di Laura Lamberti
Sommario: 1. Le diverse prospettive giuridiche della disciplina del gioco pubblico. – 2. Semplificazione amministrativa, evoluzione tecnologica e coerenza complessiva del sistema. – 3. Il ruolo del principio di proporzionalità nella verifica della legittimità dell’azione amministrativa. – 4. L’equilibrio tra principio di autoresponsabilità, strumenti tecnologici e proporzionalità della decisione.
1. Le diverse prospettive giuridiche della disciplina del gioco pubblico.
La disciplina nazionale del gioco distingue il gioco lecito, regolamentato da un complesso intreccio di norme statali e regionali e il gioco illecito che si muove oltre questo confine. In termini generali, premesso il regime di privativa statale, il gioco lecito può essere esercitato previa autorizzazione o concessione, in base all’art. 88 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (cd. “TULPS”). Ove questo non accada soccorre la previsione della sanzione penale per l’esercizio abusivo del gioco lecito. Si tratta di un tema che offre numerosi spunti di riflessione rispetto a profili che si muovono anche in antitesi tra loro. Il riferimento è per un verso alla tenuta del sistema rispetto ai principi euro-unitari di apertura dei mercati ed osservanza delle disposizioni degli artt. 49 e 56 TFUE, in una prospettiva, quindi, incentrata sull’imprenditore che voglia divenire esercente nel settore, dall’altro al problema della prevenzione e terapia della dipendenza da gioco patologico, in un’ottica generale di tutela della salute e in una prospettiva incentrata, invece, sul singolo fruitore in particolare delle Video Lottery Terminal. A questi profili si aggiunge, infine, il rilievo relativo alle ingenti entrate che derivano dal gioco d’azzardo lecito nel nostro ordinamento grazie al sistema di privativa appena ricordato.
2. Semplificazione amministrativa, evoluzione tecnologica e coerenza complessiva del sistema.
Appare chiaro che le regole sostanziali e procedimentali che sovrintendono il rilascio dei titoli abilitativi, così come quelle relative all’iscrizione nei relativi elenchi, hanno una valenza centrale per assicurare un equilibrio tra le diverse esigenze appena illustrate che, come visto, si pongono in rapporto di reciproca tensione. Tale disciplina procedimentale, inoltre, non è rimasta estranea alle semplificazioni e alle evoluzioni tecnologiche che hanno interessato tutti i contesti dell’agire amministrativo. Così in relazione al procedimento per l’iscrizione nello specifico elenco di cui all’art. 1, comma 533 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, il decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze al quale la norma demandava il compito di stabilire gli ulteriori requisiti e le ulteriori disposizioni applicative per la tenuta dell’elenco, l’iscrizione e la cancellazione, ed anche, per quanto qui specificamente interessa, i tempi e le modalità per effettuare il versamento del contributo dell’ammontare di 150 euro (al quale è subordinata l’iscrizione) ha stabilito una specifica procedura automatizzata. In particolare il comma 533-bis postulava la previa verifica del possesso, da parte dei richiedenti, della licenza di cui agli artt. 86 o 88 TULPS, della certificazione antimafia e dell’avvenuto versamento della somma di 150 euro e il decreto direttoriale dell’AAMS del 9 settembre 2011, n. 31857, successivamente modificato con deliberazione dell’AAMS del 22 dicembre 2014, n. 104077, ha previsto che “I soggetti che intendono iscriversi all’elenco con modalità telematica o rinnovare l’iscrizione, devono prioritariamente richiedere le credenziali per l’accesso al sistema informatico di gestione dell’elenco, tramite l’apposita area sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Utilizzando le credenziali, i predetti soggetti accedono ad un’area riservata sul sito medesimo e compilano lo specifico modulo, ivi disponibile, per l’iscrizione o il rinnovo. Il suddetto modulo deve essere compilato in tutte le sue parti, dichiarando, in regime di autocertificazione, ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, il possesso di: a) licenza di cui all’articolo 86 o 88 del T.U.L.P.S., e successive modificazioni; b) comunicazione antimafia prevista dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159. c) quietanza che attesti il versamento della somma di euro 150,00 (euro centocinquanta/00), da effettuarsi tramite modello F24 accise, codice tributo n. 5216”. Si tratta quindi di una procedura che, in modo del tutto coerente con l’evoluzione degli