Il contratto di servizio come opportunità di sviluppo – Resoconto convegno

29.10.2004

21 ottobre 2004

STARHOTELS METROPOLE – Via Principe Amedeo, 3 – 00185 ROMA

Introducono:
Dott. Antonio Saturnino
Dirigente Formez – Responsabile Area Servizi Pubblici Locali
Dott. Stefano Gabbati
Coordinatore tecnico-scientifico del progetto

Approfondimenti di:
Avv. Alessandro Antichi
Sindaco del Comune di Grosseto – Responsabile ANCI delle politiche sui servizi pubblici locali
Cons. Federico Bona Galvagno
Capo Ufficio Legislativo – Presidenza Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche Comunitarie
Prof. Marcello Foschini
Pro rettore Luiss Guido Carli – Professore ordinario di Diritto Commerciale presso la Facoltà di Giurisprudenza
Dott. Bruno Spadoni
Direttore Area Economica Confservizi

Nell’introdurre i lavori del seminario il Dott. Saturnino rimarca l’interesse che da sempre il Formez ha rivolto alla tematica dei servizi pubblici locali che, alla luce degli ultimi interventi normativi, anche molto recenti, ha assunto per il Centro un’importanza per certi versi ancora più significativa.
Nella sua ormai trentennale storia di attività, il Formez si è spesso occupato dei servizi pubblici locali, sia per quanto attiene agli aspetti formativi sia per quanto concerne il contributo alla elaborazione di tecniche e metodologie specifiche di programmazione e gestione efficace ed efficiente dei servizi pubblici.
A testimonianza di questo suo mai sopito interesse verso la tematica in argomento il Formez ha previsto nel suo ridisegno organizzativo una specifica area di operativa dedicata ai servizi pubblici locali – “Servizi Pubblici Locali e outsorcing”.
Nei prossimi mesi il Centro si impegnerà, da un lato, ad approfondire la tematica del contratto di servizio, lanciando una campagna di assistenza diretta ai comuni e agli altri enti che ne faranno richiesta, e dall’altro a mettere a punto metodologie e indicatori per misurare l’efficacia e l’efficienza delle soluzioni prospettate e adottate e dei risultati conseguiti.

Nel successivo intervento il Dott. Gabbuti mette a fuoco il contesto in cui nasce il progetto “Portale Servizi Pubblici Locali. Azioni a sostegno dello sviluppo di strumenti per l’esternalizzazione e i controlli di esercizio dei servizi pubblici locali”.
La relazione del Dott. Gabbuti ripercorre in poche battute l’evoluzione dei servizi pubblici locali che, a partire dagli anni Novanta, ha visto il passaggio da un modello di gestione diretta del servizio da parte dell’ente locale e in particolare del comune attraverso la costituzione di aziende municipalizzate ad un sistema in cui l’amministrazione pubblica affida l’erogazione del servizio ad un soggetto esterno che può essere legato all’ente pubblico territoriale in quanto istituzione, azienda speciale ovvero società totalmente o prevalentemente a capitale pubblico ma anche ad esso terzo.
Il processo di esternalizzazione dei servizi pubblici locali ha comportato la trasformazione del comune in acquirente di servizi in nome e per conto dei cittadini utenti dei cui bisogni l’ente locale si fa interprete.
Diventa così possibile individuare nel sistema dei servizi pubblici due diversi momenti: quello politico in capo all’ente locale e quello della gestione del servizio in capo al soggetto affidatario. Una distinzione di ruoli e di competenze: l’ente locale adotta le soluzioni che, compatibilmente con le risorse disponibili anche dell’utenza, ritiene possano meglio soddisfare le legittime aspettative dei cittadini e verifica che le prestazioni sia state effettivamente e correttamente svolte secondo quanto pattuito ovvero che siano idonee a rispondere alle esigenze per le quali sono state previste; il soggetto affidatario, invece, provvede, in piena autonomia, all’organizzazione materiale del servizio e, seguendo gli indirizzi e gli obiettivi imposti dall’amministrazione affidante, alla sua erogazione.
In questa prospettiva il contratto di servizio diventa lo strumento fondamentale di regolazione del rapporto delle parti in gioco.
Il Dott. Gabbuti sostiene che un buon contratto di servizio nasca da un buon progetto politico che è tale se tiene nella dovuta considerazione le caratteristiche peculiari della realtà socio-economica (e non solo) nella quale si va a calare.
Proprio per questo motivo il Formez ha ritenuto opportuno seguire per la redazione dei circa 160 contratti di servizio presenti sul sito Web del Centro un approccio metodologico basato sulla proposta di criteri con cui costruire una solida ed equilibrata struttura del contratto piuttosto che su bozze-tipo, cioè su modelli di contratto precostituiti che avrebbero potuto comprimere uno degli elementi qualificanti del contratto di servizio: la sua adattabilità alle esigenze del caso concreto da regolare.

