenze, che possono essere di volta in volta esclusive o concorrenti).La normativa dello Stato, diversamente da quanto ritengono le ricorrenti, non si pone  come una pedissequa disciplina di dettaglio,  ma mantiene la sua identità di normativa di principio, che individua (in ossequio ad un’ormai affermata esigenza alla semplificazione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione) nuove ipotesi applicative della c.d. denuncia di inizio di attività, quale “titolo abilitativo preventivo e tacito”, anche rispetto  alla realizzazione delle grandi opere (sia pure limitatamente ad “…interventi edilizi di non rilevante entità o…… attività che si conformano a dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici….”) . Se così non fosse, se  cioè la formulazione fosse pedissequamente analitica, lo Stato avrebbe, dilatato impropriamente il novero delle materie di sua competenza (art. 117, comma 2) modificando così a suo arbitrio il testo della Costituzione. Ma al di là di ogni congettura, l’assunzione in via sussidiaria di funzioni amministrative proprie delle Regioni avviene in base ad una autolimitazione (concordata) di queste ultime, ed in ogni caso i principi di sussidiarietà ed adeguatezza non possono essere invocati per alterare l’ordine costituzionale delle competenze; occorre allora ribadire che quello che permette allo Stato di amministrare e legiferare anche rispetto a materie  non incluse tra quelle elencate dal capoverso dell’ art. 117,  è semplicemente la natura concorrente della competenza (art. 117, comma 3) e non  anche un’ arbitraria modifica  del riparto di competenze costituzionalmente definito.
In base al comma 1 dell’ art. 1 del d. lgs. n.190 del 2002 ( emanato in attuazione della delega al Governo contenuta nel comma 2, art. 1 della legge n. 443),  sono fatte espressamente salve  le competenze riconosciute alle Province autonome  di Trento e Bolzano dallo Statuto speciale. La Provincia di Bolzano fa notare come nella legge non sia fatta menzione alcuna delle competenze che ad essa apparterrebbero nel nuovo  quadro di riferimento costituzionale quale in particolare  modo quello delineato dagli articoli 117 ed 118, applicabili anche alle Regioni ad autonomia speciale ai sensi dell’art. 10  della legge cost. n. 3 del 2001.  La Provincia di Bolzano ritiene di non essere soggetta all’applicazione immediata della normativa impugnata, sia per i diversi termini di adeguamento della legislazione provinciale alla legislazione statale previsti dal proprio Statuto (l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992 ), sia perché  per volere della stessa legge impugnata l’applicazione del programma di interventi edilizi ad una Regione presuppone  un’ intesa di questa con lo Stato : poichè la Provincia di Bolzano in ragione della sua autonomia differenziata è titolare di competenze proprie in base ad un proprio Statuto (fatte salve dalla stessa legge n. 443), potrebbe in teoria sottrarsi alla previa intesa (paragrafo 15 del considerato in diritto).
Osserva  di contro la Corte, che se è vero che  le Regioni e Province autonome oltre che delle competenze statutarie, sono potenzialmente titolari anche  delle competenze elencate agli artt. 117 e 118 Cost., nei limiti di ciò che ad esse risulti più favorevole rispetto disciplina statutaria (art. 10, legge cost. n. 3 del 2001) è anche vero che sono soggette ai medesimi limiti cui, per quelle competenze (invocate dalla stessa ricorrente), sono soggette le Regioni ordinarie; segue che se la sussidiarietà dell’ intervento statale rispetto a funzioni amministrative concernenti materie a competenza ripartita Stato Regioni,  è filtrata da una previa intesa in cui si acquisisce il consenso delle Regioni all’esercizio centralizzato da parte dello Stato di quelle funzioni, quell’intesa non solo è condizione di efficacia del programma di grandi opere, ma anche un limite per tutte le Regioni al cui valore garantistico non avrebbe senso sottrarsi.
Un ulteriore motivo di doglianza riguarda il comma 5 dell’art. 1 del decreto legislativo n. 190 del 2002 a termini del quale, le norme in esso contenute, si applicano fin quando le Regioni non provvedano all’ adozione di  una propria autonoma disciplina nel rispetto dei principi posti dalla legge n. 443, “….. per tutte le materie oggetto di legislazione concorrente”.
(paragrafo 16 del considerato in diritto).
Le Regioni ricorrenti si dolgono del fatto che vertendosi in materia di legislazione concorrente lo Stato dovrebbe limitarsi alla formulazione dei principi generali della materia. Alla base di questo rilievo d’incostituzionalità, c’è l’incerta convinzione che in casi come questo la normativa statale pur se cedevole sia comunque non una  comune formulazione normativa  di principi, ma  una normativa necessariamente analitica o di dettaglio , non potendo altrimenti applicarsi  a fattispecie concrete (almeno fin al momento in cui il legislatore regionale  non abbia  provveduto a dettare una propria disciplina) ; in breve, alla base della formulazione di norme statali cedevoli vi sarebbe la volontà dello Stato di vincolare le Regioni al di là della mera formulazione di principi generali.
