a cura di Flaminia D’Angelo
Con la sentenza in commento l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta per chiarire quali siano i poteri del commissario ad acta nominato per l’esecuzione dei provvedimenti occorrenti ad ottemperare ad un giudicato amministrativo relativo ad una vicenda di acquisizione cd. sanante ex art. 42-bis. TUEs.
La questione ha tratto origine dalla vicenda giudiziale che ha coinvolto un comune pugliese ed il proprietario di un terreno espropriato dalla PA, senza adozione di alcun provvedimento , per farvi un giardino pubblico.
Il TAR in primo grado ha accolto il ricorso e ha condannato il Comune a restituire l’area al legittimo proprietario o a concludere con questo un accordo transattivo, ovvero, come alternativa, ad emanare un provvedimento di acquisizione ai sensi dell’allora vigente art. 43 TUEs.
Successivamente, con una prima sentenza irrevocabile resa in esecuzione del giudicato, il Tar ha ordinato all’amministrazione comunale – fino ad allora rimasta inerte – di dare corso a tutti gli adempimenti previsti dal giudicato entro un breve termine (45 giorni); con una seconda sentenza irrevocabile resa in esecuzione del giudicato, il Tar ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 42 bis TUE e, contestualmente, ha nominato un commissario ad acta per provvedere a tutti gli adempimenti occorrenti per l’ottemperanza del giudicato, nel caso l’amministrazione fosse rimasta ancora inerte.
Stante l’inerzia della P.A., il commissario ad acta ha, quindi, adottato un provvedimento ex art. 43 TUEs determinando il valore del bene ed il risarcimento del danno. Avverso tale provvedimento, il cittadino ha proposto reclamo per contestare a) la quantificazione del valore del terreno, b) l’incongruità – già dichiarata dal Tar – della stima dell’Agenzia del territorio utilizzata ai fini quantificatori e c) l’assenza di contraddittorio tra le parti. Il Tar ha rigettato il reclamo che è stato, quindi, impugnato in appello innanzi al Consiglio di Stato per le medesime ragioni.
La IV Sezione del Consiglio di Stato ha preso atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in relazione ai poteri che il giudice amministrativo può esercitare – direttamente o per il tramite di un commissario ad acta – in sede di esecuzione del giudicato ed in particolare, in relazione al potere del giudice di ordinare alla P.A. di adottare un provvedimento ex art. 42 bis TUEs a anche solo di sollecitarne l’esercizio, fissando in caso un termine, scaduto il quale non rimarrebbe che assicurare la sola tutela restitutoria. A tale proposito ha formulato la seguente questione ovvero «se nella fase di ottemperanza – con giurisdizione, quindi, estesa al merito – ad una sentenza avente ad oggetto una domanda demolitoria di atti concernenti una procedura espropriativa, rientri o meno tra i poteri sostitutivi del giudice, e per esso, del commissario ad acta, l’adozione della procedura semplificata di cui all’art. 42-bis t.u. espr».
L’Adunanza Plenaria ha affermato il seguente principio di diritto e cioè che «Il commissario ad acta può emanare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto dall’articolo 42-bis d.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità -:
- a) se nominato dal giudice amministrativo a mente degli artt. 34, co. 1, lett. e), e 114, co., 4, lett. d), c.p. , qualora tale adempimento sia stato previsto dal giudicato de quo agitur;
- b) se nominato dal giudice amministrativo a mente dell’ 117, co. 3, c.p. a., qualora l’amministrazione non abbia provveduto sull’istanza dell’interessato che abbia sollecitato l’esercizio del potere di cui al menzionato art. 42-bis».
Per giungere ad una tale conclusione il Collegio ha richiamato, in primo luogo, il testo del citato art. 42 bis TUEs come introdotto dall’art. 34, co. 1, d.l. n. 98 del 2011 convertito con modificazioni nella l. n. 111 del 2011.
