I nuovi Statuti delle Regioni Ordinarie e le leggi elettorali regionali – Resoconto convegno

06.11.2006

Lunedì 2 ottobre 2006 si è tenuta, presso l’Accademia dei Lincei, la presentazione dei risultati della ricerca “I nuovi statuti delle regioni ordinarie e le leggi elettorali regionali” e del relativo volume, curato da M. Carli, G. Carpani, A. Siniscalchi. La ricerca in questione, collocata nel quadro del Progetto Governance, un’iniziativa del Dipartimento della Funzione Pubblica in collaborazione con il Formez, è finalizzata ad accompagnare il processo di ammodernamento delle pubbliche amministrazioni, alla luce del nuovo quadro costituzionale. Le trentatré azioni in cui è articolato il progetto sono state individuate di concerto con le amministrazioni e strutturate in modo tale da fornire alle stesse un’assistenza diretta sul campo per l’adozione di strumenti di “buon governo”.
Il programma dei lavori del convegno prevedeva due momenti: un primo, al quale hanno partecipato alcuni autori coinvolti nella ricerca, rivolto ad esporre le riflessioni emerse dallo studio; a seguire, una tavola rotonda dal tema “Le Regioni dopo la riforma. Un percorso compiuto?” che ha visto la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni.
Dopo il saluto iniziale del prof. Giovanni Conso, Presidente dell’Accademia dei Lincei, Alessandro Pizzorusso, dell’Università degli studi di Pisa, ha introdotto il dibattito con una breve ricostruzione storica del regionalismo italiano, ripartita in quattro fasi. Il periodo costituente, durante il quale il rafforzamento delle autonomie fu volto a reagire al vicino ricordo dell’autoritarismo fascista e post-fascista: ne è, tuttavia, scaturita una carta costituzionale deficitaria di un preciso programma di realizzazione delle regioni. Quello immediatamente successivo, caratterizzato dalla mancata attuazione di tale quadro costituzionale complesso e incompleto, stallo causato da fattori di ordine politico quali la guerra fredda e la forza delle sinistre in alcune zone del paese. Gli anni Settanta, contraddistinto dall’inizio dello sviluppo del regionalismo, teso a realizzare le aspettative secondo cui è necessario «fare le regioni per riformare lo stato»; tuttavia l’invocata istituzione delle regioni non sortì gli effetti sperati. Infine la crisi istituzionale dei primi anni Novanta, che vede il fenomeno del regionalismo entrare nel dibattito, soprattutto ad opera di alcune formazioni politiche che chiedono una riorganizzazione del sistema e minacciano una secessione del Nord del Paese. In questo quadro si cerca una soluzione che vada incontro alle nuove istanze regionalistiche e, allo stesso tempo, non turbi troppo l’equilibrio costituzionale. Da questi intenti traggono l’origine le leggi costituzionali 1/1999 e 3/2001, oggetto di un aspro dibattito politico, riaccesosi in occasione dell’ultima proposta di riforma costituzionale, respinta con un referendum nella scorsa primavera. Pizzorusso quindi, non ritenendo convincente l’attuale Titolo V, ha concluso il suo intervento con l’auspicio che si avvii un nuovo processo di riorganizzazione che prenda le mosse dalla scrittura dei nuovi statuti regionali nelle regioni che ancora non vi hanno provveduto e che, eventualmente, non si fermi di fronte alla necessità di intervenire nuovamente su quelli già approvati.
Ha quindi preso la parola Alessandro Palanza, Vice segretario generale della Camera dei Deputati, il quale ha espresso un parere positivo sugli statuti nel complesso, ma si è poi soffermato sui problemi che questi presentano, frutto delle tensioni esistenti tra regioni e Corte Costituzionale, tra regioni ed enti locali e tra consiglio regionale e giunta. Il relatore ha, poi, osservato, a proposito delle tensioni tra i due organi di governo regionali, che gli statuti sono chiamati a sciogliere i nodi prodotti da una forte ondata di innovazione ed ha auspicato che i consigli regionali siano al centro nella ricerca di questo nuovo equilibrio per recuperare appieno il loro ruolo. Palanza ha, infine, osservato come anche a livello statale vi sia una certa difficoltà a riportare sul piano costituzionale alcune questioni politiche ed ha rivolto agli studiosi l’invito a rispettare i tempi, seppure lenti, della politica, pur non rinunciando a stimolarla.
