Autonomie, cooperazione e raccordi interistituzionali nell’evoluzione del sistema italiano – Resoconto convegno

07.03.2006

Mercoledì 22 febbraio 2006 si è tenuto presso la Sala conferenze del Garante per la protezione dei dati personali, a Roma, un Convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale in cui si è discusso dell’attuale tema riguardante “Autonomie, cooperazione e raccordi interistituzionali nell’evoluzione del sistema italiano”. Hanno partecipato numerosi esponenti del mondo accademico italiano, rappresentanti delle istituzioni e dirigenti della SSPAL.

Il Prof. PIRAINO, Direttore della SSPAL, ha motivato la scelta dell’oggetto del dibattito, descrivendo il tema delle Autonomie come uno dei nodi principali del processo di riforma istituzionale e del futuro assetto della Repubblica.
Ha quindi affrontato due questioni di fondo:
– le forme di cooperazione tra Istituzioni e società civile
– le modalità di raccordo tra i vari ambiti istituzionali.
L’indirizzo che il Legislatore sembra intenzionato a seguire è quello di una progressiva federalizzazione dello Stato italiano, come testimoniano la legge costituzionale 3/2001 che per prima ha riformato il Titolo V della Costituzione, la sua principale legge di adeguamento, l. 131/2003, e la legge costituzionale approvata dal Parlamento a novembre del 2005 di modifica della seconda parte della Costituzione (sebbene si attenda l’esito del referendum).
Del resto la costruzione di uno Stato in cui sia forte la valorizzazione delle Autonomie è coerente con la scelta che altri ordinamenti hanno già compiuto, come quello tedesco, quello spagnolo e più di recente quello comunitario.
Il processo in itinere in Italia non deve essere inteso solo come una mera devoluzione di poteri dal centro verso la periferia, ma deve diventare lo strumento per definire una nuova forma di organizzazione dell’attività dei diversi livelli di governo che sia sinergica e operi in modo integrato. Accanto a questi strumenti di raccordo interistituzionale, occorre riconoscere ai cittadini, in conformità con il principio di sussidiarietà orizzontale, il diritto, come singoli o nelle formazioni sociali, di “promuovere le loro iniziative per lo svolgimento di attività di interesse generale” (art. 118 Cost. , c. IV).
Il sistema di coordinamento descritto non è stato adeguatamente considerato dalla l. cost. 3/2001 e, uno dei mezzi previsti per realizzarlo, la Commissione “integrata”, non ha trovato applicazione nella vita istituzionale. L’art. 11 della legge prevedeva che la Commissione parlamentare per le questioni regionali fosse integrata dai rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli Enti locali: l’attuazione di questa disposizione avrebbe rappresentato un’importante innovazione consentendo agli esponenti di Regioni ed Enti territoriali minori di esercitare in modo concertativo la funzione legislativa nel Parlamento nazionale.
Anche l’istituzione del Senato federale, secondo la legge costituzionale approvata nel Parlamento nel 2005, quale Camera che rappresenti gli interessi territoriali, non corrisponde all’analoga istituzione esistente nei sistemi federali, giacché in esso non siedono i rappresentanti dei vari livelli territoriali di governo.
L’ordinamento italiano prevede già un altro sistema di cooperazione interistituzionale costituito dalla Conferenza Stato-Regioni, Stato-Città e Autonomie locali e la Conferenza Unificata. Si tratta di comprendere quale tra questi tre strumenti di raccordo sia il più adatto a diventare il secondo polo rappresentativo delle decisioni istituzionali concordate tra Stato, Regioni ed Enti territoriali minori. Per il Relatore, la scelta sarebbe dovuta cadere sulla Conferenza unificata, in ragione del fatto che essa costituisce la sede per l’attuazione dell’Intesa interistituzionale tra gli enti costitutivi della Repubblica per l’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione. Il legislatore ha preferito un altro organo: la Conferenza Stato-Regioni che è stata costituzionalizzata dalla riforma in itinere. Così si preclude la possibilità per le Autonomie di rafforzare la loro posizione al centro del sistema partecipando alla determinazione dell’indirizzo politico di governo.
Infine il Prof. PIRAINO mette in evidenza la necessità di sviluppare un sistema di raccordi stabile anche su scala regionale attraverso il Consiglio delle autonomie locali e la Conferenza Regione-Autonomie locali. Il primo è un organo non politico, rappresentativo anche degli interessi delle minoranze territoriali, che dovrebbe svolgere la funzione di seconda Camera del Parlamento regionale, partecipando anch’esso al procedimento legislativo. La Conferenza, invece, dovrebbe, coordinandosi con la Giunta regionale, concorrere a definire l’indirizzo politico-amministrativo della Regione. Attualmente però tutte le Conferenze svolgono una funzione consultiva come ha contribuito a ribadire nel corso del Convegno il Dott. CARPINO, Segretario della Conferenza Stato-Regioni.

