La Corte boccia lo Statuto calabrese Corte costituzionale, 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 2

13.01.2004

Corte costituzionale, 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 2

Il Governo ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 33, 34 comma 1 lett.i); 38 comma 1, lettere a) ed e); 43, comma 2; 50 comma 5 e 51 della deliberazione statutaria della Regione Calabria approvata in seconda deliberazione, con riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera l), 121, 122, 123, primo comma e 126 della Costituzione.
L’art.33 dello statuto della Regione Calabria, secondo l’Avvocatura dello Stato, ha introdotto un tipo di rapporto tra la Giunta e il Presidente da un lato e il Consiglio regionale dall’altro, tale da violare il principio simul stabunt simul cadent disciplinato all’art.126 della Costituzione in correlazione con l’art.122, quinto comma. La norma citata prevede infatti che i candidati alle cariche di Presidente e Vice Presidente della Regione siano indicati sulla scheda elettorale e poi “nominati” dal Consiglio regionale nella sua seduta di insediamento; in caso di mancata nomina di entrambi i soggetti indicati dal corpo elettorale è previsto lo scioglimento del Consiglio; nelle ipotesi di dimissioni volontarie, incompatibilità sopravvenuta, rimozione, impedimento permanente o morte del Presidente della Giunta, lo statuto prevede la sostituzione con il Vice Presidente. In questo modo, a fronte di un sistema di elezione sostanzialmente diretto, viene aggirata la clausola costituzionale della “reciproca dissoluzione” dei due organi regionali, come prevista dall’art.126, terzo comma, della Costituzione, e in più si vìola la riserva di legge regionale in materia elettorale (art.122, primo comma) in quanto in questo caso è la fonte statutaria a disciplinare la procedura elettorale.
L’art.34,comma 1, lett.i) in combinato disposto con l’art.43, comma 2, ad opinione della ricorrente, attribuisce illegittimamente al Consiglio l’esercizio della potestà regolamentare nella forma dei regolamenti di attuazione e di integrazione in materia di legislazione esclusiva statale delegata alle Regioni, in contrasto con l’art.121 della Costituzione, che in seguito alla novella costituzionale del 1999 non prevede la potestà regolamentare del Consiglio.
Anche con riferimento all’art.38, primo comma, lettere a) ed e), in tema elettorale, il Governo ritiene violato l’art.122 primo comma della Costituzione che affida il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità alla disciplina della fonte legislativa regionale, non di quella statutaria. A ciò si aggiunge che la norma impugnata, escludendo il referendum abrogativo sulle norme statutarie, sottrarrebbe la materia elettorale dal referendum.
L’art.50 attribuisce alla Regione la disciplina del regime contrattuale dei dirigenti, il conferimento e la revoca degli incarichi, l’accertamento delle responsabilità e la comminazione delle sanzioni, ponendosi in contrasto con l’art.117, secondo comma, lett.l) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva statale la materia “ordinamento civile”, in cui confluiscono gli aspetti sia del rapporto di lavoro privato che pubblico.
Infine, la difesa erariale ritiene incostituzionale l’introduzione nello statuto all’art.51 della disciplina della potestà normativa tributaria, in quanto è una materia non compresa nell’elenco degli ambiti oggetto di regolazione statutaria ai sensi dell’art.123 della Costituzione.
Nel medesimo giudizio, in via subordinata, la Regione Calabria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.126 della Costituzione con riferimento agli articoli 3, 97, 123, 92 e 94 della Costituzione, nella parte in cui prevede lo scioglimento automatico del Consiglio anche in relazione ad eventi che riguardano la vita personale del Presidente senza intaccare il rapporto fiduciario, quali la morte, l’impedimento permanente, le dimissioni volontarie, in quanto rappresenterebbero una violazione del principio del parlamentarismo sotteso agli articoli 92 e 94 della Costituzione.

