L’Unione Europea tra integrazione federale e disintegrazione confederale – Resoconto convegno

28.11.2005

(relatore prof. Dastoli – direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea)

Fondazione Europea Dragan

Roma, 15 novembre 2005

Il 15 novembre scorso, presso la sede della Fondazione Europea Dragan in Roma, con il tema dell’Unione Europea tra integrazione federale e disintegrazione confederale, si apre il ciclo di scienze politiche e studi europei per l’anno accademico 2005/2006.

L’introduzione del segretario generale, dott. RAVASI, evidenzia come, fin dal titolo del ciclo annuale, “L’Unione Europea: politiche comunitarie, opinione pubblica e società civile”, proseguendo con coerenza il programma che la fondazione ha intrapreso da due anni, trattando prima il processo di allargamento e poi il processo costituzionale, l’attenzione per quest’anno sarà concentrata sul rapporto tra Unione Europea e opinione pubblica e società civile, in definitiva, sulla definizione e sul ruolo della cittadinanza comunitaria. L’Unione Europea, infatti, non deve mai perdere di vista il rapporto coi cittadini, non potendo permettersi di sacrificare l’Europa dei cittadini, quella reale, all’Europa delle strutture istituzionali.
Troppe volte, conclude il dott. Ravasi, la cittadinanza europea è rimasta una formula astratta e vuota, troppe volte la costruzione comunitaria avviene lontano da una partecipazione dei cittadini. Riavvicinare le istituzioni comunitarie ai cittadini, in tale contesto, è il compito dell’attività della fondazione, sottolineata dai temi del ciclo di conferenze di quest’anno e dai relatori chiamati a partecipare.

S’inserisce, quindi, l’intervento del prof. PERFETTI, capo del servizio storico del ministero degli affari esteri, che richiamando gli ultimi rilevanti eventi del processo europeo, il rifiuto francese ed olandese alla carta fondamentale, atteggiamento che può trovare spiegazioni non nel rifiuto sui contenuti della carta ma nei timori ascrivibili al processo di allargamento comunitario, prende atto del momento di crisi o di stallo che sta attraversando l’istituzione comunitaria.
Il dibattito sul futuro dell’Europa e sul processo d’integrazione, rileva il prof. Perfetti, pare essersi ridimensionato e messo da parte nei dibattiti politici nazionali ed internazionali, come dimostra il caso delle elezioni tedesche, in cui poco della realtà dell’Unione Europea è stato affrontato dai protagonisti della competizione elettorale.
Eppure, la storia dell’integrazione europea è stata una storia di successi continui ed incrementali, a partire dal 1985 e dalla riforma dell’Atto unico per realizzare il grande mercato unico, al trattato di Maastricht del 1991 ed al rilancio della moneta unica, fino al 2001 con la nascita dell’euro.
Anche il processo di allargamento, secondo la prospettiva del relatore, è stato un avvenimento di successo durante le tappe ed i momenti che gli sono stati necessari. Proprio in questa sfera, dobbiamo domandarci se, stante la risposta data da Francia ed Olanda al documento di governance europea e la necessaria unanimità delle ratifiche richiesta, ci siano ancora dei margini di intervento e recupero. Le trattative di rinegoziazione della carta, ad esempio, potrebbero aprire problemi maggiori di quelli che si vorrebbero risolvere.
Forse all’origine dello stato che attualmente caratterizza la prospettiva europea, c’è una scelta definitiva che non è stata fatta, quella tra una visione integrazionista-geopolitica, auspicata dai padri fondatori, e una visione puramente economicistica dell’Europa, soltanto come un’area di economia internazionale con le istituzioni ridotte al minimo. Su questo problema, di ampio portato dibattimentale, sarà necessario interrogarsi.