La relazione del Prof. CARAVITA DI TORITTO, dell’Università La Sapienza di Roma, si è aperta con una nota di critica nei confronti dell’eccesso di scrittura costituzionale e della carenza di riflessione sugli assetti istituzionali del Paese nell’ultimo decennio.
Il Relatore, quindi, si è soffermato a descrivere i principi ispiratori della Costituzione italiana: il pluralismo, l’autonomia e la sussidiarietà. Lo Stato infatti non è l’unico detentore della sovranità; nell’ordinamento italiano il titolare della sovranità è il popolo. Ormai il principio, tradizionalmente riferito allo Stato, “superiorem non recognoscens”, non è più totalmente valido. Occorre considerare la presenza di una pluralità di soggetti del nostro ordinamento: le Regioni e gli Enti Locali, le autonomie funzionali e delle formazioni sociali. L’art. 114 al I° comma, dopo la riforma operata con la l. cost. 3/2001 include questi enti tra i soggetti che costituiscono la Repubblica, indicando lo Stato dopo tutti gli altri. Pertanto, lo Stato rappresenta la sovranità popolare esclusivamente per le competenze che gli sono attribuite dalla Costituzione.
In un sistema pluralista, alle Autonomie devono essere riconosciute delle prerogative che consentano loro di fruire di un certo potere decisionale rispetto a: definizione del quadro normativo ed organizzativo di loro competenza; autonomia negoziale; capacità di determinare autonomamente le proprie finalità; autonomia finanziaria tramite l’utilizzo di mezzi finanziari autonomamente procacciati o stabilmente assegnati.
La Corte costituzionale con numerose sentenze, come la n. 363/1990, n. 300-301/2003 e più di recente la n. 107/2005, si è fatta baluardo della tutela sostanziale dell’autonomia per evitare che si pratichino, ad esempio, da parte delle Regioni delle forme di controllo penetranti ed invasive delle competenze delle Autonomie Locali.
Secondo il Prof. CARAVITA DI TORITTO la crisi della costruzione gerarchica dell’ordinamento, come si desume dall’art. 114 Cost. novellato nel 2001, si riverbera sul sistema delle fonti. Si sta affermando un criterio di preferenza, nei limiti della competenza, della fonte inferiore ossia emanata dall’ente territoriale di minori dimensioni. Il relatore non ritiene, invece, che la tutela dell’autonomia degli enti locali passi per il riconoscimento del loro accesso alla Corte Cost. giacché sarebbe sufficiente il controllo concreto della norma tramite il ricorso per via incidentale.
La difesa delle Autonomie territoriali politiche non può essere disgiunta da quella delle Autonomie sociali. Nella storia repubblicana il nostro ordinamento, fino agli anni Novanta, ha sempre oscillato fra accentramento e decentramento. Anche quando la situazione si è volta a favore del decentramento, spesso a questo non ha corrisposto una valorizzazione dei “luoghi della società”. Tuttavia, l’art. 114 Cost. non fa riferimento al pluralismo della società italiana accanto a quello dei soggetti istituzionali che compongono la Repubblica. Il principio pluralista comporta la libertà di formazione e la tutela di gruppi sociali a cui ogni cittadino può scegliere di aderire.
Lo Stato dovrebbe pertanto recuperare una capacità di coordinamento tra gli Enti territoriali e fra questi e le formazioni sociali.

Secondo il Prof. MANGIAMELI, dell’Università di Teramo, la XIV legislatura ha lasciato l’ordinamento italiano, rispetto al tema delle Autonomie e dei rapporti tra i soggetti che costituiscono la Repubblica, in uno stato di confusione istituzionale.
La Riforma costituzionale del 2001 è stata adottata in conseguenza della crisi finanziaria che ha attraversato l’Italia negli anni ‘90 e da essa è scaturito una sorta di “federalismo di abbandono”: si è pensato di risolvere parte dei problemi economici scaricando alcune spese su altri soggetti dell’ordinamento ma senza dotarli dei mezzi necessari per farvi fronte. Inoltre la modifica del Titolo V Cost. si è trasformata in uno strumento funzionale alla lotta politica per accattivarsi le simpatie della Lega Nord garantendo forme di coordinamento tra Stato e Regioni in materia di immigrazione e di ordine pubblico( art. 117, II comma, lettere b e h).
I limiti dell’elaborazione del nuovo Titolo V si sono riverberati sulla sua attuazione. L’amministrazione dello Stato ha recuperato parte delle sue ex competenze e si è legiferato come se la riforma costituzionale non fosse intervenuta.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 303 /2003 ha ammesso che il meccanismo dinamico della sussidiarietà possa consentire allo Stato di esercitare competenze spettanti ad altri enti, nel caso di specie le Regioni, qualora sussistano istanze unitarie. In questo modo viene disarticolato il riparto previsto all’art. 117.
Il Relatore concorda con il Prof. CARAVITA DI TORITTO nel ritenere che si assiste ad una ripresa dell’intervento delle Regioni limitativo dell’autonomia degli enti locali.
Anche nel caso in cui il progetto di riforma costituzionale approvato nel novembre 2005 non entrasse in vigore, il Titolo V, come modificato nel 2001, andrebbe rivisto perché le sue disposizioni non sono rispettate sia per quanto riguarda il riparto delle competenze legislative che per l’attribuzione di funzioni amministrative agli enti locali.
Sarebbe necessario costruire una rete interistituzionale efficace grazie alla quale gli Enti territoriali minori possano partecipare alle decisioni che devono essere assunte al livello territoriale superiore, poiché attualmente le Conferenze non sono in grado di far valere gli interessi degli enti territoriali: la maggior parte dei provvedimenti sottoposti ad una loro valutazione è adottata nonostante il parere negativo di alcuni dei loro membri.
Il Prof. MANGIAMELI ha concluso il suo intervento affermando che nei momenti di confusione istituzionale, come quello che caratterizza oggi l’Italia, è frequente la suggestione di ricercare l’unità e individuare un decisore principale a scapito del decentramento delle competenze realizzato.