ultimi anni, prevede da un lato l’utilizzo dell’autocertificazione per l’attestazione degli stati e delle qualità richiesti dalla norma e dall’altra utilizza un sistema integralmente automatizzato. Rispetto a questo ordito normativo il Tar del Lazio è stato chiamato a risolvere una controversia concernente la cancellazione dall’elenco degli operatori economici di cui all’art. 1, comma 533, lett. c) a causa della verificata insussistenza dell’effettivo possesso della quietanza di pagamento del tributo, che era stata tuttavia autocertificata sulla base del solo versamento mediante on-banking, ma in assenza di un riscontro dell’incasso da parte dell’amministrazione. La vicenda pone il problema di individuare un punto di equilibrio tra il rispetto del principio di autoresponsabilità, che sottende il sistema dell’autocertificazione e che si fonda sulla necessità che quanto dichiarato sia veritiero, e la possibilità che una dichiarazione parzialmente corretta, come quella relativa all’aver effettuato il versamento del tributo del quale non si possiede quietanza come autodichiarato, possa non essere sanzionata con la cancellazione dal registro. L’individuazione di tale punto di equilibrio è ulteriormente complicata dall’automatizzazione della procedura sotto il duplice profilo della modalità di pagamento e della stessa iscrizione al registro. Per risolvere la questione i giudici amministrativi hanno fatto riferimento all’applicazione del principio di proporzionalità che ha acquisito un’importanza crescente in ordine alla verifica della legittimità dell’agire amministrativo, anche se come si dirà, nella vicenda in esame la sua applicazione non appare del tutto coerente.
3. Il ruolo del principio di proporzionalità nella verifica della legittimità dell’azione amministrativa.
Come noto il principio di proporzionalità, nella sua primigenia formulazione di autolimite all’azione dello Stato, viene ricondotta al Diritto di Polizia tedesco ed al notissimo caso Kreuzberg del 1882 nel quale si afferma la necessità che la compressione della sfera giuridica dei singoli sia realizzata attraverso il mezzo meno invasivo e senza superare quanto sia strettamente necessario per il perseguimento della pubblica finalità. È in questo àmbito che, nell’approfondimento della consistenza e degli elementi costitutivi del principio, sono stati identificati tre profili, corrispondenti a tre stadi successivi di verifica, che devono sussistere perché il principio di proporzionalità, in relazione ad una determinata decisione dell’autorità, possa dirsi rispettato: l’idoneità, intesa come capacità del mezzo prescelto al raggiungimento dello scopo; la necessarietà intesa come non sostituibilità del mezzo utilizzato a favore di uno diverso, altrettanto idoneo, ma che incida meno negativamente nella sfera giuridica dei soggetti coinvolti; la proporzionalità in senso stretto o adeguatezza consistente nella verifica che la misura scelta non sia eccessiva quanto all’impatto nella sfera dei soggetti coinvolti o comunque determinante un sacrificio per loro intollerabile. Dall’esperienza tedesca la Corte di giustizia attraverso il metodo della comparazione giuridica ha mutuato il principio di proporzionalità in àmbito europeo riconoscendogli un ruolo fondamentale ed includendolo nel novero dei principi generali del diritto. Dopo il susseguirsi dei Trattati, recanti espresse previsioni del principio di proporzionalità, questo ha assunto valenza costituzionale ed è attualmente disciplinato dall’art. 5 TUE, dall’art. 5 del Protocollo n. 2 ed anche dall’art. 52, comma 1, della Carta di Nizza. Nell’ambito del nostro ordinamento il principio di proporzionalità è stato oggetto di un progressivo interesse da parte della dottrina e di una crescente applicazione da parte della giurisprudenza inserendosi nel solco delle decisioni relative al sindacato per eccesso di potere. Si può in proposito richiamare l’importanza che i princípi generali assumono nel contesto del diritto amministrativo in relazione all’esercizio del potere e specificamente del potere discrezionale. I giudici amministrativi, nell’esercitare il loro ruolo di verifica dell’operato della pubblica amministrazione hanno concorso a definire i canoni che essa deve rispettare nella sua azione. La giurisprudenza amministrativa ha compiuto in proposito un continuo e costante cammino sul quale, si è innestata, l’applicazione del principio di proporzionalità che, attraverso la verifica trifasica sopra richiamata consente di sindacare la scelta operata dall’amministrazione.