In senso diverso si esprime la Corte , la quale  spiega (ancora una volta, a salvaguardia dell’ integrità della Costituzione e della nuova disciplina del titolo V) che l’attitudine della normativa statale ad  applicarsi alle Regioni fino al sopravvenire della normativa propria di queste, così come anche la sua eventuale analiticità,……..ha una sua ragionevolezza “….finalizzata com’è ad assicurare l’ immediato svolgersi  di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie  e che non possono essere esposte al rischio dell’ ineffettività” .
Le Regioni ricorrenti  lamentano inoltre che  per  l’art. 2, comma 5, d.lgs. n. 190 del 2002, la scelta dei commissari  straordinari deputati a monitorare la concreta realizzazione dei progettati interventi edilizi di rilevanza interregionale o internazionale  non è risultato di una scelta concordata tra Stato e Regioni (come accade invece, quando i progettati interventi hanno una rilevanza solo   regionale, ovvero interessano una Provincia autonoma o una Città metropolitana), ma di una decisione dello Stato, laddove invece, le Regioni sono soltanto sentite (paragrafo  20 del considerato in diritto)
La Corte rigetta  anche questo rilievo osservando che quando date funzioni sono attratte dallo Stato in via sussidiaria, le funzioni stesse per il periodo in cui sono esercitate devono reputarsi “statali”; l’intesa non è l’unica espressione della leale collaborazione  tra Stato e  Regioni, potendo  essa esprimersi anche nella sola acquisizione delle    valutazioni  dei Presidenti delle Regioni. In quest’ ottica si pone anche la censura al comma 7 dell art. 2 per il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri in vista dell’agevole e celere progettazione e realizzazione delle opere di interesse interregionale e nazionale, può demandare a commissari straordinari, l’adozione dei provvedimenti necessari  in sostituzione dei soggetti competenti (paragrafo  21 del considerato in diritto)
E’ evidente che l’interesse pubblico all’ esercizio unitario delle funzioni amministrative attratte dallo Stato in base al principio di sussidiarietà è il medesimo che sospinge lo Stato all’ adozione di tutte le misure necessarie perchè questo interesse non resti insoddisfatto in ragione dell’ inerzia di una Regione, nonostante essa abbia aderito all’ intesa. Ma anche in questo contesto vengono adottate una serie di cautele procedurali a salvaguardia delle prerogative costituzionali delle Regioni : la previa audizione dei Presidenti delle Regioni interessate rispetto a quei progetti infrastrutturali per i quali è stata accertata l’esistenza di un interesse regionale concorrente con quello statale preminente; ai sensi dell’art. 13, comma 4 del d.l. 1997, n.67, recante disposizioni urgenti per favorire l’occupazione, convertito dalla legge 1997, n. 135, il Presidente della Regione una volta ricevuta la comunicazione del provvedimento con il quale si materializzano i poteri sostitutivi sollecitatori del commissario straordinario, può sospenderne i provvedimenti , provvedendo diversamente; in caso contrario i provvedimenti divengono esecutivi. La Consulta introduce un necessario distinguo tra questi poteri sostitutivi di cui qui è parola e quelli di cui all’ art. 120 Cost.:  ivi l’inerzia della Regione è presupposto per l’esercizio  governativo di poteri di cui resta  comunque titolare la Regione, mentre nell’ ipotesi in esame l’inerzia della Regione è presupposto per interventi sostitutivi sollecitatori del Governo rispetto a funzioni delle quali ha già assunto oltre che l’ esercizio anche la titolarità in nome del principio della sussidiarietà (cfr., punto 20 del considerato in diritto)
La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale nella sua interezza del d. lgs. n. 198  del 2002. Esso è stato adottato adottato in violazione dei principi e criteri direttivi di delega contenuti nel comma 2 dell’art. 1 della l. n. 443. L’eccesso di delega di cui sarebbe viziato l’atto normativo delegato del Governo può fondare una pronuncia di illegittimità costituzionale solo quando è in grado di compromettere le  prerogative costituzionali delle Regioni. Ivi  invero il Parlamento ha delegato il Governo   ad individuare anno per anno infrastrutture pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale sulla scorta di un determinato programma (presentato dai ministri competenti previa audizione delle Regioni interessate, o formulato dalle Regioni previa audizione dei ministri competenti); ciò tra l’ altro, in funzione di una disciplina normativa in grado di garantire la sollecita realizzazione di tutti i progettati interventi. Di contro nel decreto impugnato non vi è traccia di questo programma, così che i soggetti interessati possono realizzare i propri  interventi infrastrutturali “……in assenza di un atto che identifichi previamente, con il concorso regionale, le opere da realizzare ….”, ed in alcuni casi prescindendo anche  dai vincoli derivanti da una preesistente destinazione urbanistica (in particolare, art. 3, comma 2).
[*] Corte Costituzionale, sentenze n. 465 del 1991, nn. 482 e 333 del 1995, nn. 276 e 376 del 2002
a cura di Giuliana Bianchi