L’intervento dell’Avv. Antichi è servito ad affermare quella che è un po’ l’idea guida del seminario e cioè che la cultura del servizio pubblico è essenzialmente una cultura politica laddove si ha l’impressione che la materia dei servizi pubblici sia considerata una questione eminentemente tecnica, nella quale le decisioni politiche vengono prese sulla base della consulenza di professionalità tecniche e che conseguentemente abbia a suo fondamento la necessità di un approfondimento di natura tecnica, giuridica e soprattutto economica.
Ad avviso del relatore questa convinzione che ha dominato per lungo tempo è oggi del tutto ingiustificata di fronte alla nuova formulazione dell’art. 113 TUEL – approvata dal Governo Berlusconi II con il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e convertita dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 – in cui , da un lato, la politica riaffiora come sede in cui si assumono le decisioni e, dall’altro, la tecnica ritorna ad avere una funzione servente e strumentale rispetto alle scelte politiche.
L’Avv. Antichi auspica che i decisori politici in primis (sindaci, assessori, consiglieri) comprendano che i comuni hanno di fatto realizzato una sorta di mutazione genetica: da soggetti erogatori rappresentanti l’offerta di servizi si sono trasformati in regolatori al servizio della domanda espressa dai cittadini.
In questa logica, ad avviso del relatore il contratto di servizio non può essere gestito come se fosse attinente esclusivamente alla sistemazione tecnico-giuridica dei rapporti tra l’ente affidante e il soggetto affidatario; esso deve al contrario rappresentare il momento in cui le risposte ai bisogni dei cittadini si traducono in indirizzi e previsioni che poi diventeranno nella sostanza azioni di concreta realizzazione degli interessi dell’utenza dei servizi erogati.

