Incontro di studio promosso nell’ambito del “Laboratorio sui Servizi Pubblici a Rete”
Roma, 27 gennaio 2004
Luiss Guido Carli
Relazione introduttiva – professor Fabio Gobbo e dottor Alberto Biancardi
Nella relazione introduttiva del seminario sono state ripercorse le tappe più significative che hanno caratterizzato il processo di liberalizzazione del settore elettrico mettendo in evidenza come oggi, a più di cinque anni dall’avvio del processo delineato dal decreto legislativo n. 79/99 (cd “Bersani”), si versi ancora in una fase di non compiuta attuazione. L’esempio più emblematico è rappresentato dalla vicenda che interessa l’entrata in funzione del sistema di contrattazione in Borsa dell’energia che avrebbe dovuto essere definitivamente approvato (ed operante) già a partire dal primo gennaio 2001. In relazione a questo ritardo vengono fornite alcune cifre: dei 47 provvedimenti previsti per dare attuazione al decreto Bersani ne sono stati approvati 37 (18 Direttive del MAP, 20 Delibere AEEG, 9 da parte di altri soggetti). Il già articolato quadro di riforma del sistema elettrico previsto dall’impianto del decreto Bersani (e relative norme di attuazione/integrazione) è stato ulteriormente complicato dalla introduzione di altre disposizioni (ad esempio il mercato delle capacità) non originariamente previste. Procedendo ad un’analisi complessiva del sistema, il quadro che emerge è quello di un settore elettrico ormai delineato nei suoi tratti caratterizzanti: Borsa, Gestore del Mercato, Acquirente Unico, Gestore della Rete, Autorità di regolazione, nel quale, comunque restano da risolvere alcuni rilevanti problemi: – introduzione di misure per limitare l’esercizio del potere di mercato – criteri per trasferire, ad esempio tramite meccanismo tariffario, i costi della fornitura del mercato vincolato dall’Acquirente Unico ai distributori – definizione delle caratteristiche del “mercato delle capacità” (Questo punto si presenta particolarmente critico perché sebbene il decreto legislativo 19 dicembre 2003, n. 379 ne preveda l’istituzione, non ne ha chiarito “quali” ne siano i connotati e “quando” entrerà in funzione. Nella relazione viene, inoltre, osservato che ulteriori profili di criticità del sistema sono rappresentati: a) dal nuovo riparto di competenze definito dal nuovo Titolo V della Costituzione; b) dalle difficoltà connesse all’ottenimento di procedure autorizzatorie per l’incremento della capacità produttiva; c) dalle asimmetrie nel grado di apertura dei diversi mercati nazionali di energia; d) dal dibattito intorno alla figura del cd “fornitore di ultima istanza”. Sullo sfondo di questo complesso scenario si pongono due elementi di riflessione:
- il processo di recepimento della nuova Direttiva comunitaria in materia di energia (Direttiva 2003/54/CE).
Al riguardo viene osservato che il decreto Bersani è già in linea con le previsioni della direttiva e, quindi, che ulteriori passi nella direzione della maggiore apertura alla concorrenza saranno rimessi all’autonoma decisione (politica) assunta dallo Stato italiano.
- il black-out verificatosi il 28 settembre 2003.
Tra gli aspetti problematici che devono essere presi in considerazione vi è il problema della mancanza di trasparenza nel sistema e quello della insufficiente disponibilità di offerta energetica. Relativamente alla prima questione, viene osservato che uno dei nodi da sciogliere è stabilire come ripartire il carico del costo energetico: definire “chi paga quanto” tra famiglie ed imprese. Per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto, il professor Gobbo osserva come il problema dell’offerta non sia strettamente legato alla insufficienza della capacità di generazione installata, quanto piuttosto alla questione degli incentivi economici (prezzi corrisposti) a produrre. Il prof. Gobbo conclude il suo intervento sottolineando come nel passaggio dal monopolio al mercato ci sia bisogno di istituzioni che regolano il processo e che nei cinque anni passati dall’approvazione del decreto Bersani, vi sia stata una notevole successione istituzionale (diversi Governi con diversi Ministri) con un unico punto fermo: l’Autorità per l’Energia. Il decreto Bersani dava il pallino della riforma in mano all’Autorità per l’Energia, il cui operato, però, causa mancanza di pragmatismo, ha fatto sì che il sistema non sia decollato come avrebbe dovuto.
