L’Autonomia del sistema universitario: paradigmi per il futuro – Resoconto covegno

29.03.2006

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
CRUI, Villa Mondragone
Monte Porzio Catone, 22 marzo 2006

Il 22 marzo 2006, nella sede del Centro Congressi di Villa Mondragone, a Monte Porzio Catone, si è svolto il Convegno di studi sul tema “L’Autonomia del sistema universitario: paradigmi per il futuro”, organizzato dall’ Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” in collaborazione con la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI).

La sessione mattutina è stata aperta dal saluto, anche a nome del Rettore, del Pro-Rettore Prof. Milano, il quale ha sottolineato l’esigenza di iniziative che contribuiscano al dibattito scientifico sul difficile tema dell’autonomia universitaria, tema da affrontare tenendo conto anche del generale contesto di riforme sulla Pubblica Amministrazione nel cui ambito esso si colloca.

Il Prof. Milanesi, Rettore dell’Università degli Studi di Padova, in rappresentanza del Presidente della CRUI, Prof. Tosi, del quale ha presentato i saluti, dopo aver ricordato l’inizio della stagione dell’Autonomia per l’Università, avviato dalla L. n. 168/1989, ha ribadito il necessario collegamento tra i termini Autonomia e Responsabilità. E’ proprio tale nesso a sollecitare, secondo il Rettore, l’approfondimento del dibattito sull’autonomia del “sistema universitario” e a richiamare la centralità del tema relativo alle “forme di governo” degli Atenei.
La riflessione su tali importanti questioni è divenuta imprescindibile per evitare il rischio di una lenta eutanasia dell’Università.
Il Prof. Milanesi ha quindi concluso il suo intervento introduttivo riproponendo l’interrogativo sempre vivo del Prof. Paladìn, da questi pronunciato per l’inaugurazione dell’Anno Accademico 1990/91: “Sapremo essere degni di questa ‘Autonomia’?”

Dal Presidente del Consiglio di Stato, Alberto De Roberto, che ha presieduto i lavori del Convegno, è stata poi ceduta la parola al Prof. D’Atena. Il Relatore ha trattato il tema “Università e Costituzione”, in particolare ripercorrendo, nell’ambito del cammino storico europeo, le caratteristiche della nostra Carta Costituzionale, la quale presenta un unicum in tema di Università: osservando le venticinque costituzioni dei Paesi membri U.E. si può, infatti, notare come esse o non nominino l’Università oppure non spieghino cosa evoca il termine.
Viene delineato un primo concetto ricavabile dal primo comma dell’art. 33: la nostra disciplina in materia, a differenza di quella tedesca che obbliga espressamente alla fedeltà costituzionale le Università, nonostante nasca a séguito di anni di regime, scommette sulla libertà: anche per l’Università la Carta Costituzionale è liberale, perché rispetto alla scienza non esistono verità a-priori, ma solo idee da sviluppare sempre.
L’ultimo comma dell’art. 33, da leggere in via sistematica con il primo comma, riguarda l’Autonomia universitaria e la riserva di legge che ne è strumento; si è posto nuovamente l’interrogativo sulla natura di tale riserva – assoluta o relativa – e le connesse conseguenze sui limiti all’autonomia posti dalla normazione secondaria.
