La riforma elettorale: referendum e proposte parlamentari – Resoconto convegno

04.12.2006

Roma, 4 dicembre 2006

Il 4 dicembre 2006 si è svolto a Roma presso il palazzo della RAS un incontro di studio organizzato dal Comitato promotore del referendum sulla legge elettorale, per aggiornare lo stato dell’iter delle proposte referendarie e per rendere conto anche delle prime reazioni che ne sono seguite.

I lavori sono stati introdotti dal prof. Giovanni GUZZETTA, presidente del Comitato, che ha ricordato il deposito dei due quesiti referendari lo scorso 24 ottobre. Il primo è teso ad “eliminare” le coalizioni, consentendo l’assegnazione del premio di maggioranza alle sole liste “singole”, con l’intento di favorire l’aggregazione tra le forze dei due schieramenti e “scardinare” il meccanismo della legge elettorale del 2005. Il secondo quesito si incentra invece sulla cancellazione della possibilità delle candidature multiple, che hanno favorito una ancor maggiore selezione degli eligendi da parte delle segreterie dei partiti.
È previsto che la raccolta delle firme dovrebbe cominciare nei mesi di marzo o aprile del 2007, per poi arrivare nel 2008 al giudizio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale e, eventualmente, al referendum in primavera.
Fino a questo punto possono considerarsi raggiunti due obiettivi:
– un interessamento alla questione assolutamente bipartisan, che permette di evitare facili strumentalizzazioni in caso di coinvolgimento di una sola parte politica;
– l’aver evitato la completa oscurazione mediatica, anche grazie ad un dibattito che sul tema è risultato acceso, sebbene estremamente frammentato.
Ad un dibattito acceso sulla stampa si contrappone tuttavia una iniziativa politica parlamentare ancora allo stato larvale, per cui è possibile dire che, essendo ancora aperte tutte le ipotesi possibili di riforma, in realtà nessuna di queste è stata affrontata in concreto.
Si registra un intervento di particolare rilievo da parte del Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, on. Chiti, che ha definito precoce e destabilizzante l’iniziativa referendaria. Di tutt’altro accento appare la reazione del Presidente della I Commissione della Camera dei deputati, on. Violante, che ha espresso la necessità di attendere la conclusione della raccolta delle firme per poter iniziare un effettivo percorso di analisi della proposta. Anche la recente dichiarazione dell’on. Fassino, che ha parlato di “crisi di sistema”, risulta di un certo interesse.
A fronte di dichiarazioni così controverse provenienti dalla maggioranza parlamentare, il Presidente del Comitato promotore ha invece rimarcato la natura non estemporanea dell’iniziativa, che viene vista iscriversi in un processo almeno decennale, iniziato nei primi anni ’90 e teso al raggiungimento di una compiuta democrazia dell’alternanza. Si aggiunge oggi un ulteriore obiettivo, che consiste nel combattere l’eccessivo frazionamento della scena politica e partitica, elemento aggravato estremamente dall’ultima riforma elettorale.
Da questo punto di vista non si può guardare con favore, da parte del Comitato, a proposte simili a quella formulata dal prof. D’Alimonte – che prospettava un recupero del sistema elettorale del Senato vigente tra il 1993 e il 2005, “estendendolo” anche alla Camera – poiché finirebbe con il rafforzare l’anomalia italiana di un bicameralismo assolutamente paritario. Parimenti, l’ipotesi da ultimo sollevata dall’on. Casini di in una sorta di mutuazione del sistema proporzionale tedesco, con alcuni correttivi, non sembrerebbe soddisfacente, poiché aprirebbe la strada ad un ritorno alle esperienze del pentapartito degli anni ’80.