Il Cons. Bona Galvagno si dice assolutamente d’accordo con il sindaco di Grosseto nel ritenere che la redazione del contratto di servizio sia uno dei momenti più delicati in assoluto per la stazione appaltante che decida di operare nell’ambito della lett. a) ovvero nell’ambito della lett. b) del novellato art. 113 TUEL in cui sono rispettivamente previste le ipotesi di affidamento del servizio a una società di capitali individuata con gara ovvero ad una società di capitali mista in cui il socio privato è scelto con gara ad evidenza pubblica.
La redazione del contratto postula e presuppone valutazioni di natura politica perché è chiaro che quando si stabiliscono quelle che sono le condizioni in base alle quali un soggetto terzo a cui l’ente locale affida il servizio deve svolgere il servizio stesso è il momento in cui l’amministrazione pubblica decide della sorte dei suoi cittadini; perché dovendo le parti contraenti incontrarsi per qualsiasi modifica del contratto, successiva alla stipula, è ragionevole dubitare che se si tratta di modifiche peggiorative delle condizioni del soggetto affidatario questi accetti volontariamente e gratuitamente gli interventi modificativi.
Il Consigliere traccia poi in estrema sintesi il quadro dello stato dell’arte in tema di servizi pubblici locali.
A detta del relatore la nuova riforma, pensata dal Dipartimento per le Politiche Comunitarie e negoziata con la Commissione Europea per chiudere la procedura d’infrazione gravante sulla precedente riforma operata dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001 (Finanziaria 2002) è stata un’operazione quasi banale perché si è proceduto ad una mera ricognizione delle modalità di affidamento dei servizi (con gara tout court, con gara per la scelta del socio privato e in house) legittime sotto il profilo comunitario e all’inserimento delle stesse nel comma 5, lett. a), b) e c) dell’art. 113 TUEL.
Il Consigliere ricorda come la norma in oggetto abbia tenuto conto del fatto che nel frattempo era intervenuta una riforma costituzionale non di poco momento, quella del Titolo V della Costituzione, alla luce della quale il legislatore nazionale non si sarebbe potuto spingere a disciplinare tutti i profili del tema innanzitutto perché quella dei servizi pubblici locali non è una materia in senso proprio, come confermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 27 luglio 2004; e poi perché bisognava vedere nel riparto delle competenze di cui all’art. 117 Cost. se il titolo per dettare i principi e le regole della materia spettasse allo Stato ovvero alle regioni.
Di fronte alla dubbia legittimità del quadro normativo allora vigente nel settore dei servizi pubblici locali l’obiettivo dei neoriformatori è stato quello di scrivere delle norme che fossero sicuramente legittime. In questa ottica si è ritenuto che lo Stato fosse sicuramente ancora competente nel dettare le norme sull’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali e sul periodo transitorio, perché senza dubbio tale disciplina rientra nella materia della “tutela della concorrenza” che l’art. 117 Cost. continua a mantenere in capo al legislatore nazionale.
Lo Stato si è fermato alla regolazione dei suddetti profili della materia nella convinzione che la disciplina dei singoli settori fosse di competenza delle regioni.
Il Governo ha sempre creduto che la disciplina statale dovesse, da un lato, essere trasversale e cioè applicarsi indistintamente a tutti i servizi pubblici locali e dall’altro riguardare esclusivamente profili rientranti nella materia della “tutela della concorrenza”.
Ad avviso del Consigliere è ingiusto ritenere che sia stato fatto un grandissimo passo indietro rispetto alla riforma dell’art. 35 con la decisione del Governo di introdurre in Italia la possibilità dell’affidamento in house.
In realtà, come chiarisce il Consigliere, non si tratta di un istituto nuovo perché il concetto di “in house” è stato elaborato dal diritto comunitario per qualificare l’affidamento ad un soggetto formalmente terzo in quanto società per azioni benché si tratti di una spa sui generis perché di fatto ufficio della pubblica amministrazione costituito in forma societaria.
L’affidamento in house presuppone e postula uno stretto controllo da parte degli enti pubblici titolari del capitale sociale sulle società affidatarie che, proprio in forza di questo rapporto di quasi interorganicità con le amministrazioni affidatarie, non possono agire come competitori sul mercato perché, essendo state destinatarie di un affidamento diretto, godrebbero di un ingiustificabile vantaggio rispetto agli altri competitori che di tale privilegio non hanno goduto essendo soggetti privati o anche pubblici ma affidatari a seguito di una gara..
A sostegno della sua tesi, il Cons. Bona Galvagno ricorda come nel Trattato dell’UE si affermi che la natura del soggetto che agisce sul mercato per il diritto comunitario è del tutto indifferente: l’importante è che il soggetto, pubblico o privato che sia, agisca sul mercato nel rispetto delle regole della concorrenza. Quindi un soggetto totalmente pubblico che partecipa a gare è un soggetto che va parificato in tutto e per tutto ad un soggetto privato; è chiaro al contrario che un soggetto pubblico che si avvantaggia in forza di un affidamento diretto non può partecipare al gioco del libero mercato perché è un soggetto in una posizione di privilegio a monte.
Il relatore sostiene in conclusione che la modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di cui alla lett. c) è stata prevista dal legislatore nazionale non certo per introdurre un modello nuovo ma semmai per fissare dei paletti idonei a rendere legittimo l’affidamento. Le condizioni atte a rendere legittimo l’affidamento diretto le aveva peraltro già dettate, in materia di appalti di lavori, la giurisprudenza comunitaria nella famosa sentenza Teckal (18 novembre 1999, causa C-107) in cui si è affermata la legittimità dell’affidamento diretto fatto da un ente pubblico ad una società che, avendo un rapporto quasi interorganico con la stazione appaltante, non poteva essere considerato un soggetto terzo bensì un ufficio dell’ente affidante.
Il Dott. Bona ritiene che l’affidamento in house costituisca il primo step del processo di liberalizzazione del settore dei servizi pubblici locali, atto a consentire alle società pubbliche di aggregarsi e raggiungere così, insieme, dimensioni tali da rendere per lo meno possibile se non vincente il confronto con i colossi stranieri.
L’esperienza tedesca in questo senso insegna. Le società di gestione dei servizi pubblici locali più grandi del mondo sono quelle tedesche perché – dice il Consigliere – hanno seguito un processo di lenta aggregazione partendo dallo stesso identico stato delle imprese italiane; in Germania tutti gli affidamenti sono stati fatti in un primo momento a società pubbliche collegate ai comuni. L’aggregazione ha funzionato prima pubblico con pubblico, poi quando le imprese pubbliche hanno raggiunto insieme dimensioni ragguardevoli hanno aperto ai privati.
Il relatore ritiene che non sia il caso, laddove non siamo obbligati dal diritto comunitario, di liberalizzare per primi noi in Italia determinati servizi pubblici locali perché, non potendo contare su società così grandi da essere veri competitori sul mercato, si rischierebbe di farli cadere in mano straniera.
Il Consigliere chiude il suo intervento giudicando aberrante il fatto che il Consiglio di Stato, seguito da due TAR, abbia sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea sostenendo la illegittimità della riforma varata dal Governo perché prevede l’affidamento in house come possibile modalità di affidamento dei servizi pubblici locali. Il Dott. Bona dice di aver letto nell’ordinanza di remissione forti messaggi politici piuttosto che una contestazione su basi di diritto della tesi, criticabile anche perché a sostenerla è lo stesso Consiglio di Stato che in altre due sentenze, di cui una successiva, ha rigettato degli appelli sostenendo la piena legittimità della riforma che ora, invece, presume sia in contrasto con il diritto comunitario.

