Il ruolo dei comuni nell’erogazione dei servizi sociali: rapporto con le organizzazioni non profit e funzioni degli enti strumentali

05.12.2002

1. Il ruolo dei comuni alla luce della riforma dell’assistenza e del principio di sussidiarietà

Questi ultimi anni hanno segnato profondi mutamenti nel settore dei servizi socio-assistenziali. Detti cambiamenti interessano, infatti, non solo un ripensamento, talvolta innovativo, dei soggetti deputati alla produzione e alla gestione dei servizi sul territorio, ma altresì le modalità con cui i medesimi servizi debbono essere erogati ai cittadini. Da un punto di vista legislativo, le modifiche suddette hanno trovato accoglimento nelle c.d. “leggi Bassanini” e relativi decreti legislativi attuativi (cfr. n. 112/98) e, indubbiamente in modo più significativo, nella legge 8 novembre 2000, n. 328 recante “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Quest’ultima introduce una sorta di rivoluzione copernicana all’interno del nostro sistema di protezione sociale e di welfare state tradizionalmente inteso. La nuova disciplina, tra l’altro, dispone in merito:
1. al trasferimento di poteri alle Regioni e agli Enti Locali;
2. all’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale;
3. alla riforma delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (ipab);
4. al ruolo del Terzo Settore, della famiglia, delle organizzazioni di auto-mutuo aiuto;
5. alle forme di integrazione e di interazione sul territorio;
6. all’introduzione della carta dei servizi sociali;
7. al sostegno domiciliare per gli anziani non autosufficienti;
8. alle autorizzazioni e all’accreditamento.
Per quanto attiene alle conseguenze più propriamente istituzionali, l’assetto definito dalla legge quadro implica un ripensamento generale e approfondito delle modalità e delle azioni che hanno fino ad oggi caratterizzato gli interventi e i servizi sociali in Italia. Ciò, di conseguenza, ha riflessi operativi immediati sui rapporti tra i diversi livelli istituzionali burocratici e tra questi ultimi e gli attori della società civile (terzo settore). Ne consegue che, progressivamente, le vere partite sul welfare si giocano a livello locale.

2. Il posizionamento dei comuni nell’erogazione dei servizi socio-assistenziali

Infatti, nell’architettura complessiva del disegno riformatore, un ruolo da protagonisti è riconosciuto ai Comuni, enti territoriali cui spetta la titolarità delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale. In particolare, spetta ai comuni:
a. la programmazione, progettazione e realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete;
b. l’erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche;
c. l’autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale;
d. la definizione dei parametri di valutazione;
e. la promozione delle risorse della collettività;
f. il coordinamento e l’integrazione degli enti che operano nell’ambito di competenza locale;
g. il controllo e la valutazione della gestione dei servizi;
h. la promozione di forme di consultazione allargata;
i.    garantire la partecipazione dei cittadini al controllo della qualità dei servizi.

In questo contesto, il comune, quale entità giuridica ed organizzativa autonoma, impegnato nella gestione ed erogazione, sia direttamente sia attraverso appositi enti strumentali e organizzazioni non profit, dei servizi alla persona, in particolare quelli di natura socio-assistenziale, si trova dunque ad assumere progressivamente maggiori responsabilità. E proprio sui rapporti intercorrenti fra comune e organizzazioni di terzo settore, da un lato, e fra l’istituzione comune e gli enti strumentali, dall’altro, si concentra il presente contributo. Invero il comune è chiamato sempre di più ad affrontare la necessità di realizzare risposte integrate e coordinate con l’azione di detti soggetti.