Prende la parola, a questo punto, il prof. DASTOLI, direttore della rappresentanza in Italia della Commissione Europea, il quale si ricollega alle ultime considerazioni del precedente relatore, e ne da conferma commentando il titolo dell’argomento del suo intervento. Secondo il prof. Dastoli, ancora oggi l’Europa risulta divisa tra due prospettive: quella di una più forte integrazione politica che assuma delle connotazioni di tipo federale e, di contro, quella di una disintegrazione del processo di perfezionamento comunitario verso forme di confederalismo o di ritorno alle sovranità nazionali. Queste visioni sono sempre state alle origini dei progressi e degli arresti del processo comunitario.
Quando, dopo la seconda guerra mondiale, si pose il problema dell’unità dell’Europa, tutte le correnti politiche e di pensiero convergevano su tre esigenze da garantire al vecchio continente: costruire sul continente un sistema di pace tra popolazioni che si consideravano dei nemici potenziali, ricostruire le economie dei Paesi distrutti dalla guerra, ed infine l’ultima esigenza avvertita, emersa già al termine della prima guerra mondiale, era quella di recuperare la propria leadership mondiale. Le peculiarità che distinguevano invece, andando oltre gli elementi che condividevano, le suddette correnti politico-culturali si manifestavano nelle soluzioni propugnate e nelle radici storico-culturali cui si rifacevano. Una prima corrente riproponeva in Europea la lega degli stati-nazioni, mantenendo intatta in capo ad ognuno di esso la propria sovranità ed eventualmente, in alcuni casi, cercando di cooperare. La seconda corrente faceva capo a Jean Monnet, il quale avendo fatto l’esperienza della concessione ad un’amministrazione comune della gestione di problemi comuni, come quello degli armamenti, riteneva fosse questo il metodo, detto funzionalista, per ricostruire il sistema economico, consolidare degli interessi concreti fra paesi membri raggiungendo così l’obiettivo della pace, consentire all’Europa di recuperare un ruolo a livello mondiale. La terza corrente, di pensiero federalista, che come per quella di Monnet aveva le sue origini nell’antifascismo, profondamente ancorata nell’idea di un rafforzamento del carattere democratico dell’Europa, si riconosceva nella figura di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, autori nel 1941 del manifesto di Ventotene. Il federalismo dei due italiani non era di tipo ideologico ma, come lo stesso Spinelli lo qualificava, era un federalismo “pulito come un pensiero semplice”, un sistema di organizzazione dei poteri pubblici a qualunque livello, nazionale ed internazionale.
Il federalismo appariva come la soluzione ai problemi europei del momento: la necessità di un governo efficace e democratico, ottenibile solo uscendo dalla visione degli stati nazionali. Il metodo del resto aveva già dato buona prova di sé nel resto del mondo, in Canada, Svizzera, Australia, negli USA. Il pensiero federalista però era estraneo a quasi tutti i Paesi, sistemi politici e partitici del vecchio continente, nonostante proprio tali partiti avessero alle loro origini una prospettiva di carattere internazionale, persa poi col sopravanzare degli stati-nazione: il cosmopolitismo dei liberali, l’universalismo dei cattolici, l’internazionalismo dei socialisti.
Messo in moto il processo di integrazione europea, le comunità nate sono state il frutto del compromesso tra le tre correnti politico-culturali ricordate. Al centro del processo c’è il metodo funzionalista, simbolizzato dalla stessa Commissione Europea, che ha acquisito al sistema istituzionale europeo un notevole patrimonio di competenze e risultati. Alla base di ogni decisione di trasferimenti di competenze e poteri, dal livello nazionale a quello comunitario, c’è la determinazione di un organo che richiama in qualche modo il sistema della lega degli stati-nazionali, simbolizzato dal Consiglio dei Ministri. A questi si aggiungono gli istituti che invece si richiamano ad elementi federalisti: la BCE per la gestione della moneta, la Corte di giustizia dell’Unione ed il Parlamento Europeo quale assemblea democratica di carattere plurinazionale.