Intervento del professor Alberto Clò
Nel suo intervento il professor Clò sottolinea come non abbia grande senso domandarsi se il processo di riforma intrapreso con il decreto Bersani sia arrivato a compimento dal momento che “i processi di riforma non arrivano mai a destinazione”. Ciò che, invece, sarebbe più opportuno rilevare è che nel dibattito sulla riorganizzazione del settore elettrico non si tenda – come sarebbe logico aspettarsi – ad adeguarsi alla realtà, ma si prenda come punto di riferimento un assetto complessivo ideato più di cinque anni fa privo ormai di ancoraggio nella realtà. Il professor Clò esorta a prendere atto del fatto che ogni proposta di riforma del settore elettrico deve muovere dalla presa di coscienza della dimensione europea e non solamente nazionale. In questa prospettiva, viene anche rilevato che la stessa politica di apertura dei mercati perseguita a livello europeo presenta aspetti criticabili. Il relatore osserva, infatti, che la nuova Direttiva comunitaria 2003/54/CE nasce già vecchia, in quanto non tiene conto di quello che è successo negli ultimi anni nel contesto europeo dove si assiste ad un fenomeno paradossale: i processi di apertura e liberalizzazione stanno portando a fenomeni di concentrazione e integrazione verticale. Questo processo dovrebbe far comprendere che non è sufficiente eliminare le barriere legali e regolamentari per abbattere le barriere di fatto che si frappongono alla realizzazione del mercato comunitario dell’energia. Nell’analizzare gli effetti del processo di riforma come questo si è fin qui sviluppato, non ci si può esimere dal confrontare quali erano i risultati/obiettivi attesi con quelli che sono stati effettivamente conseguiti. In questa prospettiva, viene messo in evidenza come dalla riforma ci si aspettasse essenzialmente: a) una diminuzione dei prezzi come conseguenza dell’introduzione di maggiore concorrenza; b) il mantenimento/miglioramento di un servizio pubblico di livello adeguato; c) la continuità della fornitura del servizio elettrico e la sicurezza degli approvvigionamenti. La situazione attuale testimonia, invece, che gli effetti prodotti risultano alquanto diversi dalle aspettative. Più precisamente, il professor Clò osserva che, proprio il problema della garanzia della continuità della fornitura del servizio elettrico, rappresenta uno degli aspetti più critici del nuovo sistema, tanto da portarlo ad affermare che “l’Italia non è in grado di disporre con certezza della continuità delle forniture elettriche, e ciò a prescindere da qualunque sia la domanda potenziale”. Nel ripercorrere le cause che hanno condotto al black-out elettrico dello scorso settembre, viene evidenziato come accanto a “fattori contingenti” che sicuramente hanno avuto un peso nel determinare il cortocircuito del sistema, deve prendersi atto del fatto che ben più rilevanti sono le ragioni di “natura strutturale” che destano preoccupazione e devono essere oggetto di attenta riflessione. Nel riferirsi a tali cause di “natura strutturale” il professor Clò non limita la sua all’analisi alla necessità (da più parti evidenziata) di installare nuova e più efficiente capacità produttiva. Questa è sì una questione da affrontare, ma non è (solo) con l’installazione di nuova capacità produttiva che si può