La critica del Relatore è stata posta sull’interpretazione della Corte Costituzionale, che con la sentenza n.383 del 1998 ha introdotto una terza categoria di riserve: la riserva di legge “aperta”. Il Prof. D’Atena ricorda che il maggior indicatore utilizzato dalla dottrina per distinguere le riserve assolute dalla riserve relative di legge sia costituito dal tenore letterale delle disposizioni costituzionali da cui esse sono, rispettivamente, contemplate; le prime introdotte da locuzioni come “la legge”, o “dalla legge”; le seconde espresse con formule del tipo “in base alla legge”. Si fa notare che la formulazione usata dall’art.33 u.c. è quella tipica delle riserve assolute: “limiti stabiliti “dalle leggi”, non “in base alle leggi”.
Il Prof. D’Atena ritiene anche che tale riserva possa essere interpretata come assoluta nei confronti dell’Esecutivo, che non può intervenire con regolamenti, e relativa nei confronti delle fonti di autonomia, non potendo le leggi dello Stato dettare una disciplina così penetrante e dettagliata da espropriare la potestà normativa delle Università di spazi di autodeterminazione.
Il Relatore ha, inoltre, sottolineato che l’autonomia universitaria è autonomia “ordinamentale”, posta in posizione strumentale al godimento della libertà di arte e scienza di cui al primo comma dell’art. 33. Essa è altresì inveramento del principio di sussidiarietà nella versione originaria della Costituzione. Da ciò, si è considerato come l’Università sia ente pubblico con alcune particolarità; infatti, essendo ente a struttura globale, la sua autonomia non è unitaria, ma ‘a cerchi concentrici’, inclusiva delle sue strutture. Le Università sono, dunque, autonomie nelle quali i soggetti che ne fanno parte si concentrano e partecipano tutti a livello “particolare”, raccordati da organi centrali che abbisognano di garanzie verso l’esterno. In tale struttura non trova dunque posto il concetto di gerarchia, dovendosi invece garantire le competenze.
Lo sviluppo dell’intera Relazione si snoda nei seguenti fondamentali passaggi.
Se si tiene conto del collegamento tra i comma 1 e 6 dell’art.33 Cost., nel disegnare l’autonomia universitaria, il legislatore deve tenere conto di tre corollari. Il primo è rappresentato dall’esistenza delle libertà riconosciute ai singoli dal comma 1. Il secondo è che le ragioni dell’autonomia non possono ritenersi soddisfatte se le Università sono considerate come complessi monolitici; esse devono essere organizzate in livelli distinti in modo tale che tutti i titolari delle libertà di cui al comma 1 devono essere partecipi del potere decisionale. Il terzo corollario deducibile dal testo normativo è costituito dalla tutela giurisdizionale di cui dovrebbero godere tutti i livelli organizzativi.
La norma costituzionale dell’art.33 Cost. ha trovato attuazione con due fondamentali leggi: la legge n.168/89 e la legge n.341/90. Se la prima appare particolarmente rispettosa della riserva di legge, la seconda sembra ispirata ad una filosofia completamente diversa, aprendo in maniera decisa a vari tipi di fonti regolamentari. Da ciò discende un sistema caratterizzato da un centralismo e un dirigismo ministeriale in evidente contrasto con la ratio della norma costituzionale.

