Corte costituzionale, 16 luglio 2009, n. 251
Giudizio di legittimità costituzionale in via principale sollevato dalle Regioni Emilia-Romagna (n. 2 ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, avverso lo Stato.
Norme impugnate e parametri di riferimento:
Sono stati impugnati gli articoli 91, commi 1, lettera d), 2 e 6, 95, comma 5, prima parte, 96, 101, comma 7, 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, 114, commi 1 e 2, e 116 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) per violazione degli articoli 76, 114, 117, commi 1 e 3, 118 e del principio di leale collaborazione Cost. In particolare si deduce la violazione del riparto di competenze normative e amministrative fra Stato e Regioni, premesso che dalla lettura dell’art. 73 del decreto legislativo impugnato, il quale individua gli obiettivi da perseguire nella disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, emergerebbe la riconducibilità della relativa disciplina ad un insieme di titoli competenziali di diversa natura, tra i quali si dovrebbe riconoscere la prevalenza a quello relativo al governo del territorio, pur non mancando i richiami a quelli relativi alla tutela dell’ambiente e della salute.
In particolare si denunciano le seguenti disposizioni:
a) l’articolo 91, comma 2, del d.lgs. 152/2006 il quale attribuisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-Regioni, il potere di emanare un decreto con il quale individuare le ulteriori aree sensibili rispetto a quelle inserite nell’elenco di cui al comma 1 del medesimo articolo. Si tratta di una funzione già trasferita alle Regioni dall’art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 1999, in piena coerenza con l’art. 80, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 112 del 1998, che attribuiva allo Stato unicamente la definizione dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali di risanamento delle acque. Pertanto, si ritiene che la disposizione impugnata realizzerebbe un’indebita riattrazione allo Stato della competenza in ordine alla individuazione delle ulteriori aree sensibili, la cui illegittimità non risulterebbe superata dalla previsione del previo parere (oltretutto non vincolante) in sede di Conferenza Stato-Regioni. Inoltre, l’ambito di intervento di tali disposizioni, pur se astrattamente riconducibile alla materia ambiente, risulterebbe tuttavia suscettibile di interventi legislativi regionali, in considerazione della naturale incidenza di tale funzione sulle politiche del territorio e sulla tutela della salute, rientranti nella competenza legislativa concorrente regionale. Conseguentemente, l’art. 91, commi 2 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che il processo codecisionale sia garantito attraverso un’intesa fra Stato e Regioni, limitandosi a prescrivere un mero obbligo di sentire la Conferenza Stato-Regioni, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. Analoghe considerazioni valgono per l’art. 96 che regola con disposizioni di dettaglio procedure attinenti alla gestione del demanio idrico.
b) L’articolo 95, comma 5, stabilisce che, per le finalità di cui ai commi l e 2, le Autorità concedenti effettuano il censimento di tutte le utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico sulla base dei criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e che le medesime Autorità provvedono successivamente, ove necessario, alla revisione di tale censimento, disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione. Ad avviso delle Regioni, la materia della tutela quantitativa della risorsa idrica e della pianificazione dell’utilizzazione di essa rientrerebbe nella competenza regionale, come dimostrerebbe lo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 il quale attribuisce alle Regioni il compito di elaborare il Piano di tutela delle acque (art. 121, commi 2 e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006). La norma impugnata, dunque, introducendo la necessità di non meglio precisati criteri che devono essere prefissati con decreto ministeriale – e così modificando la disciplina dettata dall’art. 22, comma 6, d.lgs. n. 152 del 1999, che già consentiva alle Autorità concedenti di limitare le utilizzazioni idriche –, da un lato, paralizzerebbe l’applicabilità della norma fino all’adozione dei criteri in questione, dall’altro, lederebbe le competenze regionali, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. Inoltre, poiché non si comprenderebbe l’utilità dei menzionati criteri ministeriali, l’art. 95, comma 5, prima parte, violerebbe altresì l’art. 76 Cost., in relazione ai principi di economicità e di semplificazione rispettivamente fissati agli artt. 1, comma 9, e 1, comma 9, lettera b), della legge n. 308 del 2004. Detta violazione dell’art. 76 Cost. si tradurrebbe, in lesione delle competenze regionali, dato che la previsione dei criteri ministeriali costituisce un vincolo per l’attività amministrativa regionale, interferendo, pertanto, con l’autonomia normativa della Regione.