assicurare che ciò che è accaduto sul finire dello scorso settembre non abbia a ripetersi. Di contro, l’aspetto che deve essere sottolineato è che il processo di liberalizzazione del settore elettrico avrebbe meritato una più attenta ponderazione ed un approccio più pragmatico capace di tenere in adeguata considerazione gli “aspetti istituzionali della riforma”. In questa prospettiva, viene evidenziato che il nodo strutturale più rilevante attiene alla mancata previsione di un meccanismo di coordinamento sistemico (attraverso scambi di informazione e/o relazioni contrattuali) tra i diversi attori (Ministeri, GRTN, AU, AEEG, poteri locali, operatori economici, ecc.) del settore elettrico capace di sostituirsi in maniera efficace al precedente assetto (imperniato sull’ENEL verticalmente integrata) nel compito di fornire il servizio elettrico tutelandone i profili di interesse generale. Nel presentare questo quadro d’insieme così complesso, il professor Clò afferma come fosse palese che il sistema delineato dal decreto Bersani non potesse funzionare. Data la mancanza di coordinamento sistemico, infatti, era facile prevedere che la contrapposizione dialettica tra “interessi particolari” ed “interesse generale” avrebbe messo a dura prova la tenuta del sistema come il black-out di settembre ha dimostrato. Tra le altre note negative del processo di riforma del settore elettrico, vengono menzionate: a) i pochi e circoscritti benefici ottenuti da alcuni privati; b) l’effetto di trasferimento del reddito dal mercato vincolato (famiglie e piccole imprese) al mercato libero (imprese); c) l’aumento, sia in termini assoluti che relativi, del prezzo dell’energia; d) l’ingente costo rappresentato dalle misure di incentivazione CIP/6 e gli effetti distorsivi del mercato da queste prodotte; e) la diminuzione degli investimenti effettuati sulla rete di trasmissione di energia ed il conseguente degrado fisico delle infrastrutture. Per quanto attiene in particolare al problema della diminuzione degli incentivi agli investimenti, il professor Clò osserva come fino al 1998 il livello degli investimenti sia rimasto a livelli adeguati alle esigenze, mentre ha fatto registrare una drastica riduzione dal 1999 in avanti, passando dai 500 milioni di euro del 1998 ai 200 milioni nel 2000. A tale diminuzione, inoltre si è aggiunto il problema del coordinamento tra gestione (GRTN) e proprietari della rete (TERNA, in special modo) che non hanno dato esecuzione al piano di investimenti programmato dal Gestore della rete. In questo quadro, caratterizzato prevalentemente da ombre, neanche l’introduzione del sistema di contrattazione dell’energia nella Borsa potrà – ad avviso del professor Clò – contribuire a migliorare la situazione. Probabilmente potrà avere degli effetti positivi in termini di maggiore trasparenza del sistema, ma non potrà risolverne i problemi strutturali. Per affrontare efficacemente la questione occorrerà mettere a punto delle strutture e procedure che rendano possibile un adeguato coordinamento sistemico tra i diversi attori e ridefinire con chiarezza gli obiettivi e gli obblighi da imporre ai privati affinché il legittimo perseguimento di interessi particolari non pregiudichi l’interesse generale alla continuità della fornitura del servizio elettrico.
