Verso una maggiore rilevanza del principio di sussidiarietà nell’Unione Europea – Resoconto convegno

16.01.2006

(relatore ministro plenipotenziario Giorgio Bosco – servizio contenzioso diplomatico Ministero Affari Esteri) 

Fondazione Europea Dragàn 

Roma, 13 dicembre 2005

Nella giornata del 13 dicembre, presso la sede della Fondazione Europea Dragàn in Roma, all’interno del ciclo di scienze politiche e studi europei per l’anno accademico 2005/2006, si è tenuta la conferenza che ha avuto per oggetto l’evoluzione del principio di sussidiarietà nella politica europea.

Il consesso è stato aperto dal segretario generale della fondazione, dott. RAVASI, che ha richiamato la praticità dell’istituto della sussidiarietà, ben lontano da una mera costruzione teorica o tecnica, ma anzi di particolare ricaduta su tutti i cittadini e, di conseguenza, degno di rilevanza nella trattazione.
Il Trattato sull’Unione Europea introduce il principio sussidiarietà nel trattato CE, secondo il quale la comunità può agire nei settori che non sono di sua esclusiva competenza soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri, e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario.
Si tratta di una formulazione stringata che ha implicazione e conseguenze enormi.
Prende la parola, quindi, il ministro BOSCO che, ripercorrendo l’evoluzione del principio di sussidiarietà in ambito comunitario, ricorda come un accenno a tale istituto fosse presente nell’Atto Unico europeo (1986), circoscritto alla materia ambientale all’art.130R: “…in materia di politica ambientale la comunità agisce nella misura in cui gli obiettivi possano essere realizzati meglio a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli stati membri”.
Con il Trattato di Maastricht (1992) la sussidiarietà, oggi art.5 con la nuova numerazione dei trattati, viene enunciata in maniera completa.
Si tratta, secondo il relatore, di poche righe che parrebbero di fruibile comprensione ma manifestano grande difficoltà di interpretazione ed applicazione: “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza”, cioè nei settori che con il linguaggio in uso si definiscono non comunitarizzati, quindi, come ha confermato anche la Corte di giustizia, la sussidiarietà non entra in considerazione in quelle materie pacificamente acquisite nell’azione comunitaria, ad esempio la concorrenza, il mercato interno, la politica agricola comune, “la comunità interviene secondo il principio di sussidiarietà soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri”, presi singolarmente, è il caso in cui gli stati, pur avendo in mente gli stessi obiettivi, si trovino ad agire in maniera non coordinata tra le rispettive azioni, e possano dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti delle azioni in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.
Il principio di sussidiarietà dev’essere considerato nella realtà comunitaria come un principio costituzionale, essendo assurto a tale dignità nel trattato che adotta una costituzione per l’Europa. In un capoverso del medesimo art.5, è contenuto un altro principio, di cui però non viene fatto il nome, ma sempre abbinato a quello di sussidiarietà, il principio di proporzionalità, espresso nella maniera seguente: “l’azione della comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato”. Il ministro Bosco rinviene in tale enunciato un’invocazione a quel senso della misura, dell’armonia e dell’equilibrio cui il nostro popolo, fin dai tempi del diritto romano, si è dimostrato un maestro: “ius est realis ac paersonalis hominis ad hominem proportio, quae, servata, societatem servat, corrupta corrumpit” (Dante Alighieri).
Il concetto di proporzionalità si ritrova, così, nel diritto penale in merito all’adeguatezza della legittima difesa e nel diritto internazionale in materia di difesa contro l’aggressione.
I fautori più ferventi del centralismo e del dirigismo europeo non hanno visto di buon occhio il principio di sussidiarietà, infatti, è stato supposto che tale istituto fosse stato escogitato dagli stati europei più tiepidi, euroscettici, per evitare un’integrazione troppo spinta. In realtà tale concetto è molto più risalente nel tempo, facendo parte dell’insegnamento della chiesa cattolica.