c) L’articolo 101, comma 7, nell’assimilare alle acque reflue domestiche gli scarichi derivanti dalle imprese agricole, determina una riduzione del livello di tutela delle acque, contraddicendo i principi e i criteri direttivi fissati dall’art. 1, comma 8, lettera a), e dal successivo comma 9, lettera b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), concernenti, rispettivamente, l’obiettivo del miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione della salute umana, dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, e quello di pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi, con la conseguente violazione degli articoli 76 e 117, comma 3, Cost.
d) Con riguardo alle ulteriori disposizioni impugnate, ovvero gli articoli 104, commi 3 e 4, 113, comma 1 e 114, comma 1, con le quali si subordina l’esercizio di alcune funzioni regionali a forme di autorizzazioni delle autorità amministrative statali, si delinea una illegittima impostazione dei rapporti tra autonomia legislativa e amministrativa regionale e direzione statale in violazione dell’assetto delle competenze posto dagli articoli 117 e 118, Cost.
e) L’articolo 116 stabilisce che i programmi di misura sono predisposti dalle Regioni e sottoposti per l’approvazione all’Autorità di bacino (statale). Qualora l’Autorità ritenga le misure previste non sufficienti a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti, ne individua le cause e indica alle Regioni le modalità per il riesame, invitandole ad apportare le necessarie modifiche. La procedura in esame, pur prevedendo un coinvolgimento dei livelli di governo regionali, chiamati a predisporre i programmi di misura e le misure supplementari, di fatto attribuirebbe allo Stato, attraverso l’Autorità di bacino, l’approvazione finale dei programmi e delle misure medesime, realizzando in tal modo un’attrazione statale di funzioni amministrative in forza di meccanismi unilaterali di soluzione dei conflitti, anziché di modelli concertativi aderenti al principio di leale collaborazione. Pertanto, , il citato art. 116, nella parte in cui prevede l’approvazione dei programmi e delle misure supplementari da parte dell’Autorità di bacino, si porrebbe in contrasto con gli articoli 117 e 118, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione.
Argomentazioni della Corte:
La Corte, nel procedere all’esame delle singole disposizioni impugnate, ha dichiarato per alcune di esse l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale a fronte della genericità delle censure sollevate ( artt. 91, commi 2 e 6; 95, comma 5; 101, comma 7; 104, commi 3 e 4; 114, comma 1 del d.lgs. 152/2006). Al riguardo, infatti, il giudice costituzionale, confermando un consolidato orientamento, ha ribadito che nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale l’esigenza di una adeguata motivazione dell’impugnazione si pone in termini anche più pregnanti che in quello in via incidentale, cosicché la mancata esplicitazione delle argomentazioni, anche minime, atte a suffragare la censura proposta è causa di inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata . Nello specifico, le Regioni non hanno fornito alcuna specificazione né in ordine al motivo della dedotta illegittimità costituzionale della lamentata sovrapposizione della disciplina statale a quella regionale, né in ordine alla violazione dell’art. 118, Cost.
Inoltre, si ritiene che non sia sufficiente, al fine di considerare illegittima una disposizione del d.lgs. 152/2006, il contrasto con i principi enunciati dalla legge delega dal momento che, in primo luogo, è necessario specificare in quale ambito specifico tale effetto si è prodotto ed in secondo luogo la valutazione di conformità a Costituzione deve essere condotta alla luce dell’insieme dei criteri direttivi della delega legislativa, interpretati in maniera logico- sistematica.