Il Presidente del Consiglio di Stato Alberto De Roberto ha svolto una serie di riflessioni e posto interrogativi riconducibili fondamentalmente alla necessità di considerare la problematica dei profili costituzionali legati all’istruzione ed alle Università, sia riguardo alla normativa statale sia in relazione alla competenza regionale, tenendo conto dell’espressione “norme generali sull’istruzione” di cui alla nuova formulazione normativa della lettera n) comma 2 dell’art. 117. In particolare ha richiamato l’attenzione sul possibile ridimensionamento della riserva di legge assoluta di cui all’art.33 u.c., in conseguenza di tale nuova previsione costituzionale.

Il Prof. Renato Balduzzi ha trattato il tema “L’università tra Stato e Regioni” ed ha innanzitutto considerato come il termine di riferimento delle Università non siano le Regioni, bensì lo Stato. Infatti, l’attuazione dell’autonomia Universitaria è garantita sì dall’art. 33, ultimo comma, ma anche dall’art. 5 della Costituzione, che regola l’autonomia tout court. Secondo l’indirizzo interpretativo della Corte Costituzionale (cfr. Sentenza n. 281/1992) l’Autonomia Universitaria entra in gioco come limite all’autonomia regionale; lungo tale tendenza si muove anche la L.n. 52/1997.
Il Relatore osserva che già l’art. 58 del Progetto Bicamerale del 1997 riconosceva che non riferire allo Stato le norme generali sull’Università avrebbe significato automaticamente imputare la competenza regionale, con rischio di eccessiva frammentazione. Nell’attuazione del Titolo V le Regioni, negli ultimi anni, hanno timidamente legiferato nel settore della ricerca scientifica e tecnologica. Soltanto recentemente sono intervenuti atti normativi degni di nota: la Legge del Friuli Venezia Giulia sui contributi a sostegno della ricerca per le Università di Trieste e Udine,(L.n. 26/2005) e la Legge della Provincia di Trento (n. 15/2005); la Legge della Regione Campania, sulla promozione delle Università presenti nel territorio regionale. In ordine a quest’ultima il Relatore si è soffermato sulla recente pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n.102 del 2006) con la quale il Giudice delle leggi ha riconosciuto la sua legittimità tranne che sulla possibilità di costituire nelle Università scuole di eccellenza e Master, in ragione dell’art. 17, comma 95 della Legge Bassanini n.127/97 che assegna questa competenza allo Stato: in specie, si è osservato che la Corte non si pronuncia sul fondamento del potere legislativo regionale, ma afferma che così tale potere lederebbe l’Autonomia Universitaria.
Il Prof. Balduzzi si è poi soffermato sull’art. 1 della Legge 230, riconoscendo l’indubbia e palese incostituzionalità della previsione normativa secondo cui: “La gestione delle università si ispira ai principi di autonomia e di responsabilità nel quadro degli indirizzi fissati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca”. Viene ribadito che la base della riserva deve essere nella legge ex se; poi si può eventualmente discutere se la riserva si estenda anche alla fonte regolamentare; invece, nell’art. 1 della legge 230/05 il legislatore prevede che “tutto” sia stabilito nel Decreto ministeriale.
Dalla complessiva ricostruzione del Prof. Balduzzi si delinea, in via di prospettiva, quale possa essere una strada utile nell’ambito delle possibili interpretazioni del ‘mosaico di clausole che si intersecano’ in materia: bisogna sottolineare la maggiore utilità di coordinamento verticale ed orizzontale, cioè una leale e reale collaborazione fra sistemi, in particolare fra Università e livelli territoriali (CRUI, Conferenza Presidenti e Conferenza Stato-Regioni) e fra singole Università e Regioni. Tutto questo potrebbe consentire da un lato all’Università di essere una comunità di innovazione e d’altra parte di evitare anche il ‘vecchio rischio’ di “non anneghettire e non addormentarsi nei metodi (…)”, secondo il monito di de Giovannis Quinto nel 1870.

Il Prof. Luigi Paganetto nel trattare il tema “Università e ricerca di fronte alle sfide contemporanee”, ha formulato importanti considerazioni, muovendosi lungo il paradigma composto da tre tematiche fondamentali: l’Autonomia, la cultura della responsabilità e la cooperazione.
In particolare, il Relatore ha riconosciuto come in Italia la ricerca stia cambiando, ma ancora troppo lentamente: c’è l’esigenza di sostenere sì l’autonomia, ma a suo fondamento deve esserci la cultura della valutazione dei risultati. Il meccanismo delle graduatorie crea ad esempio un meccanismo virtuoso, aumentando la competizione fra i ricercatori, la quale si auspica diventi realmente costume anche per il settore pubblico.
Secondo il Prof. Paganetto tale meccanismo di concorrenza/competitività non appare in contrasto con l’autonomia, in quanto conduce a migliorare il risultato che nella specie attiene alla qualità della didattica e della ricerca. Si fa notare che l’Europa ha già attuato tali meccanismi da tempo ed il Ministero dell’Università recentemente ha introdotto l’incentivo per chi operi con maggior impegno anche qualitativo.
Ciò nonostante, il Relatore si domanda se questi punti di partenza siano di per sé sufficienti: l’analisi sul tema porta ad affermare che sino ad ora la direzione è stata la logica dell’offerta. Le riforme hanno cioè prodotto fenomeni di proliferazione di offerte didattiche a tipologia differenziata, come esigenza di ‘catturare’ gli studenti; in Europa, invece, c’è mobilità adeguata al rapporto fra docenti e studenti, in specie gli studenti votano l’ateneo con lo spostarsi nella struttura più idonea – non solo più vicina – in termini di qualità e di specialità. Il passaggio successivo, allora, è l’ipotesi di un’Agenzia che produca informazioni sulla valutazione della ricerca. Dunque, secondo il Prof. Paganetto, uniforme deve essere solo il sistema delle opportunità. Un’ultima considerazione: dentro l’istituzione universitaria risulta presente il senso d’appartenenza al gruppo del settore disciplinare, non già dell’Istituzione; da ciò, appare necessario il rafforzamento dell’identità verso l’Università Istituzione, affinché essa cresca nella sua autonomia. Risultano allora rilevanti a tali fini lo sviluppo delle fondazioni, l’investimento sulla “qualità” del personale oltrechè delle strutture, gli strumenti di allocazione delle risorse.