La sua premessa, quasi la sua radice, può essere ravvisata nel magistero della famosa enciclica rerum novarum del 1891 di Leone XIII, a proposito della giusta natura dello stato e dei suoi interventi. Ci trovavamo all’interno del dibattito tra la concezione liberale ‘800esca e, all’opposto, quella marxista. Secondo De Gasperi lo stato non deve fare, ma aiutare a fare chi da solo non potrebbe realizzare. Quarant’anni dopo, un’enunciazione ancora più esplicita è contenuta nell’enciclica di Pio XI quadragesimo anno (1931) in commemorazione dei 40 anni della rerum novarum: come non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze ed industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori ed inferiori comunità si può fare. Il termine sussidiarietà deriva da subsidium, aiuto tenuto in riserva, per chi non arriva a fare una cosa che gli spetta di fare. Tale principio è richiamato poi nella centesimus annus (1991). Nella visione della chiesa le società d’ordine superiore si devono porre in atteggiamento di sostegno, di promozione e di aiuto rispetto alle minori. Oltre l’atteggiamento positivo vi è quello negativo, che è poi quello oggetto della norma comunitaria, per cui la società superiore deve astenersi dall’intervenire per non restringere lo spazio vitale delle entità minori.
Per risolvere il problema del migliore rapporto tra l’Unione Europea e gli stati membri, ci si è resi conto che l’elaborazione dottrinale della chiesa cattolica sarebbe potuta tornare utile. Il relatore richiama al pubblico il significato del concetto di sussidarietà, citandone il lemma nella Piccola Treccani del 1997: “il concetto per cui un’autorità centrale avrebbe una funzione essenzialmente sussidiaria, essendo ad essa attribuiti quei soli compiti che le autorità locali non siano in grado di svolgere da sé”.
Dopo il trattato di Maastricht, gli stati membri non mancarono di accorgersi che la sussidiarietà era di importanza basilare, tale da dover impregnare di sé tutta la vita ed esistenza comunitaria, così nel 1997, all’atto della firma del trattato di Amsterdam, ritennero necessario approvare un protocollo dedicato: protocollo n.30 sull’applicazione del principio di sussidiarietà e di proporzionalità.
Inizialmente, in tale documento si legge che “le alte parti contraenti sono desiderose di garantire che le decisioni siano prese il più possibile vicino ai cittadini dell’unione”, il concetto di vicinanza ai cittadini rappresenta lo sforzo continuo di colmare il cosiddetto decifit democratico. Questa si realizza non soffocando la cittadinanza con normative centralizzate ma lasciando che, dove possibile, le autorità statali, regionali e locali potessero svolgere certi compiti, “ciascuna istituzione assicura nell’esercizio delle sue competenze il rispetto del principio di sussidiarietà e proporzionalità”. Nello stesso tempo gli stati membri si sono preoccupati di non compromettere i risultati raggiunti fino ad allora e quindi hanno precisato che “l’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità avviene nel rispetto delle disposizioni generali e degli obiettivi del trattato con particolare riguardo al completo mantenimento dell’acquis communitaire”, con quest’ultima espressione, intraducibile in italiano, si vuol rappresentare proprio mezzo secolo di attività verso l’integrazione europea, costituente un corpus iuris che si è inteso salvaguardare e preservare, anche da usi non appropriati del principio di sussidiarietà.
Si legge ancora nel protocollo: “la sussidiarietà è un concetto dinamico e dovrebbe essere applicata alla luce degli obiettivi stabiliti nel trattato”. Tale riaffermazione è di importanza decisiva, per l’interpretazione che del principio di sussidiarietà potrà esserne dato con l’evolvere dei tempi e delle vicende.
Nel trattato costituzionale dell’ottobre 2004 viene confermato ulteriormente, con piccole modifiche rispetto all’art.5 del trattato sull’Unione Europea, il principio di sussidiarietà con l’art.11, parte prima, titolo III, dedicato alle competenze dell’Unione: “l’esercizio delle competenze dell’unione si fonda sui principi della sussidiarietà e proporzionalità”, ponendo alla base dell’edificio comunitario, come si esprime il relatore, proprio suddetti principi.
Una significativa novità, introdotta dal trattato, è quella che afferma “I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto di tale principio”, secondo la procedura prevista nel nuovo protocollo, numero 2, in base al quale le istituzioni dovranno applicare i principi di sussidiarietà e proporzionalità. Tale protocollo sostituirà, quando e se la costituzione entrerà in vigore, il precedente protocollo n.30. L’introduzione dei parlamenti nazionali è una novità che si è vista fin dalla fase di elaborazione del trattato, infatti, nella convenzione presieduta di Gisgard d’Estaine, partecipavano rappresentanti dei parlamenti nazionali e non solo del parlamento europeo.