Il Prof. VANDELLI, dell’Università di Bologna, ritiene che l’evoluzione dell’assetto istituzionale italiano non si giochi sulla dicotomia federalismo vs. regionalismo, ma sulla scelta di adottare un modello di federalismo competitivo oppure cooperativo in cui si incentivi la logica di sistema.
A suo giudizio, bisogna valorizzare gli strumenti che agevolano la connessione tra i diversi livelli di governo, visto che la collaborazione è favorita dalla coincidenza degli interessi tra tutti gli “ingranaggi del sistema”. Occorre superare il modello di rigida ripartizione delle funzioni, poiché la logica dell’integrazione delle competenze è diventata inevitabile.
Il Relatore critica l’atteggiamento di chi, a torto, ritenendo che la nozione di competenze concorrenti sia stata introdotta dalla Riforma Cost. del Titolo V del 2001, attribuisce alla legge cost. 3/2001 la responsabilità della conflittualità tra gli enti che compongono la Repubblica, in primo luogo tra Stato e Regioni. In realtà il nostro sistema soffre di una conflittualità congenita influenzata anche dal contegno tenuto dal Parlamento nazionale che ha continuato ad approvare leggi nelle stesse materie su cui il legislatore regionale iniziava ad esercitare legittimamente le sue competenze. Un dato interessante emerge valutando il numero di ricorsi presentati alla Corte Costituzionale per conflitti sull’attribuzione di competenze da quando sono state istituite le Regioni ad oggi: erano molto più numerosi negli anni ’70 che negli anni 2000, solo che allora non rispondevano ai criteri di notiziabilità adottati dai mass media.
In altri ordinamenti costituzionali esistono dei sistemi di concertazione e di “raffreddamento” dei conflitti più efficaci che in Italia. Si dovrebbe evitare di giungere ad una ponderazione degli interessi esclusivamente in sede di giudizio costituzionale, ma gli stessi contendenti dovrebbero avere la possibilità di accordarsi in via preventiva.
A questo proposito il Relatore, concordando con il Prof. PIRAINO, critica la costituzionalizzazione della Conferenza Stato-Regioni prevista dalla riforma in itinere, al posto della Conferenza unificata, espressione anche degli Enti locali.
Il Prof. VANDELLI, affermando che la storia d’Italia si identifica con la storia dei Comuni e che è impossibile prescindere dal proprio passato, auspica la costituzione dei Consigli delle Autonomie locali, tramite i quali gli enti territoriali minori possono esprimersi con un’unica voce sulle politiche regionali.