L’intervento successivo è stato quello di Giovanni Pitruzzella, dell’Università degli studi di Palermo, che ha posto l’accento sulla scarsa “innovatività” degli statuti, facendo, in questo, riferimento alla “Sintesi della ricerca” stilata dai curatori del volume, Carli e Carpani, e all’intervento di Pizzorusso, il quale ha parlato dei nuovi statuti come più vicini alla concezione che ne emergeva nella Costituzione precedente alla riforma del 1999. Il relatore ha indicato come determinante la circostanza per cui, dato il contenuto della riforma costituzionale del 1999, alla scrittura dei nuovi statuti è stata sovrapposta la problematica della forma di governo regionale. Con la stesura dei nuovi statuti si presentava la possibilità di ribaltare la previsione dell’elezione diretta del presidente della giunta regionale, come da auspicio del presidente Elia1, secondo cui l’inedita forma presidenziale, scaturita da suggestioni populistiche, sarebbe presto stata abbandonata per ripristinare la democrazia rappresentativa. L’investitura popolare, secondo il relatore, avrebbe, infatti, rappresentato in Italia la risposta ai problemi di legittimazione dei partiti avutisi all’inizio degli anni Novanta. Questa sarebbe, tuttavia, stata imposta «dall’esterno»: dallo Stato alle regioni ed agli enti locali e, dal referendum del 1993, allo Stato stesso. Questa innovazione, a livello regionale, avrebbe provocato la perdita, da parte della classe politica, del «potere di crisi», rectius del «potere di ricatto della crisi», di cui la stessa era titolare quando il governo veniva formato dopo le elezioni. La stessa riforma costituzionale del 1999 aveva concesso alle formazioni politiche regionali lo strumento per rifarsi della perdita del «potere di crisi», seppur limitato dagli interventi del giudice costituzionale con le sentenze 304/2002 e 2/2004 in materia di statuti regionali. Tuttavia, in questi ultimi, il problema dell’equilibrio nel rapporto tra consiglio e giunta è affrontato in modo piuttosto “blando”; i consigli mantengono il potere legislativo, ma non si rileva un utilizzo innovativo di questo strumento. Pitruzzella ha, infine, preso in considerazione l’influenza di un fattore strettamente politico con un impatto rilevante sul processo statutario, vale a dire la mancanza di autonomia della classe politica regionale, in particolare a seguito della nuova legge elettorale statale che ha ulteriormente acuito la bipolarizzazione, la personalizzazione e la deterritorializzazione della lotta politica.
L’intervento di Arturo Siniscalchi, coordinatore del Progetto Governance, è stato diretto all’illustrazione della ricerca svolta, delle ragioni di fondo e dei risultati conseguiti. La denominazione del progetto Governance è stata scelta per alludere con questo termine al «buon governo condiviso per la realizzazione degli obiettivi». Siniscalchi ha, poi, motivato l’individuazione degli statuti regionali come oggetto della ricerca in questione, in quanto “specchio dell’indirizzo strategico” e soprattutto, strumento base per mostrare l’identità e il modello organizzativo adottato da parte di ognuna delle regioni. Il relatore ha, infine, rivolto la sua attenzione alle singole parti della ricerca esposte nel volume, di cui ha illustrato i caratteri fondamentali.