Il ruolo di vigilanza dei parlamenti nazionali è svolto in aderenza alla seguente modalità: “ciascuno dei parlamenti nazionali, o ciascuna camera di questi parlamenti, può entro 6 settimane inviare un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto non sia conforme al principio di sussidiarietà”; se i pareri che riscontrino la non conformità al principio di sussidiarietà raggiungono, secondo un meccanismo di voti che attribuisce ad ogni stato membro 2 voti, 1/3 dei voti espressi, dovrà essere riesaminato il progetto stesso, ed al termine del riesame le varie istituzioni possono decidere di mantenerlo, modificarlo o ritirarlo.
Il relatore ricorda che durante l’elaborazione di un atto normativo europeo, i progetti debbano essere motivati con riguardo al principio di sussidiarietà e di proporzionalità: “ogni progetto di atto legislativo europeo dovrebbe essere accompagnato da una scheda contenete elementi circostanziati che consentano di valutare se tale principio di sussidiarietà e proporzionalità è stato rispettato ”.
Il protocollo n.2, ispiratosi al suo precedente, conferma la volontà delle parti contraenti di garantire che le decisioni siano prese il più possibile vicino ai cittadini dell’unione, in questa prospettiva si dispone che prima di proporre un atto legislativo europeo la commissione effettua ampie consultazioni: società civile, associazioni, mondo imprenditoriale e gli altri rappresentanti di una società articolata come quella europea odierna.
Una menzione indiretta arriva poi con riguardo agli oneri da sostenere, la questione del bilancio dell’Unione: “i progetti di atti legislativi europei tengono conto della necessità che gli oneri, siano essi finanziari che amministrativi, che ricadono sull’Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali e locali, sugli operatori economici e sui cittadini, siano il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire”.
Infine, è riaffermato il ruolo importante della Corte di giustizia dell’Unione Europea nell’interpretare ed applicare il principio di sussidiarietà, e quindi di renderlo aderente alla vita amministrativa dell’unione. Abbiamo le prime sentenze della corte a questo riguardo già dal 1992, data della conclusione del trattato di Maastricht, ad esempio la sentenza del 10 dicembre 2002, The Queen vs. secretary of state, dove la corte riafferma che il protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità precisa al suo paragrafo 3 che il principio in oggetto non rimette in questione le competenze conferite alla comunità dal trattato; quindi il principio non può essere usato come un grimaldello per scardinare quanto realizzatosi nel campo dell’integrazione europea.
La sussidiarietà viene trattata non solo nell’art. 11 e nel protocollo n. 2, ma anche dall’art. 18 del trattato costituzionale, prevedendo la “clausola di flessibilità”, esprimendo un concetto di dinamismo, di movimento e di evoluzione in base all’andamento dell’economia, della società, della cultura, stabilendo che, se non ci fosse nella costituzione una norma che preveda certi poteri di azione, che si rivelino necessari, il consiglio dei ministri adotta le misure appropriate e la commissione controlla il principio di sussidiarietà; viene introdotto qui, però, un caveat, per cui le misure fondate su tale articolo, che di conseguenza ammetterebbero la possibilità di estendere l’azione dell’Unione anche ai settori non comunitarizzati, “non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli stati membri nei casi in cui la costituzione la esclude”.
Qualche riferimento alla sussidiarietà si trova anche nella parte II del trattato che istituisce una costituzione per l’Europa, in tale parte, com’è noto, è contenuta la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea approvata nel vertice di Nizza del 2000: “le disposizioni della presente carta si applicano alle istituzioni, organi ed organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà”.
Concludendo, il ministro Bosco, rileva come dopo un lungo periodo di centralismo comunitario, si cerca di avviare un processo di decentramento nel quale trovano posto sia gli stati membri, sia le regioni nell’ambito degli stati. In questo senso il principio di sussidiarietà assolve una funzione di criterio guida, il relatore, a proposito, richiama un’illuminante osservazione di Jacques Delors, allora presidente della commissione, in cui questi affermava che la sussidiarietà fosse un principio ispirato al sano buon senso, destinato a regolare l’azione comunitaria anche se difficilmente codificabile. Appunto per questo il legislatore comunitario, saggiamente, non ha cercato di specificare troppo questa norma, ponendone il principio fondamentale, ben sapendo che la Corte di giustizia delle comunità europee deciderà nei casi dubbi quando applicare il principio o meno.

Davide De Caro