Con sentenza del 9 febbraio 2016, il Consiglio di Stato si è pronunciato, in adunanza plenaria, circa l’annosa questione relativa al riparto di competenze in materia di tutela del consumatore per le pratiche commerciali poste in essere nel settore delle comunicazioni elettroniche. Più precisamente, la VI sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria la valutazione in merito all’applicazione dell’articolo 27, comma 1 – bis, del Codice del Consumo (che attribuisce, anche nei settori regolati, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente – la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta), anche rispetto a condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea complete, esaustive e attributive di poteri sanzionatori e inibitori esercitabili dall’Autorità di regolazione.
La controversia si è instaurata a seguito dell’emanazione del Provvedimento n. 23356 del 6 marzo 2012, con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha condannato Wind al pagamento di una sanzione dall’importo pari a 200.000 euro per una condotta, ritenuta aggressiva ai sensi dell’art. 26, comma 1, lett. f) del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (“Codice del Consumo”), consistente nella mancata adeguata informazione (e, conseguentemente, mancato ottenimento del consenso) degli acquirenti delle SIM circa l’esistenza di servizi accessori onerosi pre-attivati, fra i quali, in particolare, la navigazione in internet ed il servizio di segreteria telefonica.
Gli interrogativi in merito al riparto di competenze tra le Autorità sorgevano, nel caso di specie, in considerazione del fatto che, mentre l’accertamento della pratica commerciale aggressiva rientrava nel raggio di azione dell’AGCM, la violazione degli obblighi informativi era oggetto di sanzione da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“Agcom”). Sul punto, la pronuncia in commento ha precisa che: “È evidente, quindi, che nel caso di specie si assiste ad una ipotesi di specialità per progressione di condotte lesive che, muovendo dalla violazione di meri obblighi informativi comportano la realizzazione di una pratica anticoncorrenziale vietata ben più grave per entità e per disvalore sociale, ovvero di una pratica commerciale aggressiva. Si realizza, quindi, nell’ipotesi in esame, sempre ai fini dell’individuazione dell’Autorità competente, più che un conflitto astratto di norme in senso stretto, una progressione illecita, descrivibile come ipotesi di assorbimento – consunzione, atteso che la condotta astrattamente illecita secondo il corpus normativo presidiato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è elemento costitutivo di un più grave e più ampio illecito anticoncorrenziale vietato secondo la normativa di settore presidiata dall’Autorità Antitrust appellante”.
Pertanto, in un’ipotesi quale quella in esame, diveniva centrale comprendere se il comportamento contestato nel provvedimento dell’AGCM fosse “coperto” in maniera esaustiva dalla normativa di settore, non essendo sufficiente, come già rilevato dalla Commissione europea in sede di avvio della nota procedura di infrazione n. 2013 – 2169 avviata nei confronti della Repubblica italiana, il riferimento al principio di specialità della disciplina settoriale, così come applicato nel nostro ordinamento (ad avviso della Commissione, infatti, in Italia non vi sarebbe stata alcuna autorità indipendente competente a far rispettare la direttiva pratiche commerciali sleali nel settore delle comunicazioni elettroniche).
Lo scenario oggi appare profondamente mutato, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 (“Decreto consumatori”), che, all’art. 27, ha introdotto il comma 1-bis, che prevede inequivocabilmente che “anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente”; pertanto, sulla scorta di quanto appena descritto, l’Adunanza plenaria, restituendo il giudizio alla Sezione remittente per la decisione finale, ha enunciato quale principio di diritto l’attribuzione esclusiva all’AGCM della competenza ad irrogare sanzioni in caso di pratiche commerciali in ogni caso aggressive, nonché il perdurare dell’interesse alla pronuncia di annullamento per incompetenza dell’AGCM, dovendo questa essere respinta.