Con l’intervento successivo Massimo Carli, dell’Università degli studi di Firenze, ha espresso una posizione molto critica sul rafforzamento dell’autonomia e dei poteri delle regioni. Il relatore ha evidenziato come le regioni, in Italia, non abbiano un forte radicamento storico che ne giustifichi l’ampliamento dei poteri, bensì siano state tracciate sulla base dei territori per le rilevazioni statistiche, e come non sussistano particolari esigenze dettate da differenze etniche o linguistiche. Ha, inoltre, ricordato come il regionalismo non sia storicamente stato sostenuto da alcuna forza politica se non quando queste, trovandosi all’opposizione a livello statale, vedevano nella possibilità di ottenere il governo delle regioni un modo per recuperare la loro rilevanza. La disaffezione dei partiti verso le regioni è, secondo Carli, dimostrata anche dai condizionamenti nella politica regionale da parte dei partiti nazionali. Il relatore ha, poi, spostato l’attenzione su un altro aspetto problematico del governo della regione: il principio secondo cui il consiglio viene sciolto nel caso in cui approvi una mozione di sfiducia nei confronti del presidente e della giunta. In tale ipotesi il potere di ricatto che è nelle mani dell’esecutivo impedisce all’assemblea di svolgere il ruolo di controllo. Date queste circostanze, ipotizza Carli, sarebbe preferibile un sistema, come quello statunitense, in cui i due organi sono completamente indipendenti l’uno dall’altro, in quanto eletti separatamente e non legati da un rapporto di fiducia. Il relatore ha, inoltre, osservato come la debolezza del consiglio di fronte alla giunta non sia solo e tanto conseguenza della nuova forma di governo, ma fosse già rilevabile in precedenza: il ruolo subalterno di quest’organo discenderebbe, infatti, dalla debolezza delle strutture di supporto che ad esso fanno capo. Ciò comporterebbe l’incapacità del consiglio di sviluppare un’azione veramente incisiva per mancanza di canali d’informazione autonomi rispetto alla giunta. L’assemblea potrebbe, invece, essere la sede ideale di raccordo con la società, la cui partecipazione potrebbe, tra l’altro, permettere di elevare la qualità della normazione. Carli ha, poi, rivolto la sua attenzione alle regioni che non hanno ancora approvato il nuovo statuto, auspicando che si prendano dei provvedimenti nei loro confronti. Egli interpreta, invero, questa incapacità come un grave sintomo di debolezza e come una situazione inaccettabile, data l’inadeguatezza dei vecchi statuti rispetto alla nuova forma di governo e alle nuove funzioni introdotte dalle riforme costituzionali del 1999 e del 2001. Il relatore ha concluso il suo intervento affermando che non è possibile parlare di un percorso compiuto quanto al riassetto delle regioni: l’inattuazione del principio di sussidiarietà da parte dello Stato, e quindi la mancata allocazione delle funzioni ai comuni, crea il paradosso per cui le regioni hanno competenza legislativa su materie in cui la competenza amministrativa spetta allo Stato, inibendo così, di fatto, la normazione. La mancata allocazione delle funzioni, inoltre, rende impossibile la realizzazione dell’agognato “federalismo fiscale”.
Con l’intervento di Massimo Carli si è conclusa la prima parte dei lavori che sono ripresi con la tavola rotonda introdotta e presieduta dal Presidente del Formez, Carlo Flamment. Questi ha enucleato le tematiche che caratterizzano, oggi, il dibattito scientifico-istituzionale. A proposito dell’organo consiliare la discussione è stata incentrata su eventuali proposte per rinforzarlo di fronte all’esecutivo, sulla sua composizione numerica, sull’irrobustimento delle strutture di sostegno in funzione di una maggiore efficienza, sulle forme di partecipazione dei cittadini e, infine, sull’opportunità di sciogliere i consigli regionali che entro un certo tempo non si rivelino capaci di approvare un nuovo statuto. Quanto al rapporto tra regione ed enti locali Flamment ha sottolineato la rilevanza del ruolo dei consigli delle autonomie locali oltre che, più in generale, del corretto modo di gestire le relazioni tra i diversi livelli di governo. Il moderatore ha, inoltre, stimolato il dibattito su due specifiche questioni relative agli statuti: l’introduzione e il ruolo degli organismi di garanzia a livello regionale e la valenza delle norme programmatiche ivi contenute.