Intervento del Consigliere di stato Carlo Malinconico
Nell’introdurre la sua relazione il Consigliere Malinconico evidenzia come in un settore così complesso come quello elettrico, il diritto viene in rilievo essenzialmente in funzione servente, per contribuire al conseguimento dell’obiettivo prefisso: l’introduzione del mercato in un sistema fortemente caratterizzato da riserva di attività e gestione diretta del settore da parte del monopolio pubblico verticalmente integrato. Posta in tali termini la questione, diventa, quindi, importante chiedersi che cosa ci si attendeva dal processo di riforma e verificare quali siano i risultati effettivamente raggiunti. Tra gli obiettivi prefissi vi erano principalmente: a) restringere il monopolio solo ed esclusivamente a quelle parti della filiera produttiva che effettivamente presentavano caratteristiche di “monopolio naturale” (infrastrutture a rete) ed aprire alla concorrenza le altre attività con conseguente effetto virtuoso per tutto il settore; b) assicurare che nel sistema fosse presente un’Autorità di regolazione realmente autonoma ad indipendente dagli altri attori del sistema elettrico. Nel valutare se tali obiettivi siano stati raggiunti, il Consigliere Malinconico osserva che, almeno da un punto vista teorico, il processo di riforma intrapreso nel 1999 presenta indubbiamente delle “luci” accanto alle quali, però, non si può non rilevare la presenza di alcune “ombre”. Tali ombre sono essenzialmente da attribuire all’introduzione di sistema connotato dalla presenza di una pluralità di operatori e con una accresciuta complessità rispetto al passato. Anche dal lato della domanda non si può non rilevare che, accanto al raggiungimento di notevoli traguardi in relazione al grado di “apertura” del mercato, (formale attribuzione del diritto di scegliere il proprio fornitore grazie alla qualifica di “cliente idoneo”) permangono delle rilevanti limitazioni che molto spesso rendono, di fatto, impossibile esercitare tali diritti. Il quadro sembra, inoltre, destinato ad assumere ulteriori profili di complessità e criticità in considerazione degli effetti provocati (la cui percezione non trova, comunque, sempre adeguati fondamenti nella realtà giuridica) dalle nuove norme del Titolo V della Costituzione in tema di governo dell’energia. Nel concludere il suo intervento, il consigliere Malinconico osserva che, in uno scenario altamente complesso e mutevole, nel quale si possono verificare dei fenomeni di inerzia e rallentamento dovuti all’incertezza, un punto che deve essere tenuto in massima considerazione è che la “stabilità della regolazione è un bene prezioso per tutti”, dal momento che solo valorizzandola è possibile garantire la certezza ed incentivare gli investimenti necessari per favorire lo sviluppo del settore.
Intervento del professor Sabino Cassese
Il professor Cassese osserva come dalla relazioni e dagli interventi effettuati sia possibile affermare che le problematiche sollevate in relazione al settore elettrico presentino, ad di là delle specifiche peculiarità che lo connotano, dei profili problematici comuni ad altri servizi pubblici: 1) la dicotomia libertà globali/vincoli locali. Di questa contrapposizione sarebbe espressione il fenomeno, altre volte richiamato dal professor Cassasse, del cd. “neosocialismo municipale”: a fronte di processi di liberalizzazione ed apertura alla concorrenza decisi a livello centrale, si registra, infatti, un’azione di forte ostacolo e/o opposizione da parte degli Enti locali che utilizzano, in modo non sempre condivisibile, (come ha cominciato a chiarire la Corte Costituzionale), competenze e le attribuzioni loro spettanti in tema di governo del territorio. 2) i problemi derivanti dal “vuoto” tra diversi ambiti della regolazione e dalla mancanza di idonei meccanismi di coordinamento tra gli stessi. 3) la difficile compatibilità tra area liberalizzata, area assoggettata a riserva e servizio universale nei servizi pubblici a rete
.
