In tema di servizi pubblici, la legge di bilancio per il 2018 prevede anche norme specifiche destinate al settore postale. Scopo delle misure in esame è, in particolare, quello di promuovere una sempre maggiore coesione territoriale e sociale – rispetto alla quale sono essenziali interventi diretti sulle attività economiche qualificabili come di pubblica utilità –, riducendo, al contempo, tutti quei fattori in grado di ingenerare discriminazioni tra gli utenti. Il perseguimento di questo duplice obiettivo (in positivo e in negativo), è dunque rimesso ad una serie di strumenti che mirano, da un lato, ad estendere – dal punto di vista della sua dimensione operativa – il perimetro del servizio postale universale; dall’altro, ad accrescere la capacità degli enti locali di promuovere, in tale settore, un concreto potenziamento dei sevizi resi all’utenza.
Nel primo caso, ai sensi dell’art. 1, comma 462 è prevista ora la possibilità che il contratto di programma tra Ministero dello sviluppo economico e il fornitore del servizio postale universale (ad oggi, Poste Italiane s.p.a.) contempli, su richiesta di una delle parti, anche «le attività di raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione di invii postali fino a 5 chilogrammi». Una facoltà “integrativa” che potrà essere esercitata a partire dal 1° gennaio 2020 – tenuto conto che il contratto di programma attualmente vigente andrà in scadenza proprio il 31 dicembre 2019 – e «[…] in conformità alla normativa europea e nazionale, e fermo restando il rispetto della normativa regolatoria di settore […]».
Il rimando alla normativa europea di riferimento chiarisce come la misura in esame non promuova tanto un diretto incremento del novero delle prestazioni rientranti nei confini dell’universalità, consentendo, piuttosto, di estendere la dimensione operativa garantita dal fornitore del servizio pubblico universale senza che ne sia “alterata” la portata definitoria e precettiva. Ai sensi dell’art. 3 della direttiva postale 1997/67/UE – come modificata dalle successive direttive 2002/39/UE e 2008/6/UE –, infatti, il servizio universale – che corrisponde «ad un’offerta di servizi postali di qualità determinata forniti permanentemente in tutti i punti del territorio a prezzi accessibili a tutti gli utenti» (par. 1) –, ricomprende sì le attività di «[…] smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali», ma di peso «fino a 2 kg» (par. 4); inoltre, è previsto espressamente che «Le dimensioni minime e massime degli invii postali considerati [siano] quelle fissate nelle disposizioni pertinenti adottate dall’Unione postale universale» (par. 6), non potendo dunque essere oggetto di revisione unilaterale da parte dei singoli Stati membri. E a conferma di ciò sembrerebbe andare lo stesso comma 462, nella parte in cui disciplina tale possibilità non già rispetto al servizio universale di per sé considerato ma, più in generale, «[…] nell’offerta complessiva dei servizi postali […]» garantita dal fornitore del servizio universale, tenendo conto proprio di come questo possa svolgere anche prestazioni ulteriori non rientranti nel contesto del primo.
Tra le richiamate misure di regolazione di settore, si segnala, invece, in particolare la delibera 396/2015 dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni che, sempre nel rispetto della disciplina europea, ha determinato nuovi livelli di qualità del servizio postale universale.
Inoltre, l’inclusione degli invii postali di peso compreso tra due e cinque chilogrammi nell’offerta complessiva prevista nel contratto di programma tra ministero dello sviluppo economico e fornitore del servizio postale universale, deve avvenire sia «tenuto conto di ragioni di efficienza e razionalizzazione della fornitura dei medesimi servizi» che «valorizzando la presenza capillare degli uffici postali appartenenti allo stesso fornitore del servizio postale universale». Si tratta di due criteri difficili da conciliare in concreto, essendo funzionali a perseguire due obiettivi tendenzialmente contrastanti: riorganizzazione del servizio, per incrementarne la capacità produttiva, nel primo caso; estensione della sua dimensione territoriale, nel secondo, senza ben individuarne gli strumenti di “copertura” per l’eventuale antieconomicità delle prestazioni ulteriori (possibilità di agire sul piano tariffario, previsione di specifici fondi pubblici a ciò destinati o, ancora, intervento in via compensativa, in sede di redazione del contratto di servizio). Del resto, come chiarito dalla stessa relazione di accompagnamento al disegno di legge di bilancio, scopo della previsione ex art. 1, comma 462 non è solo quello di perseguire la coesione sociale e territoriale ma anche di rendere compatibile il regime vigente «con i cambiamenti recenti prospettici del settore postale in generale dei mercati dei prodotti dei servizi inclusi nel servizio postale universale, anche in considerazione delle nuove esigenze degli utenti determinate dallo sviluppo dell’e-commerce». Un’impostazione di fondo, pertanto, che sembrerebbe spiegare la presenza di canoni operativi così diversi, permettendo di individuarne un possibile coordinamento nel momento in cui entrambi siano interpretati come funzionali ad un più generale obiettivo di incremento della velocità di consegna, rispetto a qualsiasi “collocazione” territoriale del destinatario, come specifico fattore di coesione sociale e di sviluppo economico.