Successivamente, ha ripercorso il quadro dei principi elaborati dalla Corte costituzionale, dalle Sezioni unite della Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato all’interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte EDU volti a contrastare il fenomeno delle cd. “espropriazioni indirette” del diritto di proprietà o di altri diritti reali chiarendo che «quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c., con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene – che viene a cessare solo in conseguenza:
- a) della restituzione del fondo;
- b) di un accordo transattivo;
- c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;
- d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato per evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull’Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta; dunque a condizione che:
- I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;
- II) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis;
- III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il «….giorno in cui il diritto può essere fatto valere»;
- e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bisu. espr»
In particolare, in relazione all’art. 42-bis TUEs, il Collegio ha, nello specifico evidenziato, che:
- a) la disposizione ha introdotto una norma di natura eccezionale la quale necessita di un’esegesi rigorosa che sia, ad un tempo, conforme al sistema di tutela della proprietà privata disegnato dalla CEDU ma anche del valore costituzionale della funzione sociale della stessa sancito dall’art. 42, co. 2, Cost. (che costituisce il fondamento del potere attribuito alla P.A.), da attuare secondo un approccio metodologico basato su una visione sistemica, multilivello e comparata della tutela dei diritti, a sua volta incentrata su una valutazione unitaria dell’ordinamento, quale risultante dall’interazione fra norme (interne e internazionali) e principi delle Corti (interne e sovranazionali);
- b) che la norma ha configurato un procedimento ablatorio sui generis, «caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo è consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell’infrastruttura realizzata sine titulo»;
- c) che, per tale ragione, la norma richiede che il provvedimento ablatorio finale contenga l’indicazione del percorso motivazionale – rafforzato, stringente e assistito da garanzie partecipativo rigorose – da cui evincere come l’apprensione coattiva sia stata l’extrema ratio per la tutela di siffatte imperiose esigenze pubbliche. Coerente con tale impostazione si rivelerebbero anche: I) le garanzie previste per il destinatario dell’atto di acquisizione sotto il profilo della misura dell’indennizzo (avente natura indennitaria), valutato a valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che, dunque, ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 TUE), maggiorato della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per l’espropriato), e con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare autonome poste di danno; e II) la previsione del coinvolgimento obbligatorio della Corte dei conti;
- d) che la disciplina sull’acquisizione sanante è inquadrata nell’ambito di un più ampio contesto che – in ragione della sussistenza dell’obbligo della P.A. di valutare se emanare un atto tipico sull’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto – prevede per il proprietario strumenti adeguati di reazione all’eventuale inerzia della P.A., esercitabili davanti al giudice amministrativo, sia attraverso il c.d. “rito silenzio” (artt. 34 e 117 c.p.a.), sia in sede di ordinario giudizio di legittimità avente ad oggetto il procedimento ablatorio sospettato di illegittimità (o altro giudizio avente ad oggetto la tutela reipersecutoria, come verificatosi nel caso di specie);
- e) che assume rilievo centrale il fatto che l’Amministrazione non possa più emanare il provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato che abbia disposto la restituzione del bene al proprietario; tale divieto si desumerebbe implicitamente dalla previsione del co. 2 dell’art. 42-bis TUEs nella parte in cui consente all’autorità di adottare il provvedimento durante la pendenza del giudizio avente ad oggetto l’annullamento della procedura ablatoria (ovvero nel corso del successivo eventuale giudizio di ottemperanza), ma non oltre, e quindi dopo che si sia formato un eventuale giudicato non soltanto cassatorio ma anche esplicitamente restitutorio;
- f) che la scelta dell’amministrazione ai sensi dell’art. 42 bis TUEs è tra l’acquisizione e la non acquisizione del bene (e non tra la sua acquisizione autoritativa e la sua restituzione) in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico – cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta dalla P.A. in sede procedimentale – ed non costituisce espressione di una specifica volontà provvedimentale dell’autorità, atteso che l’amministrazione non agisce iure auctoritatis;
Secondo il Collegio, però «la possibilità di emanazione del provvedimento ex art. 42-bis in sede di ottemperanza, da parte del giudice amministrativo o per esso dal commissario ad acta, non può essere predicata a priori e in astratto ma, al contrario, postula una risposta articolata che prenda necessariamente le mosse dal contesto processuale in cui è chiamato ad operare il giudice (ed il suo ausiliario) e lo conformi ai principi dianzi illustrati».
Ed infatti, a fronte di un giudicato restitutorio il provvedimento di acquisizione non potrà più essere emanato; si pone tuttavia la questione di individuare un giudicato di tipo restitutorio: qualora sia disposta espressamente la restituzione del bene nulla quaestio; diversamente invece se durante la pendenza del processo avente ad oggetto la procedura espropriativa, il fondo subisce alterazioni tali da rendere necessario il compimento, ai fini della sua restituzione, di rilevanti attività giuridiche o materiali. In questi casi, secondo il Collegio, potrebbero verificarsi le seguenti circostanze:
1) il privato potrebbe non avere un interesse alla tutela e dunque non propone domanda di condanna alla restituzione previa riduzione in pristino: in questo caso il giudicato è puramente cassatorio, per scelta (e a tutela) del proprietario e non si produce l’effetto inibitorio dell’emanazione del provvedimento ex art. 42-bis;
2) il proprietario ha interesse alla restituzione e propone la relativa domanda ma il giudice non si pronuncia o si pronuncia in modo insoddisfacente: in tal caso si applicano i normali strumenti di reazione processuale in mancanza (o all’esito) dei quali, se il giudicato continua a non recare la statuizione restitutoria, la PA potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis non sussistendo la preclusione inibente dianzi richiamata.
Diversa circostanza ancora, secondo l’Adunanza Plenaria, quella in cui il giudicato reca, in via esclusiva o alternativa, la previsione puntuale dell’obbligo dell’Amministrazione di emanare un provvedimento ex art. 42-bis. In questi casi – pur sempre residuali giacché generalmente non esiste la possibilità (tranne che si versi in una situazione processuale patologica ovvero nei casi di cognizione ordinario o di giudizio sul silenzio) è possibile che il giudice imponga all’amministrazione di decidere – ad esito libero, ma una volta e per sempre, nell’ovvio rispetto di tutte le garanzie sostanziali e procedurali dianzi illustrate – se intraprendere la via dell’acquisizione ex art. 42-bis ovvero abbandonarla in favore delle altre soluzioni individuate in precedenza.
A conclusione della motivazione sopra riportata, il Consiglio di Stato ha concluso, dunque, enunciando il principio di diritto precedentemente riportato.
Consiglio di Stato ad. plen., 9 febbraio 2016 n. 2