Le comunita’ montane. Riforme istituzionali e logiche di governance – Resoconto convegno

01.02.2005

16 novembre 2004

Aldrovandi Palace – Roma

Lo scorso 16 novembre, presso l’Aldrovandi Palace, si è svolto un seminario organizzato, nell’ambito del Progetto Governance, dal Formez in collaborazione con il Dipartimento della Funzione Pubblica dal titolo “Le comunità montane. Riforme istituzionali e logiche di governance”.
Nell’introdurre i lavori dell’incontro, il Dott. Maurizio Ricca (Formez) rimarca la differenza concettuale tra due termini che spesso vengono erroneamente utilizzati come sinonimi: governance e government.
Il termine “governance” si caratterizza per una certa ambiguità ma forse – prosegue Ricca – il successo di questa parola, per certi versi oggi abusata, è dovuto proprio a questa vaghezza concettuale che la sottopone ad una certa flessibilità interpretativa ed applicativa. Il concetto di “governance” riassume in sé il processo complessivo di innovazione della pubblica amministrazione laddove quello di “government” definisce un modello caratterizzato da rigide gerarchie formali e da logiche di rispetto dei profili legali piuttosto che di quelli legati all’attuazione delle politiche.
I limiti di quest’ultimo modello possono essere superati facendo proprio un approccio, che è quello appunto basato sul concetto di “governance”, in cui i risultati vengono raggiunti attraverso la cooperazione e la corresponsabilità di tutti i livelli istituzionali. Un approccio, questo, su cui le riforme amministrative degli ultimi anni, consolidate dalla riforma del Titolo V della Costituzione, impongono una riflessione di fronte ad un contesto caratterizzato da una pluralità di centri decisionali che necessitano, per garantire la complessiva efficacia dell’agire pubblico, di sedi e strumenti di raccordo.
Le comunità montane si inseriscono bene in questo discorso perché, integrando il requisito dell’adeguatezza, si presentano quali enti da sempre specificamente volti alla ricomposizione di un territorio fortemente frammentato.
Da tempo le comunità montane costituiscono un vero e proprio laboratorio di cooperazione interistituzionale.
Nell’intervento successivo il Dott. Bruno Cavini, Segretario Generale dell’UNCEM, esprime il suo disappunto per il fatto che la legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del Titolo V della Carta fondamentale abbia completamente ignorato il riferimento alle comunità montane, che pure esistevano da oltre venti anni, riconoscendo invece enti come le città metropolitane che ad oggi ancora non esistono.
Per fortuna che – prosegue il dott. Cavini – le comunità montane hanno di recente riconquistato lo spazio grazie, da un alto, alla Costituzione europea che ha indicato le aree montane come destinatarie di interventi particolari, e dall’altro, al ddl di riforma costituzionale attualmente all’esame del Parlamento in cui si prevede che nelle aree montane i piccoli comuni debbano, per raggiungere livelli di adeguatezza finanziaria, strutturale o del personale, dar vita ad unioni di comuni.
In questo contesto, insieme europeo ed italiano, le comunità montane ritrovano il loro spazio nella duplice funzione di programmazione socio-economica del territorio montano e di governance interistituzionale in qualità di unioni di comuni.
Dopo l’intervento del Dott. Mauro Barbini (Formez) che presenta i primi risultati del Progetto Governance promosso e finanziato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, la Dott.ssa Maria Assunta Paci (UNCEM) individua i tratti essenziali della governance che sono, a suo dire, la rappresentanza degli interessi della comunità, l’incentivazione della partecipazione come forma di ascolto, l’apertura alla collaborazione interistituzionale, il ruolo strategico dell’attore pubblico.
Le comunità montane – prosegue la dott.ssa Paci – sono al centro di un concetto di delega sia ascendente sia discendente; questi enti svolgono, infatti, funzioni proprie e funzioni delegate dalle province e dalle regioni ma sono anche i soggetti a cui le amministrazioni comunali affidano la gestione di alcuni servizi sulla base di una valutazione economica efficiente.
La centralità della comunità montana nel processo di delega evidenzia come questo ente sia per la sua stessa mission proteso all’esterno.
La comunità montana in quanto ente preposto alla mediazione e alla concertazione sviluppa un complesso processo di programmazione. Di qui l’importanza della pianificazione e della strategia.