Nel secondo intervento, il prof. Angelo PANEBIANCO ha cercato di rispondere alle prime obiezioni che sono state formulate sul possibile risultato dei quesiti.
Da una parte si è obiettato che la normativa di risulta costituirebbe un sistema elettorale che permetterebbe la formazione di maggioranze diverse nelle due Camere. La contro-obiezione del prof. Panebianco è stata diretta a sottolineare che in un qualunque sistema bicamerale in cui si voti con due schede (una per ciascuna Camera) è sempre possibile la formazione di maggioranze discordanti.
Una obiezione di maggior consistenza è stata formulata, invece, dall’on. Franceschini, capogruppo dell’Ulivo alla Camera. In una dichiarazione l’on. Franceschini ha sostenuto che, quale che sia il sistema elettorale, i partiti tendono ad adattarsi ad esso e quindi, ove a seguito del referendum il premio di maggioranza si assegnasse alle liste (e non più alle coalizioni), si assisterebbe conseguentemente alla formazione di “listoni”, ovvero di cartelli elettorali finalizzati unicamente al raggiungimento del massimo risultato elettorale, senza magari sottendere un progetto politico per l’avvenire. La contro-obiezione, su questo punto, è stata basata sul fatto che sarebbe comunque necessario (per quanto tacito) un accordo tra i due schieramenti, teso ad un parallelo percorso di costruzione di tali soggetti elettorali, e che tale accordo non è ritenuto affatto scontato. In secondo luogo, nell’obiezione non si terrebbe conto dell’abbattimento del potere di ricatto dei piccoli partiti, che non potrebbero lucrare sui risultati conseguiti – per quanto esigui –, dato che questi non sarebbero visibili.
In ogni caso, ad opinione del relatore, lo scenario politico del referendum sarebbe chiaro solo nel giorno in cui (eventualmente) arrivasse la pronuncia di ammissibilità del referendum da parte della Corte costituzionale. All’indomani di questa sentenza i quattro partiti maggiori avrebbero davanti due possibilità distinte per l’adozione di una legge elettorale che sia ispirata ai principi dei quesiti proposti: potrebbero appoggiare il referendum o magari dare il via ad una trattativa (soprattutto) al loro interno al fine di una riforma della legge stessa che eviterebbe la consultazione.
Non si possono tuttavia sottovalutare né la possibilità che si arrivi ad uno schieramento compatto per l’astensione, finalizzato al fallimento del referendum, né una presa di posizione radicale che porti allo scioglimento anticipato ed allo slittamento dello stesso.

La prof.ssa Ida NICOTRA GUERRERA si è soffermata sull’analisi dei quesiti, ritenuti omogenei ed aventi ciascuno una matrice unitaria, e sulla normativa di risulta, che sarebbe già auto-applicativa, senza necessitare di ulteriori interventi.
A giudizio della relatrice i quesiti posseggono il merito di soffermarsi sulla questione ritenuta di maggior rilievo, ovvero sulla frammentazione del sistema partitico. Nell’analisi della frammentazione, infatti, si è spesso dimenticato che la legge del 1993 non ha fatto altro che peggiorare le cose, “ereditando” cinque o sei partiti nel 1993 e restituendone una cifra enormemente superiore nel 2001.
Occorre una logica di semplificazione nel meccanismo elettorale che, tuttavia, potrebbe risultare vanificata dai meccanismi dei regolamenti parlamentari, che permettono la formazione di gruppi in maniera quasi assolutamente indipendente dalle formazioni partitiche della competizione elettorale.
Si coglie nella fase attuale una forte responsabilità politica nell’ultimare un processo di razionalizzazione del sistema che appare incompiuto, ma che potrebbe non essere del tutto compromesso, anche se l’intesa delle parti appare tanto necessaria quanto difficile.