Sono, invece, dichiarate non fondate le questioni di illegittimità costituzionale sollevate nei confronti dell’art. 91, commi 2 e 6, in riferimento agli articoli 76, 117 e 118, in quanto l’ ambito di intervento della norma censurata è ascrivibile alla materia dell’ambiente, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e di conseguenza l’allocazione delle funzioni amministrative operata con la disposizione impugnata risulta, invero, coerente anche con il principio di sussidiarietà. Al riguardo, si rileva, infatti, che la funzione di individuazione delle aree maggiormente esposte al rischio di inquinamento deve rispondere a criteri uniformi ed omogenei, dovendo, al contempo, tener conto anche delle peculiarità territoriali sulle quali viene ad incidere. Quanto al potere statale di reidentificazione delle aree medesime, disciplinato al successivo comma 6, esso risulta connotato da una natura eminentemente ricognitiva a cadenza periodica, che non comporta, pertanto, alcuna modifica sostanziale dell’assetto delle competenze regionali, né vanno ad incidere su di esse.
Viene, altresì dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 95, comma 5 del d.lgs. 152/2006 per due ordini di ragioni : in primo luogo, risulta erronea la premessa posta a base dei profili di censura svolti con riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., secondo la quale la materia della tutela quantitativa della risorsa idrica e della pianificazione dell’utilizzazione di essa andrebbe ascritta ad una (non meglio precisata) competenza legislativa concorrente regionale, dal momento che essa rientra senz’altro nella materia “tutela dell’ambiente”; in secondo luogo, anche a prescindere dalla genericità del ricorso in ordine alla dedotta lesione delle competenze regionali ad opera della disposizione impugnata, deve osservarsi, in relazione alla asserita violazione dell’art. 76 Cost. – per contrasto con la legge delega –, che la disposizione impugnata subordina l’adozione dei criteri ministeriali in questione ad una previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Conseguentemente, risulta assicurata la partecipazione del sistema delle autonomie regionali al procedimento di elaborazione dei criteri medesimi nella forma della codecisione paritaria.
Del pari non sono fondate le censure sollevate nei confronti degli articoli 113, comma 1, e 114, comma 1 del d. lgs. 152/2006 in riferimento agli articoli 76, 117, e 118, Cost. Nello specifico, la Corte ritiene non condivisibili la tesi prospettata dalle Regioni e fatta oggetto delle censure, secondo cui la competenza normativa attribuita alle Regioni risulterebbe, in entrambi i casi, illegittimamente condizionata al previo parere del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Sulla base del canone dell’interpretazione conforme a Costituzione, infatti, non solo non può essere riconosciuta natura vincolante al parere in argomento, ma, soprattutto, esso deve intendersi riferito alla sola funzione amministrativa e non già anche a quella normativa. In considerazione della natura non vincolante del parere, infine, deve escludersi che la norma censurata determini alcuna sostanziale riduzione del potere amministrativo ad esso condizionato, con conseguente infondatezza anche delle questioni proposte in relazione a profili di illegittimità attinenti alla violazione degli artt. 118 e 76 Cost.
Analoghe considerazioni, infine valgono per le questioni di legittimità costituzionale concernenti gli articoli 96, comma 1 e 116 del suddetto decreto legislativo, tutte incentrate, prevalentemente, sul ruolo rivestito dall’Autorità di bacino territorialmente competente nell’ambito dei procedimenti amministrativi rispettivamente regolati dalle disposizioni impugnate e sulla asserita illegittimità di esso in riferimento sia all’art. 76 Cost. (per contrasto con alcuni dei criteri direttivi contenuti nella legge delega) sia, più in generale, per violazione del riparto di competenze stabilito dall’art. 117 Cost., nonché dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, dichiarate non sono fondate sulla base delle motivazioni già esposte.
Decisione della Corte:
La Corte dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 91, commi 1, 2, 6 – 96, comma 1 – 101, comma 7 – 104 del d.lgs. 152/2006 e la non fondatezza dell’ illegittimità costituzionale degli artt. 91, commi 2 e 6 – 95, comma 5 – 96, comma 1 – 113, comma 1 – 114, comma 1 – 116 del d.lgs. 152/2006.
Giurisprudenza richiamata:
– Sulla necessità della adeguata motivazione per l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale : Corte cost., sentt. nn. 428, 120 e 2 del 2008; n. 430, 38 del 2007;
– Sull’interpretazione dei criteri direttivi delle legge delega: Corte cost. sentt. nn. 232 e 225 del 2009.