3. Rapporti con le organizzazioni non profit: alcuni scenari

Il raccordo, funzionale e sostanziale, tra organizzazioni non profit ed enti locali é auspicabile, soprattutto, in virtù delle numerose iniziative che, in questi ultimi anni, sono andate progressivamente strutturandosi nel tessuto sociale, in specie a livello comunale. Numerose e preziose sono, infatti, le forme organizzate di iniziativa privata che rispondono ai bisogni della collettività cittadina/comunale. Queste iniziative non profit sono caratterizzate, come peraltro accade in gran parte dei paesi europei contemporanei, da una crescente ed evidente dimensione produttiva di servizi sociali erogati alla comunità o di beni e servizi come strumento per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Inoltre, tali organizzazioni sono definite da un’elevata ed incisiva partecipazione dei diversi gruppi di portatori di interessi, quali volontari, lavoratori, utenti, enti pubblici e privati. Tutti questi elementi fanno sì che le organizzazioni non profit debbono poter trovare nelle istituzioni municipali un interlocutore primario e consapevole delle risorse esistenti in seno alla collettività.
In tal senso, l’analisi di uno specifico contesto comunale ha evidenziato che, in quel determinato territorio, sono attive e profondamente radicate numerose organizzazioni non profit. Esse operano nell’ambito del settore sociale e che collaborano, a vario titolo, con il comune. Dall’analisi compiuta, sia con le realtà che hanno rapporti formalizzati (convenzione e/o finanziamento), che con le altre organizzazioni che erogano e offrono servizi di natura socio-assistenziale e si coordinano con il Servizio comunale, è emerso un quadro sostanzialmente positivo. In esso è possibile scorgere un network attivo nel tessuto locale, che presenta punti di forza e di debolezza, sia relativamente al rapporto con il comune, che rispetto al sistema generale dei servizi socio-assistenziali.
Gli aspetti maggiormente positivi, evidenziati dagli operatori, si riferiscono soprattutto ad un clima di collaborazione e di disponibilità, dovuto alla conoscenza reciproca e alla condivisione di intenti fra i diversi attori della rete e al riconoscimento di un ruolo importante e critico da parte degli assistenti sociali. A questi ultimi, infatti, è attribuito un ruolo importante di monitoraggio costante dei servizi erogati, in quanto considerati trait d’union tra organizzazioni, comune e utenza (in specie nel rapporto instaurato con le famiglie). Positivo è altresì il giudizio espresso circa il ruolo del comune, sia in quanto riferimento puntuale per le organizzazioni, sia come presenza attiva e delinea e, da ultimo, in quanto capace un’attenzione costante ai bisogni espressi sul/dal territorio.
Non mancano, tuttavia, alcuni aspetti di criticità, che si evidenziano soprattutto nel rapporto organizzazioni –comune. Relativamente alle figure degli assistenti sociali e alla loro importanza nel raccordare l’azione comunale e quella delle organizzazioni non profit, un punto di debolezza del sistema è stato individuato essenzialmente nel loro turn over. Esso non consente di rispondere con continuità ai singoli casi e soddisfare pienamente i bisogni di intervento. Alcune organizzazioni hanno inoltre espresso la necessità e l’opportunità di un maggiore confronto con l’Amministrazione in fase di predisposizione di bilancio, per poter condividere la definizione dei tipi e modelli di bisogni presenti sul territorio, pur riconoscendo la sostanziale e continua disponibilità al dialogo da parte degli operatori del Servizio. Le organizzazioni non profit si propongono quindi come “occhio” privilegiato del comune sul territorio per la raccolta delle indicazioni e dei bisogni dell’utenza in virtù della loro presenza capillare: opportunità da sfruttare soprattutto in sede di programmazione e per la diffusione dell’informazione all’utenza.
Se poniamo l’attenzione in maniera particolare sull’insieme dei servizi sociali erogati sul territorio preso in considerazione, possiamo rilevare ed evidenziare anche in questo caso punti di forza e di debolezza del network comune-organizzazioni non profit.
Un elemento estremamente positivo risulta essere il lavoro di rete che consente di creare, coordinando i diversi attori, il network stesso e consolidare la diffusione e l’accessibilità ai servizi e alle informazioni relative agli stessi, sia in termini spaziali che temporali. Comune e organizzazioni non profit si pongono come punto di riferimento per le famiglie a cui garantiscono un sostegno positivo sulla base di una conoscenza profonda delle problematiche presenti sul territorio e alla possibilità di garantire una presenza regolare nella conduzione e cura dei singoli casi. L’unione di intenti, l’agire in maniera coordinata e la disponibilità a confrontarsi e coordinarsi rafforza la rete. Questa, a sua volta, si innesta in un territorio tradizionalmente pronto a sostenere iniziative del privato sociale, con notevoli benefici per l’utenza.
Per quanto attiene ai punti di debolezza, la rete delle organizzazioni non profit soffre della sua non formalizzazione, che a volte si traduce in una frammentazione interna e in uno scarso coordinamento tra le stesse organizzazioni. Ciò determina, talvolta, duplicazione di servizi sul territorio, che pertanto non consente di sfruttare le sinergie e i vantaggi, anche a livello informativo oltre che sostanziale (rilevazione e analisi dei bisogni del territorio e erogazione di prestazioni omogenee rispetto alle richieste dell’utenza), ottenibili con un confronto sistematico e con lo scambio delle singole esperienze.
La fotografia del network appare, alla luce delle considerazioni fatte, sia in termini di servizi erogati sul territorio, sia di rapporti tra comune e organizzazioni e tra queste ultime, abbastanza complessa. Le organizzazioni non profit assumono un ruolo importante e strategico, in quanto attori erogatori e produttori finali e soprattutto in quanto legame ultimo con l’utenza, mentre s’individua un ruolo cruciale di coordinamento da parte del comune.