Il primo a prendere la parola nella seconda sessione dei lavori è stato Alessandro Tesini, Coordinatore della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali e delle Province autonome. Questi ha evidenziato lo sforzo che le assemblee regionali hanno realizzato nella composizione dei problemi complessi che si sono presentati negli ultimi anni. Il relatore non nega che le regioni abbiano mancato molte occasioni e abbiano commesso degli errori ma, nel complesso, ritiene non meritino un giudizio peggiore rispetto a quello medio da conferire a tutti gli altri soggetti coinvolti in questa difficile stagione di attuazione delle riforme costituzionali. Tesini ha, poi, espresso un parere positivo sul metodo fatto proprio dall’attuale governo nazionale, che ha avviato una fase di ricognizione e confronto con le regioni, passaggio inevitabile all’indomani di un referendum costituzionale che ha avuto un esito differenziato sul territorio nazionale. Il relatore ha, dunque, individuato un ostacolo alla risoluzione di molti problemi nella mancata attuazione della riforma costituzionale del 2001, ritenendo ormai «metabolizzata» quella del 1999. In conclusione del suo intervento, Tesini ha invitato i consigli regionali a migliorare i propri regolamenti di organizzazione per far sì che permettano una migliore performance nelle funzioni di indirizzo e di controllo, oltre che in quella legislativa.
Successivamente Gianpiero Scanu, Sottosegretario per le Riforme e Innovazioni nella Pubblica amministrazione, ha riconosciuto alle regioni una raggiunta “maturità”. Il relatore ha criticato la posizione di chi, a suo avviso, ritiene che le regioni siano un’istituzione così giovane da abbisognare di una particolare forma di tutela e controllo, e da non esser capaci di portare a termine un compito delicato come quello di dotarsi di uno statuto. Il relatore ha, dunque, rivolto ai presenti l’invito a vedere le regioni come una conquista democratica e non come un incidente storico, e a non assumere un atteggiamento di cirtica nei confronti di quelle regioni che non hanno provveduto ad approvare lo statuto, tenuto conto che neppure lo Stato è ancora stato capace di attuare la Costituzione. Scanu ha, quindi, auspicato che si intensifichi, presso le regioni, l’attività politica e programmatica, che veda come protagonisti il presidente – garante di una proposta politica – e il consiglio – titolare del potere di controllo – per impedire una “dittatura della maggioranza”.
Ha fatto seguito l’intervento di Luciano Violante, Presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, il quale ha esordito rendendo nota la volontà della commissione da lui presieduta di riprendere il cammino post-referendario delle riforme svolgendo delle udienze conoscitive collegiali. Ad essere interessati da questa attività saranno, separatamente, Confindustria, sindacati, regioni ed enti locali, ed esponenti del mondo scientifico. A questi soggetti sarà chiesto un confronto su temi specifici. a) La ripartizione delle competenze tra Stato e regioni; Violante, in proposito, si è espresso a favore dell’eliminazione della competenza concorrente in quanto fonte di difficoltà insormontabili. b) L’individuazione del soggetto responsabile del governo nei rapporti tra Stato e regioni; oggi questo ruolo è svolto dalla Corte costituzionale che si sta trasformando da “giudice dei diritti” in “arbitro dei conflitti”. Se questo è fisiologico in uno Stato federale, in Italia è reso patologico dalla poca chiarezza delle norme. Secondo il relatore, a regolare i rapporti tra i due livelli di governo dovrebbe essere una delle camere, ferma restando l’esigenza, in tal caso, di bilanciare il potere di quest’ultima nell’iter legislativo con il non essere portatrice di un suo indirizzo politico. c) L’attuazione delle disposizioni su Roma capitale e le città metropolitane. d) Il “federalismo fiscale”. Il relatore ha, dunque, rivolto la sua attenzione al problema della crisi della rappresentanza, sorta dalla necessità di prendere decisioni in tempi più rapidi. Da ciò trarrebbe parte della sua forza la figura del presidente della regione, organo monocratico e, quindi, a più chiara vocazione decisoria, soprattutto nel caso in cui si trovi a confrontarsi con un’ assemblea che manca di un adeguato regolamento: l’organo rappresentativo fallisce, in tal caso, come organo decisorio. Violante ha concluso il suo intervento con l’invito ad una scelta chiara a proposito della forma di stato in Italia.