Nella dettagliata relazione sull’argomento “Università e controlli”, il Cons. Rita Arrigone ha trattato la materia sulla base di due provvedimenti chiave: il D.Lgs. n. 286/99, in attuazione della Legge cd. Bassanini n.59/97, e la L. n. 370/99 sui controlli interni all’Università in ambito di valutazione. In particolare, è stato evidenziato come il Decreto Legislativo n. 286/99 coinvolga nella sua normativa a carattere decrescente, cioè dalle Amministrazioni pubbliche centrali fino a quelle particolari, anche l’Università, escludendo però la sua applicazione per la ricerca e la didattica.
Il controllo esterno è, come è noto, affidato alla Corte dei Conti, che con la L. n. 20/1994 ha assunto un nuovo ruolo: non più un ruolo ausiliare al Parlamento nel controllo del governo, bensì un incarico equidistante di arbitro. La relatrice ha quindi enucleato i principi del controllo della Corte dei Conti sulla base dei criteri espressi dalla Corte Costituzionale a seguito di ricorsi delle regioni, in particolare: controllo esercitato non ex art. 100 ma ex artt. 81, 119, 27 e 28 della Costituzione, quindi controllo della Corte dei Conti garante dell’equilibrio economico sulla base dell’imparzialità della magistratura (criterio soggettivo); controllo con carattere collaborativo, quindi di garanzia (anche se tali caratteri attualmente non sembrano ancora fusi); ausiliarietà della Corte dei Conti nei confronti delle Autonomie; la Corte, infatti, non esercita più la funzione in senso autoreferenziale, bensì nell’interesse dell’organo controllato.

Nella Relazione dal titolo “Indirizzo e gestione delle Università” dell’Avv. Michele Di Pace, Capo di Gabinetto del MIUR, sono stati trattati diversi aspetti specifici di problematiche riconducibili al tema dell’autonomia universitaria, fornendo anche chiarimenti su alcuni profili della normativa di settore. Ad esempio in relazione alla razionalizzazione dell’offerta formativa, con riguardo alla proporzione fra numero dei Corsi e numero degli studenti al fine di evitare sovraffollamenti; alla riprogettazione dell’offerta formativa, come i corsi interfacoltà; al potenziamento degli strumenti a favore degli studenti, quali ad esempio corsi a distanza via internet o telematica o le lingue; ai programmi di internazionalizzazione per attrarre la mobilità degli studenti (es. sistema universitario mediterraneo); all’analisi del fabbisogno del personale docente e non docente, a tempo determinato o indeterminato, secondo una programmazione triennale.
Sotto tale ultimo profilo, al quale è stata attribuita particolare rilevanza, l’Avv. di Stato ha sottolineato che mentre la parte di fabbisogno del personale era prima definita secondo le contingenze del momento, le quali talvolta rimanevano disattese; attualmente la programmazione viene concepita in modo mirato. Ora, cioè, vi sono programmi complessi:
il Ministero avvia il processo (con gli indicatori concordati);
le Università propongono un programma triennale stabilendo il peso da dare alle linee generali fissate dal Ministero (entro il 30.06 di ogni anno);
il Ministero ogni anno alloca le risorse sulla base dei programmi;
la nuova normativa sulla programmazione prevede una valutazione e un monitoraggio dei risultati.
Ciò che conta sono i criteri del Ministero che devono essere predisposti contemporaneamente alla programmazione.
Sul finanziamento delle Università, si è precisato che vi è stato un trend positivo dei finanziamenti sino al 2005, mentre per il 2006 la finanziaria ha indicato una previsione inferiore.
Si è poi affrontata la questione delicata del potere di indirizzo del Governo, normativamente previsto, nei confronti delle Università, riconoscendo che tale tema sia di grande attualità. Alla domanda se questo potere sia legittimo, in presenza dell’autonomia universitaria, si è risposto in modo affermativo, sulla base della normativa vigente, in considerazione del fatto che gli enti pubblici svolgono la loro autonomia con le risorse finanziarie dello Stato.
La logica del Ministero è che ogni ateneo è libero di darsi una propria strategia, ma non può non darsi una strategia, se vuole ricevere i fondi statali.
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Il Rettore dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Prof. Finazzi Agrò, intervenuto nel Dibattito, ha svolto una serie di riflessioni sul tema generale del Convegno; in particolare si è soffermato sulla necessità che il MIUR regoli, vigilando, la concorrenza non al ribasso. Ha fatto osservare che, infatti, in Italia già il fatto che esistano 80 Università significa che, per mantenerle su standards di qualità e tali da garantire offerta sicura, il Ministero deve di fatto operare una scelta: o livellare in basso o garantire una distribuzione di competenze, ad esempio lasciando che solo alcune possano programmare e svolgere Corsi di dottorato, mentre altre garantire formazione solo triennale.
Infine, ha posto l’accento sul tema della mobilità dei docenti, assicurata solo dalla migliore offerta, in termini di qualità e servizi, da parte dell’Università ricevente, rispetto a quella dell’Università originaria del docente.