4. Gli enti strumentali del comune, in particolare l’azienda speciale.

Allo scopo di potenziare il proprio intervento sul territorio di competenza, i comuni hanno potuto utilizzare, in questi anni, forme organizzative strumentali, quali l’istituzione, l’azienda speciale e, più recentemente, la società di capitali mista. La disciplina concernente le modalità gestionali dei servizi pubblici locali introdotta dagli artt. 23 e 23 della legge 142/90 risulta oggi modificata dall’art. 35, comma 15 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002) che recita:
Dopo l’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, è inserito il seguente:
“Art. 113-bis. – (Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale) – 1. Ferme restando le disposizioni previste per i singoli settori, i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale sono gestiti mediante affidamento diretto a:
a) istituzioni;
b) aziende speciali, anche consortili;
c) società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal codice civile.
2. È consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1.
3. Gli enti locali possono procedere all’affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate.
4. Quando sussistano ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale, i servizi di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere affidati a terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica, secondo le modalità stabilite dalle normative di settore.
5. I rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi di cui al presente articolo sono regolati da contratti di servizio”.

Ai fini della nostra trattazione, ci soffermeremo solo sulla forma gestionale dell’azienda speciale, figura organizzativa che esce confermata nella sua valenza operativa anche dalla l. 448/01 sopra citata. L’azienda speciale, così come definita dall’art. 23, 1° comma, della legge 142/90 è un “ente strumentale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto approvato dal consiglio comunale o provinciale”. Caratteristiche essenziali di questa organizzazione sono dunque:
– la strumentalità all’ente locale di appartenenza (cioè operatività nell’interesse dell’ente);
– personalità giuridica propria;
– autonoma statutaria (cioè potestà organizzativa, dovendo l’ente solo approvare lo statuto);
– autonomia imprenditoriale (cioè autonomia funzionale e regime di prestazioni e rapporti di lavoro privatistici).