La comunità montana deve essere considerata il luogo e lo strumento di analisi e programmazione integrata dei servizi utili alla collettività in forza del fatto che ha una percezione più diretta della domanda di servizi, così da poter sviluppare un’offerta economica rispondente alle necessità.
La comunità montana dovrà essere capace inoltre di dotarsi di strumenti che permettano la regolamentazione dei rapporti tra il pubblico e il privato per l’erogazione e la gestione dei servizi associati.
Rispetto alle tre aree della governance, la comunità montana assume delle connotazioni specifiche: in merito alla governance interna, l’interesse della comunità montana deve essere volto alle tecniche utilizzate per costruire il piano strategico; per quanto riguarda la governance esterna, occorre per la comunità montana focalizzare l’attenzione sul processo di internalizzazione di servizi esternalizzati dai comuni; per quanto attiene infine alla governance interistituzionale l’attenzione deve essere rivolta al rapporto discendente tra regione, provincia e comunità montana.
Il Prof. Guido Carpani (Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma) focalizza la sua attenzione sul modo in cui, a suo dire, il sistema delineato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 debba essere letto e cioè secondo una prospettiva di governance, ossia di raccordo e di cooperazione tra i diversi livelli di governo sia sul versante della legislazione sia su quello dell’amministrazione.
Rispetto al passato – dice il prof. Carpani – la riforma costituzionale che è attualmente all’esame dl Parlamento, puntando sul concetto di esclusività (la “devolution” altro non è che l’elencazione delle competenze esclusive delle regioni) configura il nostro sistema istituzionale come un sistema che va su due rette parallele dove lo Stato e le regioni hanno ciascuno il proprio ambito esclusivo di operativa e che viaggia bene proprio perché ognuno fa la sua parte.
La dottrina meno avveduta – mette in evidenza il Professore – ha fatto notare che il novellato art. 117, comma 3, Cost. contiene, con riferimento alle materie concorrenti, un’indicazione assente nella versione originaria dell’art. 117, la previsione, cioè, secondo cui la fissazione dei principi fondamentali spetta al legislatore statale laddove la disciplina di dettaglio della materia compete alle regioni.
La nuova disposizione secondo la suddetta dottrina avrebbe inteso colpire il vecchio sistema in cui lo Stato ha fatto quello che ha voluto in forza di una serie di categorie giuridiche avvallate dalla stessa Corte Costituzionale quali la normativa di dettaglio recessiva di fronte all’intervento delle regioni, le grandi riforme economico-sociali, le leggi non di principio ma organiche della materia ecc. Tutti strumenti che consentivano l’interferenza dello Stato in spazi destinati alle regioni.
Anche dell’art. 118, comma 1, Cost. – continua il prof. Carpani – è stata data una lettura che tende a presentare il nuovo sistema amministrativo in termini di separatezza.
L’enunciazione del principio di sussidiarietà verticale nel suddetto articolo è stata letta nel senso di una prioritaria indicazione di allocazione della funzione amministrativa a livello comunale, salvo attribuire – per ragioni di adeguatezza, di differenziazione ovvero in forza della necessità di un esercizio unitario, la funzione ad un livello di governo superiore.
Questa lettura sembrerebbe sostanzialmente confermata dall’art. 118, comma 3, Cost. che introduce i casi in cui risulta necessario l’esercizio coordinato delle competenze. Nelle materie non enumerate nella suddetta disposizione il sistema continuerebbe a viaggiare su due linee parallele tendenzialmente non intersecatesi.
Una lettura di questo tipo non coglie però, ad avviso del relatore, lo spirito della riforma.
Se per “governance” si intende l’insieme delle norme, dei processi e dei comportamenti che influiscono sul modo di esercitare le competenze per consentire il funzionamento complessivo del sistema secondo un modello cooperativo, allora degli artt. 117 e 118 Cost. è necessario fornire un’interpretazione diversa.
Se vero che l’art. 117 usa per ripartire le competenze lo strumento delle materie, è vero altresì che le materie sono dei contenitori che hanno bisogno di essere riempiti e che di conseguenza, per evitare il conflitto tra Stato e regioni, è necessaria una definizione codeterminata della materia stessa.
Solo un’opera di cooperazione tra regioni e Stato nella definizione delle materie può evitare il proliferare di un contenzioso costituzionale.