La seconda disposizione, quella del successivo comma 463, interviene sempre sul servizio postale universale, agendo però sul piano della capacità degli enti locali di promuovere politiche attive di sostegno al settore, sempre in direzione della coesione.
La norma, infatti, al primo periodo, consente ai piccoli comuni di «stipulare appositi protocolli aggiuntivi con il fornitore del servizio postale universale per ridurre l’attuale discriminazione relativa ai tempi di consegna effettivi rispetto ai grandi centri abitati e per il conseguimento degli obiettivi di cui al comma 462 […]», nel rispetto di quanto previsto dall’art. 9, commi 2 e 3, della legge 158/2017. Questo prevede che i comuni con popolazione residente non superiore ai 5.000 abitanti, anche in forma associata e d’intesa con la regione, possano proporre, nelle modalità stabilite nel suddetto contratto di programma, «iniziative volte a sviluppare, anche attraverso l’eventuale ripristino di uffici postali, l’offerta complessiva dei servizi postali, congiuntamente ad altri servizi, in specifici ambiti territoriali […]».
A ben vedere, dunque, il comma 463, primo periodo, si discosta, qui, dal precedente sotto due diversi profili. Anzitutto, dal punto di vista teleologico, assumendo come unico obiettivo da perseguire quello specifico della coesione socio-territoriale, senza che vi si affianchino ulteriori e più celate finalità, anche di sviluppo economico, che ne “alterino” i meccanismi operativi. In secondo luogo, rispetto alla dimensione materiale delle attività che ne sono oggetto, coinvolgendo più in generale l’intera estensione del servizio postale universale – comprendente anche «la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione dei pacchi postali fino a 10 kg», facoltativamente innalzabili a 20 kg dagli Stati membri, ed «i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii con valore dichiarato» (art. 3, par. 4, direttiva 1997/67/UE) –, e non il solo segmento degli invii postali.
Il comma 463, secondo periodo, invece, impegna il fornitore del servizio postale universale «[…] a valutare prioritariamente eventuali iniziative degli enti territoriali che possano potenziare l’offerta complessiva dei servizi in specifici ambiti territoriali […]». Tra queste rientrano, ad esempio, gli “altri servizi” che, ai sensi del citato art. 9, comma 2, della legge 158/2017, i piccoli comuni possono proporre vengano offerti, dal fornitore del servizio universale, insieme a quelli postali; così come, a norma del comma 3, le convenzioni stipulate da questi con Poste Italiane s.p.a., di modo che «i pagamenti in conto corrente postale […], dei vaglia postali nonché altre prestazioni possano essere effettuati presso gli esercizi commerciali di comuni o frazioni non serviti dal servizio postale».
Anche in questo caso permane il contestuale riferimento sia alla valorizzazione della presenza capillare degli uffici postali – quale possibile fine ultimo delle iniziative avanzate dai comuni –, sia al perseguimento dell’efficienza e razionalizzazione della fornitura del servizio. Tuttavia, il dato letterale, diversamente da quanto previsto dal comma 462, non sembra qui indicare una equiparazione tra i due obiettivi, introducendo piuttosto, tra gli stessi, un criterio gerarchico. In questa prospettiva, infatti, il fornitore del servizio postale universale valuta sì la possibilità di accrescerne la dimensione territoriale –secondo quanto richiesto dai comuni –, ma lo fa, pur sempre, nel perseguimento della propria efficienza operativa che ne diviene così, a quei fini, il principale obiettivo e canone ermeneutico, bilanciato semmai dal riferimento al principio di coesione.
In conclusione, dunque, le misure di cui ai commi 462-463 dell’art. 1 della legge di bilancio 2018 sono sì destinate a garantire che le attività rientranti nello spettro del servizio pubblico – ed in ancor più nei confini dell’universalità delle prestazioni – accrescano lo sviluppo sociale del Paese; ma chiariscono ulteriormente come tale eventualità richieda un pieno coordinamento – normativo ma, ancor prima, teorico-ricostruttivo – con la parimenti necessaria promozione dell’efficienza sia dei settori di riferimento, che della dimensione operativa (e quindi delle prestazioni offerte) dei soggetti che vi agiscono. Elementi di valutazione che potranno poi essere ulteriormente approfonditi con la futura adozione dei decreti del Ministero dell’economia e delle finanze, cui il comma 464 rimette i regolamenti attuativi dei commi 462-463.