Organi dell’azienda sono
a) il consiglio d’amministrazione, la cui nomina è di competenza del sindaco (ex legge n. 81/1983), sulla base degli indirizzi approvati dal consiglio comunale e il cui numero è stabilito nello statuto;
b) il presidente, che è ritenuto primus inter pares rispetto agli amministratori e sovrintende l’attività dell’organo collegiale;
c) il direttore, nominato dal consiglio di amministrazione, di regola a seguito di concorso pubblico ovvero anche per chiamata, su proposta del consiglio di amministrazione.
In passato il modello dell’azienda speciale è stato spesso impiegato per la gestione dei servizi a rete (trasporto, acqua, rifiuti, energia elettrica e gas). Oggi che detti servizi sono stati affidati, in larga parte, alle regole del mercato della concorrenza, l’azienda speciale, come peraltro ribadito, dall’art. 35 sopra citato, rimane un’opzione esercitabile dall’ente locale per la gestione dei “servizi privi di rilevanza industriale”.
Ne consegue che il comune per realizzare parte delle proprie finalità istituzionali nel campo dei servizi socio-assistenziali e alla persona sul territorio di propria competenza, può ricorrere al modello dell’azienda speciale. E, infatti, nel comune oggetto della presente indagine è presente un’azienda speciale multiservizi che gestisce il servizio farmaceutico. La denominazione “azienda multiservizi” è il risultato del passaggio istituzionale e giuridico verificatosi a seguito della trasformazione della precedente azienda municipalizzata in azienda speciale. Si tratta di un’azienda il cui oggetto sociale è statutariamente configurato come plurimo, ossia l’azienda potrebbe operare in più di un settore. Tuttavia, ad oggi, l’azienda speciale operante nel territorio di competenza del comune in argomento svolge la propria attività esclusivamente nel settore farmaceutico, nella cui sfera rientrano altresì alcune iniziative di sensibilizzazione e di promozione della salute.
Appare però evidente dai trend di questi ultimi anni che la sola gestione delle farmacie comunali, attesi i mutamenti di contesto in progress, sia di mercato che normativo, risulta essere un’attività limitata e non congruente rispetto alla specifica configurazione giuridico-organizzativa utilizzata. Mantenere l’attuale assetto potrebbe comportare un elevato grado di rischio in un’ipotesi di sviluppo futuro. Un’alternativa potrebbe essere rappresentata, considerando i cambiamenti avvenuti in campo farmaceutico e, in particolare, nella gestione delle farmacie comunali (ex municipalizzate) dalla vendita sul mercato delle attuali farmacie. Dalla vendita, l’Amministrazione Comunale potrebbe ottenere risorse da investire in progetti e attività di carattere sociale e assistenziale. In questa ipotesi, l’Amministrazione Comunale dovrebbe individuare i possibili interlocutori con cui negoziare la vendita (società locali,  forme di cooperazione fra farmacisti, altro). In luogo della vendita, per converso, si potrebbe ipotizzare di far confluire il ramo d’azienda farmaceutico nel contesto istituzionale/organizzativo più ampio di un’unica azienda a diretto controllo e proprietà del comune, attraverso cui potrebbero essere gestiti altri servizi di rilevanza sociale da individuare.
L’ipotesi di costituire un’azienda pubblica territoriale unica potrebbe, comunque, risultare percorribile qualora si individuassero bisogni sociali che necessitino di risposte e soluzioni innovative e sperimentali. In quest’ottica, dunque, il comune potrebbe studiare l’ipotesi di costituire una società di capitali a maggioranza pubblica in cui coinvolgere altri soggetti istituzionali e privati, siano essi for profit ovvero non profit ovvero una fondazione di partecipazione.
In questo scenario è lecito domandarsi quale spazio possa permanere per un raccordo funzionale tra lo strumento gestionale in discussione e lo sviluppo di nuove soluzioni mirate ad una moderna ed efficiente attuazione degli interventi socio-assistenziali. Pur nella dichiarata consapevolezza, infatti, della finalità etica e sociale che agli stessi risulta inscindibilmente legata, non si può prescindere dall’esistenza/necessità di una vera e propria dimensione imprenditoriale che i servizi in parola rivestono. Ciò, evidentemente, non può restare senza conseguenze sulla scelta delle soluzioni organizzative e gestionali del servizio.

di Alceste Santuari


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