Ha successivamente preso la parola Andrea Abbamonti, in rappresentanza della I Commissione Affari istituzionali e generali della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Questi ha convenuto con Violante sull’esigenza, all’indomani del referendum, di scegliere tra l’attuazione della costituzione vigente e una riforma della stessa, oltre che sull’opportunità di eliminare dall’ordinamento la potestà legislativa concorrente, possibilmente sostituendola con una legislazione cedevole dello Stato rispetto a quella regionale. Il relatore, nell’affrontare la tematica del riassetto delle autonomie locali, considera come punti cardine l’elaborazione del nuovo Testo unico degli enti locali, chiamato a stabilire le funzioni fondamentali e il riparto delle competenze, e la riforma del sistema delle conferenze, che auspica si trasformino da «sede di analisi di progetti» in tavoli politici. Abbamonti ha, poi, concluso il suo intervento ritenendo che il ritardo delle regioni nell’approvazione di nuovi statuti sia determinato dal conflitto latente tra esecutivi e assemblee. Infine il relatore ha espresso l’auspicio che la legge elettorale debba essere collegata all’approvazione dello statuto o, per lo meno nella medesima legislatura.
A concludere la tavola rotonda è stato l’intervento del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, la quale ha messo in relazione l’”incompiutezza” della stagione statutaria con il mancato consolidamento del quadro costituzionale. Ha, quindi, sottolineato come sia necessario un impegno condiviso per “rimettere in moto” l’attuazione della riforma del Titolo V, che fino ad ora ha riscosso un’attenzione non uniforme sui diversi temi. Il ministro ha espresso il suo parere sull’argomento che è stato al centro del convegno: il rapporto tra giunta e consigli regionali. La relatrice riconduce questo fenomeno alla mancata delega di funzioni agli enti locali, che ha fatto sì che enti a vocazione legislativa, quali le regioni, abbiano conservato competenze amministrative, determinando in tal modo un turbamento dell’equilibrio tra un’assemblea, ormai priva di identità, e una giunta titolare di un potere di governo troppo forte. A contribuire ad alterare il ruolo dell’esecutivo regionale potrebbe essere stata l’adozione dell’elezione diretta per il presidente della giunta, rafforzando così la tendenza, da parte di quest’organo, a mantenere un rapporto più diretto con il cittadino e, quindi, ad impegnarsi sempre più in funzioni di prossimità. La Lanzillotta ha, quindi, suggerito come metodo risolutivo il ritorno della regione al proprio ruolo di programmazione, che potrà aversi solo a seguito dell’allocazione delle funzioni in applicazione del principio di sussidiarietà. Il ministro ha, inoltre, fatto riferimento alla stesura della “Carta delle autonomie locali” come sede in cui costruire un sistema orizzontale o a rete, ai sensi dell’art. 114, Cost., nel quale si ponga l’accento sul principio di adeguatezza, se necessario ricorrendo anche alla separazione tra titolarità ed esercizio delle funzioni. La relatrice ha auspicato una riforma del sistema delle conferenze che le renda sedi in cui le istituzioni, pariordinate, concorrano a costruire strategie comuni nelle materie più significative, quali ad esempio turismo e sanità, storicamente di competenza delle regioni, nelle quali è tuttavia impensabile escludere l’intervento dello Stato, per poter così eliminare le materie concorrenti. Il ministro, nell’affrontare il tema del “federalismo fiscale”, ha spiegato come la legge finanziaria presentata dall’attuale governo valorizzi l’autonomia fiscale e la compartecipazione; ha, inoltre, individuato quale giustificazione dei ritardi nell’attuazione dell’art. 119, Cost. la circostanza che la politica economica deve muoversi nei rigidi vincoli dell’alto debito pubblico, del dualismo tra nord e sud del paese e di una crescita dell’economia minore della media europea. Ha, infine, sottolineato che l’autonomia presuppone la capacità delle amministrazioni di gestire procedimenti complessi e, quindi, che è necessaria la messa a punto di un’opera di supporto che le metta in condizioni di sostenere un’azione di governo adeguata.

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1 Espresso nella prefazione del volume di M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni. Verso le Costituzioni regionali?, Bologna, 2002.

Gabriella Angiulli