Il Prof. DE MARTIN, della Luiss Guido Carli, ha indicato le condizioni che consentono lo sviluppo di una Repubblica delle Autonomie, in cui sia valorizzato non solo il ruolo degli enti territoriali minori e delle Autonomie funzionali, ma anche delle formazioni sociali in conformità col principio di sussidiarietà orizzontale.
L’autonomia è uno dei principi fondamentali della Repubblica, come afferma l’art. 5 Cost. che richiede l’adeguamento costante dei principi e metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Oggi è diffusa la consapevolezza della crisi dello Stato Napoleonico e del superamento di una concezione monolitica della sovranità. E’ necessario che il principio di autonomia informi l’attività delle istituzioni, come principio di responsabilità nei confronti delle comunità rappresentate.
Tuttavia, l’interpretazione costante nel nostro ordinamento è stata sfavorevole all’opzione autonomistica che il Costituente ha effettuato, come dimostra il notevole ritardo nell’istituzione delle Regioni.
Il progressivo decentramento di competenze dal centro verso la periferia si è realizzato per tappe. La legge n. 59/1997 ha costituito l’input di questo processo prescrivendo la ridistribuzione di funzioni amministrative statali alle Regioni e agli Enti locali secondo il criterio della sussidiarietà. Questo processo si è realizzato a Costituzione invariata. Solo con la Riforma del Titolo V nel 2001 si costituzionalizza quanto in parte era stato anticipato con legge ordinaria, operando un ampliamento consistente delle competenze regionali e una modifica del sistema di allocazione delle funzioni pubbliche. Inoltre l’art. 114 Cost. novellato mette in evidenza la composizione policentrica della Repubblica, ponendo su di un piano di parità tutti gli enti territoriali che la costituiscono.
Il nodo cruciale che il Prof. DE MARTIN, come tutti gli altri Relatori del Convegno, sottolinea è la mancata attuazione delle disposizioni della l. cost. n. 3/2001 il cui impianto non è messo in discussione dalla Riforma in itinere.
Quindi sono state proposte le condizioni essenziali per lo sviluppo di un processo di crescita coerente delle Autonomie. Si tratta in primo luogo di due questioni di metodo:
– La necessità di porre fine alla fase di incertezza, distinguendo con chiarezza le funzioni che ogni soggetto dell’ordinamento deve esercitare. A tal proposito, bisogna impedire l’adozione di leggi che comprimano l’autonomia riconosciuta dalla Costituzione agli enti territoriali minori, come oggi accade.
– La creazione di sistemi di raccordo strumentali per l’esercizio integrato delle funzioni normative. Sebbene nel 2001 è stato raggiunto un accordo tra i soggetti rappresentati nella Conferenza Unificata per dare attuazione alla Riforma del Titolo V il cui contenuto è stato tuttavia disatteso.
Successivamente sono state indicate quattro questioni di merito riguardanti la potestà normativa e l’autonomia finanziaria degli Enti locali:
– Specificare le funzioni degli Enti locali in base all’art. 118 Cost. e ai principi di differenziazione ed adeguatezza. A tal riguardo, il progetto di riforma del TUEL, ormai privo di rilevanza per la scadenza del termine previsto dalla legge delega, conteneva disposizioni contrastanti con l’autonomia statutaria attribuita dalla Costituzione agli Enti locali. Inoltre, anche da parte delle Regioni, diventate delle eccessive macchine burocratiche, si riscontano forti resistenze al decentramento.
– Tutela dell’autonomia normativa degli Enti locali. Spesso non è rispettato il principio di sussidiarietà e di cedevolezza dell’ordinamento statale nei confronti dei livelli inferiori di governo, quando questi legittimamente esercitano i loro poteri.
– Valorizzazione del sistema di autocontrollo, da perseguire trasformando, ad esempio, la Corte dei Conti in un soggetto collaborativo che non invada il campo dell’autonomia degli enti territoriali. Occorre responsabilizzare gli enti in modo che la Corte garantisca dall’esterno l’affidabilità dei controlli interni.
– Garantire, come previsto dall’art. 119 Cost. , l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa agli enti locali evitando sperequazioni ingiustificate.
La relazione del Prof. DE MARTIN si è conclusa con una considerazione sullo stato della cultura delle autonomie in Italia. Il bilancio è piuttosto negativo poiché se lo Stato e le Regioni oppongono le loro resistenze al decentramento, gli Enti locali si sentono ancora fortemente dipendenti dallo Stato e stentano a recidere questo vincolo.

Tutti gli interventi effettuati nel corso del Convegno, anche da parte dei dirigenti delle Amministrazioni locali, si sono soffermati ad analizzare lo stretto nesso che intercorre tra la valorizzazione delle Autonomie ed il rispetto del principio di sussidiarietà. Su questo tema la Prof. ssa POGGI, dell’Università di Torino, ha segnalato la necessità di una lettura congiunta del principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, al fine di innestare un processo dinamico di trasformazione delle pubbliche amministrazioni che coincida con un ripensamento delle modalità di erogazione delle prestazioni.
Tutti i relatori sembrano concordare sulla mancata attuazione della Riforma costituzionale, sia a causa delle decisioni assunte dal legislatore nazionale che da quelli regionali.
Ormai la complessificazione del sistema è una realtà; occorre comprendere come fare fronte alla battuta d’arresto che si è registrata, rifuggendo dalla suggestione neocentralistica e da una semplificazione del sistema tramite una riduzione dei soggetti istituzionali che costituiscono la Repubblica. La questione dello sviluppo delle Autonomie può essere, infatti, con l’istituzione dei Consigli delle Autonomie locali, con un potenziamento del ruolo della Conferenza unificata, garantendo l’autonomia finanziaria e il rispetto degli ambiti di competenze definiti.

Cristina Fasone