L’approfondimento successivo è quello del Prof. Foschini che esordisce dicendo di non comprendere le ragioni per le quali ha preso piede in Italia un fenomeno di demonizzazione delle imprese pubbliche, in particolare di quelle che agiscono secondo criteri privati ma che si trovano in mano allo Stato, pure in presenza di norme comunitarie che hanno sempre dato rilievo all’oggetto dell’attività svolta e non alla natura pubblica o privata dell’impresa.
Il Professore focalizza poi la sua attenzione sul problema del controllo di esercizio dei servizi pubblici locali alla luce della riforma societaria.
L’intervento riformatore ha ampliato la gamma degli strumenti di controllo della gestione del servizio; oggi gli azionisti anno la possibilità di sperimentare sistemi diversi da quello tradizionale incentrato su un Consiglio di amministrazione, un Collegio sindacale e degli organi delegati (Amministratore delegato o Comitato esecutivo) affiancando, per esempio, ad una società di revisione contabile un doppio organo di controllo formato dal Consiglio di consulenza a cui possono partecipare rappresentanti degli azionisti, titolari dell’interesse generale, e manager che portano avanti invece l’attività commerciale.
Il terzo modello menzionato dal Professore, finora però poco utilizzato, è quello cosiddetto unitario, in cui è previsto un solo organo che è insieme organo di amministrazione, di gestione e di controllo interno al Consiglio di amministrazione.
Il Prof. Foschini conclude il suo intervento dicendo che al delicato problema del controllo, tanto più complesso quanto più grandi sono le dimensioni delle società erogatrici dei servizi, è strettamente connesso quello relativo alla ripartizione delle responsabilità in ordine alla varietà delle competenze e quindi quello della individuazione di chi rispetto ad una cattiva gestione del servizio ne sia effettivamente il colpevole.