Il prof. Stefano CECCANTI ha proposto in apertura del suo intervento una suggestione secondo cui il referendum si proporrebbe coma una saldatura tra il cd. “popolo delle primarie” del centrosinistra – e, al suo interno, quella parte che scelse Romano Prodi come leader della coalizione – e la recente manifestazione romana del centrodestra, cui hanno preso parte Forza Italia, Alleanza nazionale e la Lega nord. In tutte e due le parti dello scenario politico, infatti, si registra una forte domanda di aggregazione verso due grandi macro-partiti capaci di catalizzare la massima parte dell’opinione pubblica.
L’obiettivo del primo quesito referendario di costringere a presentarsi sotto un unico simbolo, a parere del relatore non deve essere sottovalutato. Infatti è già accaduto in passato che cartelli meramente elettorali si trasformassero in formazioni politiche più o meno stabili. È il caso ad esempio del simbolo dell’Ulivo, utilizzato per la prima volta nella scheda relativa alla parte maggioritaria dell’elezione della Camera nel 1996, ed ora simbolo del costituendo Partito democratico. Sul punto si può richiamare anche l’esperienza della Margherita nel 2001, nato come cartello elettorale degli alleati centristi del Democratici di sinistra e poi divenuto partito negli anni seguenti.
Distinguendosi dai precedenti relatori, il prof. Ceccanti ha espresso un giudizio non completamente negativo sull’ipotesi di recuperare la legge elettorale per il Senato del 1993, estendola anche alla Camera.

L’ultimo relatore è stato il prof. Gianfranco BALDINI, che ha presentato un’analisi comparata di tre profili di interesse nella prospettiva referendaria, ovvero del pluralismo interno ai grandi partiti, della prospettiva organizzativa e della rappresentanza che questi possono offrire al pluralismo presente nella società.
Dal primo punto di vista, appaiono estremamente interessanti gli indici di cd. “coesione parlamentare”, ricavabili dal voto in dissenso dal proprio gruppo da parte dei singoli parlamentari. Anche in una esperienza come quella del Parlamento di Westminster, che vede la presenza dei “frustatori”, esistono casi di parlamentari che si esprimono in oltre un quarto delle votazioni dissentendo dal proprio gruppo.
Sotto il secondo profilo, attinente alla dimensione organizzativa dei partiti, si registrano specificità nazionali dalle quali è però possibile trarre dati di tendenza generale. È il caso, ancora, del Regno Unito e del Labour Party, che ha subito una profonda ristrutturazione organizzativa in cui sono state marginalizzate le Trade Unions ed è stata enormemente ridimensionata l’importanza dei Congressi annuali in cui si definiva il programma e la strategia politica e parlamentare. A seguito di questi fenomeni si è assistiti ad un crollo degli iscritti ed alla esaltazione della leadership. Anche in Francia si è verificato qualcosa di analogo, ad esempio in un partito come quello socialista, fino a pochi anni fa diviso in tradizionali correnti e che recentemente ha sperimentato il metodo delle primarie dalle quali è uscita vincitrice una esponente completamente diversa dalla tradizione del partito come la Royal.
Sotto l’ultimo profilo, riguardante la capacità di rappresentare il pluralismo sociale, è evidente ovunque un netto calo dei partiti che si basano su una sola frattura ideologica, come i partiti di classe.

Dal dibattito conclusivo sono emersi alcuni altri interessanti spunti di riflessione sui temi del referendum. In particolare è stato sottolineato come l’iniziativa dovrebbe essere considerata come un primo passo verso una generale armonizzazione dei diversi sistemi elettorali esistenti in Italia che, sebbene partiti da una comune radice proporzionalistica, risultano oggi estremamente diversificati al loro interno.
Un ulteriore profilo problematico riguarda il fatto che i quesiti non sciolgono (non potendo) uno dei nodi più intricati della questione, ovvero quello delle liste bloccate. Anche se queste hanno avuto il merito di ridurre enormemente i costi della politica, non si può non sottolineare che la loro applicazione ad ampie circoscrizioni plurinominali crei una stridente frizione con la selezione democratica della rappresentanza.
Infine, è stato rilevato come il clima politico sia estremamente diverso da quello del 1993 e che questo costituisca una ulteriore difficoltà nell’affrontare un discorso eminentemente anti-partitocratico, soprattutto nel quadro di una situazione di equilibrio sub-ottimale che l’ultima riforma elettorale ha determinato.

Giovanni Piccirilli