Rispetto delle norme commerciali, ambientali e sociali internazionali e progressi dei diritti umani, è quanto chiede la relazione di Caroline LUCAS (Verdi/ALE, UK) sulle prospettive delle relazioni commerciali tra l’UE e la Cina, adottata dalla Plenaria con 567 voti favorevoli, 19 contrari e 49 astensioni. I deputati chiedono misure per tutelare le imprese europee dalla concorrenza cinese ed esprimono preoccupazione per l’impatto sociale e ambientale che la crescita economica può avere in Cina.
Rispetto delle norme commerciali internazionali
Il Parlamento chiede un ulteriore dialogo per consentire alla Cina di affrontare con sollecitudine le numerose questioni sospese che preoccupano l’industria dell’UE, in particolare per quanto concerne l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale, il trattamento nazionale, la trasparenza e le norme ambientali, sociali e sanitarie. In tale contesto, la Commissione è quindi inviata ad offrire alle imprese europee il proprio sostegno e a riesaminare in modo approfondito le varie disposizioni di salvaguardia degli accordi OMC per valutare se sono ancora adeguate ai nuovi schemi del commercio intenrazinale.
Ritenendo la pirateria e la contraffazione di prodotti e marchi europei da parte delle industrie cinesi «una grave violazione delle regole del commercio internazionale», la relazione invita la Commissione ad adottare misure appropriate per proteggere la proprietà intellettuale delle imprese europee. In proposito, adottando un emendamento avanzato da numerosi deputati italiani, il Parlamento accoglie con favore la proposta di direttiva sulle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, «auspicandone una rapida approvazione». D’altra parte, gli Stati membri sono esortati a sviluppare un efficace controllo del mercato per proteggere il più possibile i consumatori europei da prodotti che non corrispondono alle norme CE.
La Cina, poi, dovrebbe aprire i propri mercati alle merci e ai servizi stranieri abolendo le barriere burocratiche e adottare una procedura trasparente e leale nell’assegnazione degli appalti pubblici, che consenta pari opportunità di partecipazione anche alle imprese straniere.
Gli effetti della concorrenza sulle imprese europee
Sostenendo che il modo in cui è stato inizialmente applicato il Memorandum d’intesa ha causato «gravi danni» ad alcuni rivenditori europei, il Parlamento si rallegra nondimeno del fatto che, in seguito a nuove discussioni con le autorità cinesi, questo problema «appare ora risolto, almeno nel breve termine». L’Esecutivo dovrebbe tuttavia continuare a monitorare la situazione, in modo da assicurare che «non vi siano ulteriori perturbazioni nel settore dei prodotti tessili o in altri settori in cui la concorrenza cinese sta considerevolmente aumentando».
Viste le possibilità di importazione dalla Cina e da altri paesi, la Commissione è invitata a studiare la validità economica a lungo termine della produzione tessile e di abbigliamento nell’UE. D’altra parte, osservando come i consumatori europei non profittino significativamente del forte calo del valore dei tessili importati in misura crescente dalla Cina, il Parlamento chiede alla Commissione «di indagare su eventuali intese tra importatori e/o grandi distributori e di vigilare sulla trasparenza in materia di formazione dei prezzi del settore». L’Esecutivo, inoltre, dovrebbe adottare le misure necessarie per impedire l’importazione nell’UE di qualsiasi articolo fabbricato con prodotti chimici «ad alto rischio» che i produttori europei non sarebbero autorizzati a utilizzare in base alla normativa europea o nazionale.
Ma non è solo il tessile a preoccupare i deputati. A loro parere, i settori automobilistico e della produzione di biciclette nonché l’industria metalmeccanica e siderurgica, devono affrontare delle sfide «di natura sistemica». Occorre quindi «sviluppare con urgenza» una strategia a lungo termine per l’industria europea affinché la politica commerciale internazionale dell’UE tenga presenti e affronti in anticipo gli squilibri esistenti con la Cina. Alla Commissione è anche chiesto di valutare la possibilità di introdurre un regime di etichettatura europeo che indichi il paese d’origine nonché le norme sociali e ambientali applicate.
L’Esecutivo dovrebbe poi monitorare l’incidenza che la concorrenza cinese ha sull’industria europea, nonché le tendenze dell’outsourcing in termini quantitativi e di composizione settoriale, al fine di approntare le risposte politiche adeguate. Occorre, inoltre, intraprendere indagini continue tese a «valutare pienamente la portata della questione del trasferimento di posti di lavoro in altri paesi (off-shoring)» e analizzarne i costi economici, anche intermini di perdita del gettito fiscale. Nel constatare poi che, nonostante rappresentino solo il 20% del PIL mondiale, i prodotti manifatturieri contano per il 75% del commercio internazionale di beni e servizi, i deputati rilevano parallelamente che «le delocalizzazioni riguardano essenzialmente prodotti manifatturieri privi di un grande valore aggiunto».