Processo di integrazione comunitaria, secondo il metodo funzionalista, si realizza attraverso il principio dell’ingranaggio: realizzazioni concrete intorno ad interessi concreti, per creare solidarietà di fatto.
Tale ingranaggio si è inceppato in vari momenti dell’Unione Europea, anche per realizzare quegli obiettivi originari che erano stati posti alla base della comunità: il mercato comune europeo. Ogni volta che l’ingranaggio si è inceppato, l’unico modo di riavviarlo era mettere mano ai trattati introducendo delle modifiche alla concezione originaria funzionalista di Jeann Monnet. Ciò è avvento nella metà degli anni ’80 con l’atto unico, poi con i trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza, per finire con la Convenzione europea.
Le iniziative per risolvere le criticità del meccanismo dell’ingranaggio, sono nate grazie ad uomini e principi di carattere federalista. Il relatore richiama l’attenzione del pubblico sul progetto Spinelli, col quale il parlamentare europeo italiano denunciò la non intangibilità dei trattati di Roma, come invece ritenevano i governi nazionali e coloro che difendevano il carattere dinamico del metodo funzionalista, ma bensì la necessità, per consentire di nuovo all’ingranaggio comunitario di tornare a funzionare, di modificare in maniera sostanziale i trattati del 1957. Le caratteristiche di tale progetto di riforma, assunto dal Parlamento Europeo, sono: aver aperto una stagione di “gradualismo costituente”, ricevendo per tale contributo l’apprezzamento di un monnettiano illustre come Jacques Delors; aver avuto un effetto di spill-over, buona parte dei contenuti del progetto Spinelli, infatti, sono stati ripresi dalle conferenze intergovernative ed introdotti in numerosi trattati successivi; aver fatto capire che bisognava cominciare ad usare un metodo differente da quello del negoziato intergovernativo per introdurre nel processo di integrazione comunitaria l’elemento democratico, cioè il ruolo da affidare ai rappresentanti dei cittadini.
Dal progetto Spinelli in poi, il gradualismo costituente è avanzato con quattro trattati, per i quali va sottolineata la forte accelerazione del processo negoziale-decisionale. Dall’Atto unico al trattato di Maastricht sono passati poco più tre anni, da Maastricht al trattato di Amsterdam sono passati due anni e due mesi, da Amsterdam al trattato di Nizza è passato un anno ed un mese, infine due giorni prima dell’entrata in vigore del trattato di Nizza, il 1 novembre 2004, è stata firmata a Roma la Costituzione europea.
Quest’accelerazione del processo costituente, nella necessità di revisione dei trattati, era legata esclusivamente all’incapacità dei governi di dare soluzioni adeguate, tanto che gli stessi governi si rendevano conto che le riforme elaborate erano inappropriate a risolvere i problemi dell’integrazione comunitaria. Per queste ragioni ci si è resi conto della necessità di tornare al metodo spinelliano, secondo il quale non si poteva lasciare esclusivamente ai governi il compito di occuparsi di problemi molto ampi e vasti, ma bisognasse fare riferimento ad un corpo di rappresentanti dei cittadini più ampio, che avesse l’ambizione e visione che era dei federalisti e che era stata, insieme con gli altri, all’origine del processo di integrazione comunitaria.
Nella Convenzione che ha prodotto la Costituzione comunitaria, presieduta da Giscard D’Estaine, erano presenti parlamentari europei e nazionali e, dopo alcuni mesi di assenza, sono comparsi i rappresentanti dei governi nazionali, soprattutto ministri degli esteri, reintroducendo in qualche modo nella Convenzione il virus dei negoziati intergovernativi. A tale visione ristretta e limitata, mediocre e chiusa, secondo il prof. Dastoli, legata all’idea della prevalenza delle sovranità nazionali rispetto alla sovranità europea sopranazionale, sono imputabili i passi in avanti non fatti ed i passi indietro compiuti dalla Convenzione prima e dalla Conferenza intergovernativa dopo.