Le conclusioni del Convegno sono state affidate al Prof. Eugenio Picozza, il quale dopo aver fornito una sintesi “comparata” delle diverse relazioni del Convegno, ha svolto poi alcune profonde osservazioni sui diversi temi trattati, richiamando anche concetti e principi di ordine metagiuridico.
Muovendo dalla sociologia del diritto (Luhmann, Simon), ed in considerazione del principio della “interconnessione” dei diversi “sistemi”, ha posto l’accento sulla necessità di adottare tale principio anche per l’Università italiana, ritenendo che anche il “sistema universitario”, se non si interconnette, sia destinato a morire.
Secondo il Prof. Picozza occorre guardare all’art.33 Cost secondo una nuova impostazione che tenga conto dei “fatti sociali nuovi” che creano il diritto: la massificazione della popolazione scolastica e la esistenza del mercato, con le sue regole. In tale direzione, si osserva che il concetto di Autonomia universitaria ha subito delle trasformazioni, dovendo esso oggi farsi carico anche di altre realtà, quali ad esempio il ricorso sempre più marcato alla telematica, che annulla la lontananza territoriale e lo stesso territorio quale elemento fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle istituzioni universitarie.
Così la libertà deve essere vista non in chiave di alterità (auto- referenzialità), ma attraverso il dialogo, il partenariato pubblico- privato secondo il nuovo modello della sussidiarietà, per una società ormai differente rispetto a quella di Santi Romano, in cui la società chiusa era regolata dalla legge (che proveniva dall’alto) e dove il principio della gerarchia funzionava.
La società odierna, invece, parte dal basso. Non si parla più di governo (“government”), ma di governabilità (“governance”), ossia di capacità di governare il sistemi complessi, la governabilità evoca il potere di indirizzo e di gestione, questo è l’indirizzo della Comunità Europea che parla di politiche pubbliche. E’ la vera erede della classica discrezionalità, le esigenze della governabilità sono tali che la discrezionalità politica e di governo si fondono. Mentre prima era semplice la separazione tra poteri, oggi la governabilità si deve confrontare con i sistemi aperti ed interconnessi (es. conferenza di servizi), in quanto i sistemi sono interconnessi, sia all’interno che all’esterno. A ciò si aggiunge poi il confronto con il diritto comunitario, nonché il fenomeno della globalizzazione.
All’interrogativo se l’istruzione sia un concetto che riguardi anche l’Università, il Relatore ha individuato la risposta nella nuova norma costituzionale di cui all’art.117; ma ha aggiunto che il ruolo della norma oggi è in crisi e che sembra solo un lontano ricordo il modello di Società ancorata alla certezza, governata cioè dalla legge. L’idea che si suggerisce è quindi di leggere ed interpretare le pieghe della realtà nell’interconnessione dei sistemi.
Ricordando l’affermazione di Guarino, secondo il quale il diritto non è disciplina elastica ma consequenziale, la scelta giusta nella materia dell’autonomia universitaria, secondo il Relatore, potrebbe essere o la difesa nel modello pubblico della libertà d’insegnamento, oppure la scelta Statunitense, ove ognuno crea un proprio modello nella competizione. Ma per questo secondo modello il relatore sembra dubitare che il nostro Paese sia pronto.
In definitiva, come percorso da seguire, il Relatore propone due possibilità: consentire alle Università un’effettiva autonomia, eventualmente anche facendo leva sul sistema di contribuzione studentesca, con indubbio maggior sacrificio per gli studenti, ma con una compensazione derivante dalla possibilità di conseguire un miglior risultato finale; rivisitare in una logica di maggiore specificità la differenza fra l’assetto organizzativo, la ricerca, di base e applicata, e l’ insegnamento, lasciando ai docenti la possibilità di opzioni correlate all’impegno profuso. E’ questo un problema che non riguarda solo le Università ma la società stessa.

Rosa Rota, Vittorio Capuzza e Alessandro Chiauzzi