Intervento del dottor Massimo Romano
Nel suo intervento il dottor Romano evidenzia come, sia dalle considerazioni svolte nelle relazioni che lo hanno preceduto (principalmente intervento del Professor Clò) che da varie prese di posizione da diverse parti espresse, sembra emergere una sorta di “nostalgia per il monopolio”. Tale impostazione tenderebbe ad enfatizzare che non sono stati conseguiti i risultati attesi in termini di: a) prezzi (che non sarebbero diminuiti); b) livello di concorrenzialità del sistema (ancora non adeguato); c) sicurezza del sistema (perfino diminuita) Questa ricostruzione risulta eccessivamente ingenerosa verso il processo di transizione intrapreso con la riforma del 1999 e tenderebbe ad enfatizzarne solo le ombre – che pure ci sono state – senza sottolineare gli aspetti positivi. Questo approccio, rischia – ad avviso di Romano – di alimentare un fenomeno peculiare del sistema italiano: la tendenza, prima ancora di attuare completamente una riforma intrapresa, ad adoperarsi per “riformare la riforma”. Nel presentare alcuni degli aspetti positivi derivanti dal processo di liberalizzazione, viene ricordato come la presenza di ENEL abbia visto, anche in virtù degli effetti dovuti agli obblighi imposti dalla regolazione asimmetrica, una significativa riduzione, sia in termini di quota della produzione (passata dal 69% del 2000 al 40% del 2003), che di presenza nel mercato libero (dal 48% del 2000 al 10% del 2003). Tra gli altri aspetti positivi della riforma viene, inoltre, sottolineato che – diversamente da quanto affermato dal professor Clò – il prezzo dell’energia italiana, pur rimanendo ad un livello ancora elevato, ha registrato una flessione della componente base della tariffa, (componente che va nel conto economico delle imprese). Tale riduzione è da considerarsi tanto più significativa ove si consideri che nel “paniere delle fonti” che concorrono alla generazione di energia, il nostro Paese fa registrare un livello pari quasi al 70% di energia prodotta da petrolio e gas. Tra le ombre del sistema viene ricordato il notevole gap tra autorizzazioni alla costruzione di nuovi impianti rilasciate e cantieri effettivamente aperti. Altro aspetto critico che merita un’attenta riflessione, è che negli anni trascorsi il focus dell’attenzione è stato prevalentemente concentrato sulle problematiche connesse alla riduzione dei costi piuttosto che sulle esigenze di sicurezza del sistema. Nell’intervento vengono, inoltre, messi in luce due aspetti sui quali sarebbe opportuno aprire una più ampia riflessione: il problema della riforma della tariffa sociale e la questione del CIP/6. Relativamente alla prima questione, si ricorda che la “fascia sociale” rappresenta un prezzo notevolmente inferiore ai costi di fornitura del servizio elettrico e che tra i beneficiari della fascia sociale vi sono anche consumatori che non ne avrebbero diritto a particolari forme di tutela. Per quanto concerne le misure di incentivazione CIP/6, il dottor Romano afferma che queste rappresentano un enorme trasferimento di risorse dal mercato vincolato ad alcune imprese del mercato libero. Il nodo critico consiste nel fatto che un sistema ideato per ridurre il costo energetico per alcuni settori produttivi particolarmente esposti alla concorrenza internazionale di imprese che hanno costi di approvvigionamento energetico notevolmente più contenuti, vede tra i suoi beneficiari anche soggetti che, per la struttura del mercato in cui operano (tale è il caso, ad esempio, dei cementieri), non sono esposti al rischio della concorrenza internazionale. Nel concludere il suo intervento, il dottor Romano, affronta la questione della riunificazione tra gestione e proprietà della rete di trasmissione nazionale e delle prospettive di privatizzazione, sottolineando come la partecipazione di operatori elettrici al capitale dei gestori della rete rappresenti la norma in quasi tutta l’Europa.
Intervento del professor Carlo Andrea Bollino
Nel suo intervento il Professor Bollino ripercorre le tappe fondamentali che hanno caratterizzato la politica energetica negli ultimi due anni, evidenziando come ormai si possa ritenere che il sistema sia giunto ad un punto di non ritorno e che la scelta intrapresa con la liberalizzazione del settore è, in prospettiva, idonea a generare i positivi effetti attesi. Questa conclusione, comunque, non deve far sottovalutare le difficoltà insite nel governare il processo di liberalizzazione di un settore così complesso come quello elettrico nel quale le diverse attività che lo compongono (produzione, trasmissione, distribuzione, vendita) possono essere idealmente collocate nella matrice costruita sulle due dimensioni concentrazione/diffusione e mercato/servizio pubblico.
|
mercato |
|
|
concentrazione |
produzione |
vendita |
DIFFUSIONE |
|
trasmissione |
distribuzione |
|
|
servizio pubblico |
|
Nel concludere il suo intervento il professor Bollino osserva che il livello del servizio pubblico è insufficiente se lasciato alle sole regole del mercato. Infine, relativamente al problema dell’incentivazione agli investimenti, il professor Bollino osserva che, per quanto attiene al caso delle infrastrutture di trasporto, tale esigenza non ha trovato soddisfacenti risposte nell’impianto regolatorio dal momento che la tariffa sul costo di trasporto consente una remunerazione tra il 5-6% del capitale investito, non sufficiente a costituire l’incentivo all’investimento.
