Riparare il tetto dell’Euro: la proposta di un Fondo Monetario Europeo 

29.12.2017

«Non c’è spazio per l’autocompiacimento: il tetto va sempre riparato quando splende il sole» 

(COM 2017/827)

Riparare il tetto finché il tempo lo permette: questo è l’invito rivolto a chiare lettere ai Governi dei Paesi dell’area nell’Euro nella proposta per l’istituzione di un Fondo Monetario Europeo (FME), presentata dalla Commissione Europea il 6 dicembre scorso. Si tratta più precisamente di una proposta di regolamento del consiglio (vd. COM(2017)/827), corredata da una bozza di Statuto del Fondo. Nel caso in cui venisse approvata, il FME subentrerebbe al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), assumendone tutti i diritti e gli obblighi. Pur in una prospettiva di sostanziale continuità con il proprio predecessore, la creazione di un fondo siffatto risponde ad esigenze parzialmente diverse ed ispirate a logiche di sistema più che a bisogni emergenziali. Inoltre l’attuale testo della proposta presenta caratteri di novità che meritano di essere evidenziati.

 

1. Da dove proviene l’idea di un Fondo Monetario Europeo 

L’idea di erigere un fondo di questo era per la verità nell’aria ormai da tempo, almeno da quando a fine 2013 l’ECOFIN si era espresso a favore della creazione di un meccanismo di risoluzione unico per i Paesi dell’Euro (vd. Verbale 3281a Sessione ECOFIN, 10 e 18 Dicembre 2013, 17636/13), rispetto al quale il fondo monetario avrebbe assolto la funzione di backstop di natura fiscale. La proposta è stata ripresa nel 2015 all’interno della Relazione dei Cinque Presidenti sul completamento dell’Unione Economica e Monetaria (p.4), sempre in guisa di sostegno complementare alla gestione sovranazionale delle crisi bancarie. Mentre il secondo pilastro dell’Unione Bancaria, ovvero il Meccanismo di Risoluzione Unico istituito dal Regolamento UE 2014/806, è ormai in funzione dal 1 gennaio 2016 per un periodo transitorio che dovrebbe protrarsi fino al 2024, i passi in direzione di un backstop al fondo di risoluzione si sono mossi più a rilento, complice forse il timore pregiudiziale post crisi del debito sovrano nei riguardi di qualsiasi forma di mutualizzazione del rischio. Si tratta in fondo della stessa preoccupazione che – si segnala di passaggio – ha finora impedito la creazione di un European Deposit Insurance Scheme (EDIS).

A fronte di una vigilanza unica ormai a pieno regime, e di un meccanismo di risoluzione di recente rodato dai casi di Banco Popular e delle banche venete, i quali a propria volta si reggono in buona parte sull’operato delle authority di regolazione europee, l’architettura dell’Unione Bancaria permane incompiuta.

In tempi di relativa tranquillità, con una modesta crescita media dell’Eurozona da tempo attestatasi attorno al 2% annuo, l’idea di un fondo monetario europeo è stata rilanciata fin dai primi mesi di quest’anno, inizialmente attraverso una risoluzione del Parlamento Europeo di febbraio (vd. 2015/2344(INI)), per costituire poi parte del Documento di Riflessione sul futuro delle finanze dell’Unione Europea redatto dalla Commissione (vd. COM(2017)/358). La prospettiva di un backstop fiscale per l’Unione Bancaria è stata accarezzata anche dal quanto mai accorato discorso di Juncker sullo Stato dell’Unione dello scorso settembre (Cfr. versione autorizzata, p. 8) e da ultimo ha costituito tra gli altri l’oggetto della Comunicazione sul Completamento dell’Unione Bancaria datata

11 ottobre (vd. COM(2017)/592). Infine la proposta di atto legislativo ha visto la propria luce la scorsa settimana. Da un’analisi complessiva della proposta, sulla quale a breve il Parlamento Europeo dovrà rendere il proprio parere (così come previsto per i procedimenti legislativi speciali, in virtù dell’art. 289, p. 2 TFUE), emerge un sostanziale recepimento delle indicazioni emerse durante i mesi scorsi. Il fondo dovrebbe quindi operare in maniera quasi totalmente sovrapponibile al MES, rispetto al quale assumerebbe tuttavia un ruolo più centrale nella sterilizzazione delle crisi sistemiche. Inoltre in quanto componente dell’Unione Bancaria, secondo molti dei propri estensori segnerebbe una tappa importante nel recupero dello spirito comunitario, a seguito di una generale preponderanza degli esecutivi del dopo-Lisbona. Se questa posizione poggia certamente su di un solido addentellato testuale, allo stesso tempo è meritevole di alcune precisazioni.