A loro parere, tali mutamenti industriali «colpiscono soprattutto i lavoratori più vulnerabili, i meno qualificati e quindi i meno adattabili». Pertanto è chiesta una forte solidarietà sociale nei confronti di tali lavoratori, in particolare mediante maggiori investimenti nella loro formazione e riqualificazione, al fine di riorientarli verso impieghi nei settori in cui l’Europa continua ad essere un leader mondiale.
Accanto alle evidenti preoccupazioni, tuttavia, il Parlamento sottolinea che la Cina rappresenta un mercato di grande potenzialità per gli investitori europei, «fino ad oggi sfruttato in minima parte». La Commissione è quindi invitata ad individuare i modi più efficaci per aiutare l’industria europea a ricercare e a cogliere tutte le opportunità offerte da quel grande mercato in crescita.
Dialogo politico, diritti umani innanzitutto
Il Parlamento auspica che, parallelamente allo sviluppo delle relazioni commerciali, l’UE persegua un dialogo politico intensificato «che spazi dalle questioni legate ai diritti umani ai problemi in materia di sicurezza regionale e globale».
I deputati, infatti, si dicono preoccupati per la situazione dei diritti umani in Cina, nonostante i progressi degli ultimi 15 anni, e rilevano la necessità di «fare di più» migliorando costantemente il dialogo in materia di diritti umani tra la Cina e l’UE.
A tale proposito, deplorano che il rapido sviluppo economico della Cina non sia stato accompagnato da miglioramenti in materia di diritti politici e civili per la popolazione e che non abbia dato buon esito il dialogo ufficiale sui diritti umani, in cui l’UE e la Cina sono impegnate dal 1997. E’ quindi sottolineata la necessità di adottare, nell’ambito della politica commerciale generale dell’UE con la Cina, «un approccio diverso che includa la messa a punto di una politica chiara ed efficace in materia di condizionalità per quanto concerne i diritti umani».
Con l’adozione di un emendamento proposto dal PPE/DE, il Parlamento afferma che è inopportuno revocare l’embargo sulle armi «in questo particolare momento», ricordando che esso era stato imposto alla Cina come conseguenza diretta della «brutale repressione delle manifestazioni democratiche della piazza Tienanmen» del 1989.
Diritti sociali
I deputati invitano la Cina ad integrare nella sua legislazione il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti sociali, economici e culturali, quale strumento – tra gli altri – per istituire delle norme minime sociali e ambientali.
Al riguardo, il Parlamento esprime preoccupazione per il fatto che circa un quarto della popolazione rurale in Cina viva tuttora in condizioni di povertà estrema e che la potenza asiatica figuri tra i paesi in cui le differenze di reddito si fanno sempre più marcate. Inoltre, i deputati sottolineano il mancato riconoscimento dei diritti dei lavoratori in Cina, il bassissimo livello salariale ed il numero crescente di incidenti sul lavoro dovuti all’inadeguatezza delle norme in materia di sanità e di sicurezza.
Per tale ragione esortano la Cina a ratificare le convezioni fondamentali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e ad abolire il monopolio di Stato sulla costituzione di sindacati. Occorre poi adottare misure volte a lottare efficacemente contro ogni forma di schiavitù contemporanea, di lavoro minorile e di sfruttamento, specialmente quello delle donne sul lavoro, «in modo da garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori e porre fine al dumping sociale». La Cina, inoltre, dovrebbe istituire un sistema di protezione sociale adeguato alle esigenze della popolazione e diretto in via prioritaria ai disoccupati.
Conseguenze ambientali
Anche gli alti livelli d’inquinamento causati dalle industrie cinesi e il crescente consumo di risorse naturali come il legname proveniente da fonti non sostenibili, preoccupano i deputati. Il governo cinese è pertanto invitato a impegnarsi pienamente e concretamente per la promozione di uno sviluppo sostenibile.
Ma l’enorme crescita economica della Cina, ai loro occhi, oltre a determinare un inquinamento ambientale, provoca anche una penuria di risorse ed un aumento dei prezzi delle materie prime sul mercato mondiale.
L’ex Celeste Impero deve quindi assumersi la responsabilità di integrare le norme ambientali nel settore produttivo e in quello della gestione delle scorie, e contribuire a riparare i danni all’ambiente. D’altro canto, la Commissione deve individuare delle soluzioni al problema di come garantire in futuro un approvvigionamento stabile ed economicamente accessibile di materie prime ed energia alla popolazione e alle imprese europee.