4. L’equilibrio tra principio di autoresponsabilità, strumenti tecnologici e proporzionalità della decisione.
Per il corretto inquadramento del tema occorre adesso richiamare la giurisprudenza amministrativa in materia di dichiarazioni non veritiere rese in sede di autocertificazioni. Sul punto è stato chiarito che il d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 rappresenta “il punto di emersione del principio di autoresponsabilità, che è il cardine fondamentale dell’intera disciplina in materia di dichiarazioni sostitutive.” La corretta applicazione delle richiamate disposizioni esclude, quindi, la possibilità che il privato possa ottenere qualsiasi vantaggio da dichiarazioni che non siano veritiere essendo l’amministrazione vincolata a trarre dalla falsità della dichiarazione le conseguenze decadenziali previste dalla legge, a prescindere dalla condizione soggettiva del dichiarante. In particolare, è stata affermata l’assoluta mancanza di discrezionalità in capo all’amministrazione rilevando esclusivamente la non veridicità di quanto autodichiarato sotto un profilo meramente oggettivo (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 23/07/2020, n.8622; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 07/11/2019, n.5290). La vicenda scrutinata dal TAR Lazio si caratterizza, infine, per alcuni tratti di specificità legati all’utilizzazione del sistema automatizzato che conferendo certezza all’avvenuto pagamento, pur non rendendo veritiera la dichiarazione circa il possesso della quietanza, dimostra il compimento di quanto necessario perché essa lo diventi. È ormai dato acquisito che il progresso tecnologico e la nuova dimensione digitale della relazione tra cittadino ed amministrazione ha velocizzato e semplificato lo scambio di informazioni ma ha anche arricchito il rapporto di nuove complessità. Così realizzando una sintesi coerente tra i concorrenti principi di autoresponsabilità, utilizzo degli strumenti telematici e proporzionalità il TAR ha deciso che “nel caso di specie l’inadeguatezza del mezzo rispetto al sacrificio imposto sussisterebbe anche in presenza di uno strumento in ipotesi necessario poiché il sacrificio che da esso deriva non può ritenersi comunque tollerabile se raffrontato a quello che subirebbe, specularmente, l’amministrazione procedente”. La II Sezione prosegue spiegando che “a fronte della cancellazione immediata dell’iscrizione dall’elenco e quindi dell’impossibilità per l’operatore di svolgere l’attività economica, l’amministrazione non riceverebbe alcuna apprezzabile utilità sia perché la cancellazione disposta per il mancato incasso del tributo al momento della dichiarazione di versamento non tutela un suo apprezzabile interesse istituzionale, sia perché, ove dovesse sussistere un interesse di tal genere, la ragione che fonda la cancellazione in realtà non sussiste più al momento dell’adozione del provvedimento restrittivo” A tali profili si aggiunge la necessità di poter richiamare l’errore scusabile in merito alla dichiarazione di aver pagato, muovendo dalla considerazione che l’aver effettuato il pagamento tramite on banking sicuramente può indurre a confidare che tale pagamento sia andato a buon fine. A conforto delle conclusioni cui è giunto il Tar, e che si auspica saranno confermate se la questione venisse riproposta in appello, si pone anche l’evoluzione normativa che si è registrata sulla materia. L’art. art. 27, comma 4, del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, conv. in legge n. 157 del 2019, infatti, ha sostituito l’elenco di cui all’articolo 1, comma 533, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con il “Registro Unico degli operatori di gioco pubblico”, ed ha previsto, per l’iscrizione, requisiti sostanzialmente identici a quelli precedentemente previsti, stabilendo al comma 6 che “l’omesso versamento della somma di cui al comma 4 può essere regolarizzato, prima che la violazione sia accertata, con il versamento di un importo pari alla somma dovuta maggiorata di un importo pari al 2 per cento per ogni mese o frazione di mese di ritardo”. La previsione di tale forma di ravvedimento operoso fa emergere l’intento di considerare l’eventuale mancato incasso del tributo come un elemento che non preclude la permanenza dell’iscrizione, in ragione del fatto che esso può essere sanato. Il Tar conclude infatti rilevando che “in una fattispecie in cui non vengono in emersione esigenze di tutela del mercato e della concorrenza, sarebbe contrario al principio di ragionevolezza disporre la cancellazione dall’elenco sulla base di un presupposto meno grave (disallineamento tra la data del versamento del tributo e quella del suo incasso) rispetto ad un presupposto ben più grave (mancato versamento del tributo) che, al ricorrere delle altre condizioni esposte, il legislatore ha espressamente escluso quale causa della cancellazione”.