 

2. Un fondo «comunitario» 

L’istituzione del fondo tramite Regolamento del Consiglio segna infatti per certi versi un ritorno al metodo comunitario se rapportata all’esperienza del MES, il quale trova il proprio fondamento all’interno di una fonte pattizia di diritto internazionale, esterna al diritto dell’Unione. La scelta di creare il FME tramite regolamento, sul quale dovrà quindi pronunciarsi anche il Parlamento Europeo, rispecchia quindi la volontà di rendere il fondo parte integrante dell’Unione, almeno con riferimento ai Paesi dell’Area dell’Euro, ai quali esso è indirizzato.

La natura «comunitaria» dell’erigendo FME si rispecchia peraltro, oltre che nella propria genesi, anche nei contenuti della proposta di regolamento e della bozza di Statuto. Dal momento che il FME si configurerebbe ab origine come un organismo dell’Unione, sarebbe chiamato a predisporre precise forme di raccordo e di accountability nei confronti del Consiglio e del Parlamento Europeo (art. 5 proposta di regolamento). Oltretutto se la proposta sarà approvata, coerentemente con la Dottrina Meroni (Cfr. CGCE, Meroni c./ Alta Autorità, cause nn. 9 e 10/56) tutte le decisioni che comporteranno margini di discrezionalità eccedenti i limiti tecnici del mandato (è questo il caso per esempio dei protocolli di intesa con gli Stati membri per la concessione del sostegno finanziario ai sensi dell’Art. 13 della bozza di Statuto), dovranno essere ratificate dal Consiglio.

Infine, nel solco già tracciato dal Meccanismo di Risoluzione Unico (vd. Regolamento UE 1024/2013, art. 21), uno spazio sarà ritagliato anche in favore dei Parlamenti nazionali (art. 6 proposta di regolamento), che potranno presentare osservazioni sulla relazione annuale, sottoporre interrogazioni a risposta scritta e audire il Direttore Generale del Fondo.

 

3. Tracce intergovernative 

Accanto a questo disegno permangono tuttavia precisi sintomi di un modus operandi che può essere accostato ad un approccio intergovernativo più che comunitario. Le decisioni più rilevanti, in piena continuità con il MES, dovrebbero essere adottate dal Consiglio dei Governatori, composto dai membri designati dai governi nazionali in misura pari ad uno per ciascuno Stato aderente (art. 5 Trattato MES; art. 5 bozza di Statuto). Il testo aggiunge poi che chi siede nel Consiglio dei Governatori deve essere allo stesso tempo membro del Governo designante con responsabilità per le Finanze. In concreto dunque a rivestire la carica di governatori sono i Ministri delle Finanze

dei Paesi dell’Euro. Giacché nella formulazione del nuovo Statuto non è mutato nemmeno uno iota rispetto al Trattato del MES, è lecito supporre che le decisioni chiave continueranno a rispecchiare i desiderata dei governi nazionali.

Questa conclusione è viepiù rafforzata dal fatto per cui per molte questioni di primaria importanza, tra le quali figurano la variazione della capacità di prestito (inserita ex novo nella bozza di Statuto), i richiami e gli aumenti di capitale e altre statuizioni sul modus operandi e sulla partecipazione degli Stati, continueranno, fermo il quorum dei due terzi, ad essere prese all’unanimità. È chiaro come l’opposizione anche di un solo Governatore precluderebbe la possibilità di procedere con una decisione.

Sempre ispirata ad una logica intergovernativa può considerarsi la nuova modalità di voto a maggioranza qualificata rafforzata (nel Trattato MES prevista per le sole votazioni di urgenza ai sensi dell’art. 4, p. 4). In questo caso la maggioranza si intende valida ai fini della decisione da adottare soltanto quando oltre alla maggioranza dei votanti essa sia rappresentativa di almeno l’85% del capitale del FME (vd. art. 4, p. 4 bozza Statuto). Le decisioni che, ai sensi dell’Art. 5 p. 7 del nuovo Statuto, andrebbero approvate attraverso tale metodo, ricomprendono tra le altre l’approvazione delle misure di assistenza, le condizioni di politica economica richieste ai Paesi assistiti e i tassi di interesse sui prestiti. In questo modo la sola opposizione di uno dei Paesi che detengono quote per una misura superiore al 15%, vale a dire Francia, Germania e Italia, sarebbe di per sé sufficiente a paralizzare qualsiasi misura di assistenza.

Non si può certo sapere oggi se la posizione tedesca sarà in futuro più morbida rispetto all’era Schauble; quello che certamente non passa inosservato è che, per quanto splenda il sole, se di riparare i tetti si tratta, non è detto che sia sempre una buona idea riutilizzare i vecchi coppi.

a cura di Samuele Crosetti