Conclusioni del professor Luigi Prosperetti
Il professor Prosperetti riassume brevemente alcuni dei contenuti e degli spunti di riflessione emersi nel corso delle relazioni e degli interventi che lo hanno preceduto evidenziando gli aspetti di maggior criticità che si presentano nel delicato processo di riforma del settore elettrico. In questa prospettiva, viene osservato come uno degli aspetti più problematici sia rappresentato dal “particolarismo degli enti locali” che reclamano una fetta della rendita per non ostacolare il processo di riforma del sistema elettrico. Altri elementi di difficoltà sono da ricollegare, da un lato, alla presenza di pochi operatori dominanti nel settore per i quali vi è una tentazione alla riduzione dell’offerta, dall’altro, all’egoismo di alcuni grandi gruppi industriali che beneficiano di energia a costi notevolmente ridotti (si pensi ad cd. clienti interrompibili). In questo quadro d’insieme così problematico e fortemente caratterizzato dalla eccessiva proliferazione dei centri decisionali, viene messo in evidenza come il livello di governo del sistema sia particolarmente debole e che tale debolezza è esemplificativamente testimoniata dall’inadeguatezza di risorse – sia tecniche che finanziarie – messe a disposizione della competente Direzione Generale del Ministero delle Attività Produttive. L’esperienza passata ha, inoltre, dimostrato come vi sia una manifesta incapacità del Parlamento a governare un sistema tanto complesso, anche dal punto di vista tecnico, come quello energetico. Tutti questi problemi rischiano, quindi, di rappresentare un forte ostacolo ad ogni tentativo di riforma organica del settore elettrico. Più in particolare, il professor Prosperetti osserva come il rischio di una stasi nel processo di riforma sia molto concreto dal momento che nel panorama nazionale non esiste una constituency per il cambiamento. Al riguardo, viene rilevato come, in un sistema nel quale alcune fasce di consumatori sono “narcotizzati” da prezzi di energia notevolmente più bassi rispetto ai costi di produzione (fascia sociale), ed alcune grandi imprese godono di notevoli benefici, i soggetti che pagano la parte preponderante del costo energetico sono i consumatori al di fuori della tariffa sociale e le piccole e medie imprese che non riescono a porsi come un gruppo promotore di una decisa spinta al cambiamento. In un contesto nel quale il principio gerarchico è stato abbandonato in vista della costruzione di un assetto di mercato, il processo di transizione è stato notevolmente condizionato da spinte e forze contrastanti. Dalla panoramica complessiva emerge, quindi, una situazione di profonda incertezza nella quale si è perso di vista l’interesse pubblico, tanto da poter affermare che il processo di riforma del settore elettrico si trovi oggi “in mezzo al guado”. Nel concludere il suo intervento, il professor Prosperetti effettua delle proposte che potrebbero rappresentare un utile spunto di riflessione, osservando che: a) si dovrebbe procedere all’eliminazione di alcuni centri decisionali, sia a livello centrale che locale, approntando opportune forme di coordinamento tra i diversi attori del sistema; b) per affrontare la questione della strutturale carenza di offerta (economica) di energia elettrica e superare la logica del “not in my backyard” sarebbe auspicabile strutturare il sistema in modo tale da prevedere delle riduzioni del prezzo dell’energia per quelle collettività che accettano la localizzazione di impianti di generazione nel loro territorio, stabilendo, nel contempo, dei meccanismi di penalizzazione per coloro i quali si oppongono alla costruzione di nuove centrali.