Il giro di approfondimenti del seminario si chiude con l’intervento del Dott. Spadoni. Ad avviso del relatore oggi ci troviamo in una fase di transizione perché l’affidamento diretto deve essere considerato una forma legittima ma transitoria nel senso che, seguendo lo spirito della disciplina comunitaria, l’affidamento a regime dovrebbe essere quello con gara ad evidenza pubblica.
Il Dott. Spadoni è convinto che nella vicenda della liberalizzazione del mercato il contratto di servizio giochi un ruolo fondamentale come fattore di accelerazione del processo in atto.
Il relatore passa quindi a definire il ruolo assunto dallo strumento di regolazione in questione nelle diverse ipotesi di affidamento dei servizi a rilevanza economica che, per semplificare, riconduce a due fattispecie: l’affidamento con gara e l’affidamento diretto.
Nel caso della concorrenza per il mercato il contratto di servizio è allegato al bando di gara, secondo una precisa previsione normativa che però ad avviso del Dott. Spadoni dovrebbero essere letta nel senso di considerare allegato al bando uno schema di contratto affidando così al contratto di servizio il compito di specificare e completare un quadro (lo schema) la cui cornice è data dal bando di gara e dall’aggiudicazione della stessa.
Ben altra forma assume il contratto di servizio di fronte ad un affidamento diretto che , ad avviso del relatore, si applicherebbe ai servizi di rilevanza economica e non. Se così non fosse la Corte Costituzionale non avrebbe soppresso l’art. 113 bis TUEL e sottratto così allo Stato la disciplina dei servizi privi di rilevanza economica ritenendola non conforme ai principi della tutela della concorrenza. Pertanto se i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica venissero affidati con gara facendoli rientrare nell’ambito della concorrenza probabilmente si andrebbe contro lo spirito della sentenza della Corte Costituzionale.
Il Cons. Bona Galvagno ritiene invece che alla luce della sentenza della Corte non ci sia l’obbligo di affidare i servizi in parola con gara ma nulla vieterebbe di farlo.
Per il Consigliere inoltre il contratto di servizio sarebbe inapplicabile all’affidamento in house perché come ad un suo ufficio così alla società a cui affida il servizio l’ente locale dà ordini.
Ad ogni modo nel caso dell’affidamento diretto – prosegue il Dott. Spadoni – il contratto di servizio rappresenta l’unico strumento di regolazione laddove nell’altra ipotesi al contratto si affianca il bando di gara.
Mentre poi nel caso dell’affidamento con gara ad evidenza pubblica i contenuti della regolazione riguardano gli standard di prestazione, la qualità del servizio e le prestazioni che si richiedono al gestore, nell’ipotesi dell’affidamento in house il contratto di servizio contiene elementi ulteriori che attengono alla efficienza e alla economicità del servizio.
Il Dott. Spadoni chiude il suo intervento auspicando che si faccia un uso organico e coerente dei due strumenti fondamentali di regolazione del settore dei servizi pubblici locali che sono il contratto di servizio e la carta dei servizi.
Perché il settore funzioni bene la carta dei servizi deve contenere gli stessi standard di qualità e di prestazione che sono oggetto del contratto di servizio, come impegno da assumere nei confronti del cittadino utente che è l’altro e primo protagonista del sistema dei servizi pubblici locali.


Maria Elisabetta Fazio