La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 33, commi 1,2,3,4,5, e 7 dello statuto della Regione Calabria; degli articoli 15, 16, comma 2 lettere a) e b), 38, comma 1, lettera c) della medesima delibera legislativa in quanto disciplinano alcune fasi ulteriori dei procedimenti di cui all’art.33; infine dell’articolo38, comma 1, lettere a) ed e).
Secondo la Corte, è da ritenere che la modalità per l’elezione del Presidente della Regione come prevista dallo statuto calabrese equivale all’elezione a suffragio universale e diretto prevista all’art.122 della Costituzione, completata dall’art.5 della legge costituzionale n.1 del 1999, che considera tale soluzione transitoria fino alla data di entrata in vigore degli statuti regionali e delle nuove leggi elettorali. Nonostante il sistema introdotto dalle norme impugnate preveda la mediazione del Consiglio che è chiamato a nominare il Presidente, tale meccanismo non si discosta da quello della elezione diretta, se si considera che, ai sensi del secondo comma dell’art.33, il Consiglio procede sulla base dell’investitura popolare e che la mancata nomina del Presidente e del Vice Presidente comporta lo scioglimento del Consiglio regionale. Inoltre al Presidente “nominato” spettano alcuni poteri attribuiti dalla Costituzione al Presidente eletto (nomina e revoca dei componenti della Giunta, scioglimento del Consiglio in caso di mozione di sfiducia), mentre è inibito il meccanismo automatico di scioglimento dell’organo legislativo in caso di impedimento permanente, dimissioni volontarie, rimozione o morte del Presidente della Regione.
A ciò si aggiunge che nessuna norma costituzionale ammette la possibilità di presentare una duplice candidatura per l’elezione a suffragio universale e diretto, qual è quella prevista per il Vice Presidente, da cui si deduce che il sistema configurato nell’articolo 33 vìola sia l’art.122, quinto comma, che il 126, terzo comma della Costituzione, a causa della riduzione dei poteri del Presidente eletto a suffragio universale e diretto e dell’anomala figura del Vice Presidente.
Il giudice costituzionale ritiene fondate anche le questioni relative alla violazione da parte dell’art.38 della delibera statutaria rispetto all’art.122 della Costituzione, laddove si affida alla legge regionale la materia elettorale. Lo statuto infatti ha in quest’ambito un ruolo ridotto, seppur indispensabile, con riferimento alla previsione della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali (sent. n.196 del 2003); tuttavia, una lettura sistematica degli articoli 122 e 123 della costituzione non può condurre ad una totale inclusione della legislazione elettorale nella determinazione della forma di governo, in quanto la materia elettorale è attribuita ad organi e a procedure diverse da quelli predisposti all’approvazione dello statuto regionale. Se alla legge statale spetta la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui al primo comma dell’art.122 della Costituzione, la cui definizione è poi attribuita alla legge regionale, sono inammissibili norme statutarie che determinino il sistema di elezione regionale, poiché limitano l’ambito di azione costituzionalmente riservato ai Consigli regionali.

La Corte costituzionale ha altresì dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, lett.i), 43, comma 2, 50 comma 5, 51 del citato statuto della Regione Calabria.
Il giudice delle leggi aveva già ritenuto che la disciplina della funzione regolamentare, anche nelle diverse tipologie di regolamenti, rientrasse nelle materie di competenza statutaria (sent.n.313 del 2003 e n.324 del 2003). In questo caso, lo statuto calabrese attribuisce in via generale la potestà regolamentare alla Giunta, ad eccezione dei regolamenti di attuazione e integrazione in materia di legislazione esclusiva dello Stato delegata alle Regioni: tale previsione appare adeguata, tenendo conto della maggiore rilevanza di questo tipo di normazione secondaria attribuita perciò al Consiglio.
Con riferimento alla disciplina contrattuale dei dirigenti pubblici, sembra plausibile la motivazione addotta dalla resistente, secondo la quale le procedure e le modalità di contrattazione collettiva non rientrano appieno nella materia esclusiva statale in tema di ordinamento civile, di cui all’art.117, secondo comma, lett.l) della Costituzione; la norma statutaria prevede che la Regione, nel rispetto dell’autonomia contrattuale dei soggetti interessati, disciplini con provvedimenti normativi le procedure contrattuali dei propri dirigenti nelle parti di sua competenza. A questo proposito la Corte, richiamano il regime di privatizzazione della dirigenza pubblica, ritiene che la competenza statale in materia non escluda la presenza di una legislazione regionale, considerando che le Regioni sono titolari di poteri legislativi propri in tema di organizzazione amministrativa e di ordinamento del personale ai sensi dell’art.117, quarto comma della Costituzione e dell’art.27, primo comma, del d.lgs. 165 del 2001.
La tesi della perentorietà delle materie riservate allo statuto in base all’art.123 della Costituzione, per la quale è stato impugnato l’art.51 della delibera statutaria, non può essere accolta tenendo conto che oltre al contenuto formale degli statuti, esistono “altri possibili contenuti” relativi ai compiti e alle funzioni della Regione.

In ultima analisi, la Corte ha ritenuto la manifestata infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.126, terzo comma della Costituzione, con riferimento agli articoli 3, 97,123, 92, e 94 della Costituzione.
Si rileva innanzitutto che la Regione Calabria ha impugnato una disposizione facente parte del testo costituzionale e non l’art.4 della legge costituzionale n.1 del 1999; in seconda battuta si ritiene che il principio del parlamentarismo invocato dalla ricorrente non si configura come “principio organizzativo immodificabile del sistema costituzionale”, e lo stesso Titolo V prevede forme di governo diverse a livello regionale.

a cura di Rosella Di Cesare