Il testo costituzionale, oggi ratificato da 14 paesi, ha quindi dei difetti di fondo. Il primo è nella sua verbosità, risultato dell’imposizione fatta dai governi nazionali alla Convenzione di includere nella Carta la parte terza, ossia tutti i trattati attuali, che però non hanno una natura costituente rappresentando l’insieme delle politiche dell’Unione Europea, destinate ad essere cambiate in maniera relativamente flessibile nel tempo. Così facendo le si è, anzi, cristallizzate in un documento rigido quale una Costituzione. Il secondo elemento negativo, anch’esso risultato da un’imposizione dei governi, sta nella rigidità con la quale la Costituzione rischia di essere ingessata nel tempo, si è imposto il principio, infatti, dell’entrata in vigore e della sua modifica all’unanimità.
Il progetto di Costituzione è stato così calato in una realtà comunitaria che, nonostante il largo consenso ricevuto dai cittadini, secondo i sondaggi d’opinione, induce gli europei, e tra questi in particolare i giovani, ad avvertire incertezze ed esprimere forti critiche sul processo d’integrazione comunitaria.
Le perplessità dei cittadini sono ulteriormente ravvivate dalla convinzione che l’Europa, secondo il relatore, al momento non sia in grado di dare una risposta ad un’economia continentale sempre meno competitiva, causa delle gravi ricadute in forme di esclusione sociale, povertà e disoccupazione.
Il terzo elemento, il più preoccupante per il prof. Dastoli, è la perdita di identità, meglio l’incapacità di chiarire quale sia l’identità europea, soprattutto nei confronti di un apparato che tende giustamente ad allargarsi, definita nei suoi confini politici: fino a dove deve arrivare l’integrazione europea?
Inserire il processo costituzionale europeo, in un momento in cui la nostra società vive di incertezza, insicurezza e paura, ha fatto sì che il processo comunitario, sintetizzato nel documento della carta fondamentale, non sia avvenuto col consenso che fosse auspicabile.
L’ultima sollecitazione, posta dal relatore, attiene proprio alla comprensione del consenso necessario al processo di integrazione comunitaria: consenso generale o solo di coloro che condividono l’ambizione di un processo di tipo politico? riprendendo una citazione di Francoise Mitterand, l’Europa tra quelli che lo vorranno?
Il caso del rifiuto francese ed olandese, atteggiamenti che hanno motivazioni profondamente diverse, non deve distogliere completamente la nostra attenzione da quei Paesi che invece hanno espresso un consenso al processo d’integrazione ed al suo ultimo documento costituzionale, che rappresentano la maggioranza dei Paesi membri e della popolazione continentale.
In considerazione di ciò, secondo l’idea del parlamento europeo, una volta terminato il percorso delle ratifiche, acquisito il dato sul numero di cittadini e stati favorevoli al processo comunitario, potremo eventualmente convocare una sorta di Convenzione per vedere quali aggiustamenti apportare al progetto di Costituzione per trovare un’adesione più ampia.
Gli interventi necessari, a questo punto sono soltanto due: semplificare la Costituzione, concentrando nel testo la scelta fondamentale, parte prima e seconda riportando la parte terza al suo rango non costituzionale; esaltare una governance democratica dell’Europa, per ottenere il sostegno popolare ad un governo che si assuma la responsabilità dell’amministrazione dei beni comuni europei. Così ancora non avviene nell’istituzione europea, non essendo il governo continentale frutto dell’espressione elettorale dei suoi cittadini. Alla democrazia rappresentativa va aggiunta, infine, la democrazia partecipativa, cioè la possibilità per i cittadini di partecipare attivamente alla costruzione della società europea. In questo modo sarà possibile costruire una democrazia europea secondo i principi e secondo l’ispirazione dei federalisti e di Altiero Spinelli, consentendo così al continente di far fronte ai problemi che gli stati nazionali non sono più in grado di affrontare singolarmente, in una situazione mondiale che richiede un’Europa più forte fondata sui principi della pace e della solidarietà.

Davide De Caro