La legge La Loggia (l. n. 131 del 2003), prima di imbattersi nella sentenza n. 280 del 2004 della Corte Costituzionale, coglieva quest’esigenza prevedendo l’obbligo di consultare le Conferenze nella determinazione dei principi fondamentali delle materie concorrenti.
Lo stesso art.11 della legge cost. n. 3 del 2001, prevedendo l’integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali, consentiva a regioni ed enti locali di entrare nel processo di formazione delle leggi nazionali. Questo sarebbe stato, ad avviso del relatore, l’antidoto ad un esercizio della competenza legislativa statale non rispettoso del riparto di competenze posto dall’art. 117 Cost. E tuttavia la prospettata integrazione della Commissione non è avvenuta in questa legislatura.
Lo stesso problema – spiega il prof. Carpani – si pone con riguardo all’esercizio delle competenze legislative regionali.
Per evitare la riproposizione del centralismo regionale, di fronte alla necessità di coinvolgere gli enti locali nel processo di allocazione delle funzioni, l’art. 123, ultimo comma, Cost. fa obbligo agli statuti regionali di istituire i Consigli delle autonomie locali come organi di consultazione. Ad oggi la quasi totalità degli statuti regionali ha previsto questo organo e molti l’hanno fatto, secondo il modello toscano, prevedendone la partecipazione non solo alle decisioni amministrative ma anche a quelle legislative.
Le stesse considerazioni possono essere svolte, a detta del prof. Carpani, con riferimento all’attività amministrativa.
La sentenza n. 303 del 2003 della Corte Costituzionale ha permesso di superare l’idea per cui le competenze legislative regionali erano enumerate e salvaguardate dal testo costituzionale sostenendo che, se c’è un’esigenza di carattere unitario che postula l’allocazione della funzione amministrativa a livello centrale, lo Stato non può non avere anche la corrispondente potestà legislativa sulla materia interessata.
La Corte aggiunge tuttavia che in questi casi lo Stato non può intervenire se non prevede uno strumento di intesa con l’ente locale a cui ha sottratto la competenza.
Anche il principio di adeguatezza di cui all’art.118, comma 1, Cost. – conclude il prof. Carpani – postula la possibilità di un raccordo tra gli enti locali per far sì che quell’ente locale che da solo è inadeguato a ricevere la funzione diventi adeguato quando si mette insieme ad altri.
Il seminario prosegue con l’intervento del Dott. Alessandro Baccei che presenta l’analisi quali-quantitativa svolta dalla Ernst & Young sulla governance delle comunità montane. I risultati dell’indagine sono riassunti nel documento “Il sistema di governance locale. Un possibile approccio per le Comunità Montane”, che è stato distribuito durante il convegno. Dalla presentazione del lavoro emerge il ruolo di guida strategica della comunità montana nell’arena locale: «la comunità montana deve fissare la rotta e tenere dritto il timone».
Nell’ambito dei laboratori tematici del Progetto Governance il Dott. Elvio Massi presenta il caso di eccellenza della comunità montana del Medio ed Alto Metauro. Questa comunità, costituita da 9 comuni con 41.000 abitanti complessivi e 4841 piccole e piccolissime imprese (al 31 dicembre 2003) si presenta come una realtà economicamente dinamica.
Dal 1995 la comunità montana in parola conosce un sistema di governance fondato sostanzialmente su tre idee-guida: lo sviluppo non può essere imposto dall’alto ma si costruisce con tutti gli attori del territorio e con una regolamentazione ridotta all’osso; i 9 comuni della comunità montana vanno considerati come un’area urbana sì articolata ma unica; l’informazione e l’animazione sono dei fattori fondamentali per raggiungere dei buoni risultati.
Notevoli benefici per l’utenza, riduzione dei costi di progettazione per il pubblico e per il privato, maggiore visibilità pubblica per l’ente: questi sono stati i risultati del sistema di governance applicato alla comunità del Medio ed Alto Metauro.
Le ultime battute del convegno sono del Prof. Giuseppe di Gaspare (Università Luiss Guido Carli di Roma). Il Professore ritiene che il passaggio dalla governance esterna a quella interistituzionale vada giocato per la comunità montana facendo del punto debole di questo ente il suo punto di forza: in assenza di un forte ed esplicito riconoscimento nell’ordinamento costituzionale, la comunità montana può autocandidarsi al ruolo di centro di coordinamento organizzativo delle funzioni e delle attività degli enti locali che hanno caratteristiche sostanzialmente omogenee.

Maria Elisabetta Fazio