A seguito della comunicazione della Commissione Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese (COM(2015) 550 del 28 ottobre 2015), il Comitato delle Regioni (di seguito, CdR) ha approvato un parere circa la dimensione locale e regionale dell’economia della condivisione (115° sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2015).
Oggetto principale del parere è stata la definizione proposta dalla Commissione della “economia collaborativa” come “complesso ecosistema di servizi a richiesta e di uso temporaneo di attività sulla base di scambi attraverso piattaforme online. L’economia collaborativa assicura ai consumatori una scelta più vasta e prezzi più bassi e alle start-up innovative e alle imprese europee esistenti opportunità di crescita, sia nel loro paese che all’estero. Accresce altresì l’occupazione e permette ai lavoratori di beneficiare di una maggiore flessibilità, da micro attività non professionali a un’imprenditorialità a tempo parziale. Le risorse possono essere utilizzate in maniera più efficiente, accrescendo in tal modo la produttività e la sostenibilità”.
Rispetto a tale definizione, il CdR ha tuttavia osservato la sua possibile natura incompleta o comunque parziale. Essa infatti, concentrandosi sugli aspetti commerciali e di consumo dell’economia della condivisione, sembra tralasciare l’analisi degli approcci basati sui beni comuni slegati da logiche commerciali.
Non a caso, il CdR pone anche una questione nominalistica, preferendo alla locuzione “economia collaborativa” (“collaborative economy”) utilizzata dalla Commissione quella di “economia della condivisione” (“sharing economy”, EdC), valorizzando appunto gli aspetti meno immediatamente monetizzabili.
A giudizio del CdR, l’economia della condivisione assume un ruolo fondamentale all’interno della dimensione economica tra i privati, divenendo il vettore di un nuovo paradigma, capace di mettere in discussione i tradizionali modelli macroeconomici ed i suoi soggetti. Grazie a questa nuova frontiera dell’economia non si ha più la netta distinzione tra consumatore e produttore, ma cambia addirittura il soggetto dell’economia: se prima era il razionale consumatore nei panni dell’Homo Oeconomicus, ora il cittadino, un soggetto sociale per cui le motivazioni economiche possono essere secondarie o addirittura inesistenti.
Nel parere si sottolinea come questa nuova frontiera dell’economia abbia enormi potenzialità sia in termini di sviluppo sociale che finanziari: si prospetta infatti una crescita esponenziale delle entrate globali relative al settore che, entro il 2025 potrebbero arrivare a circa 300 miliardi di euro, rispetto agli attuali 13.
Molti dei settori interessati dall’EdC dovranno essere regolati e disciplinati anche dagli enti locali e regionali, nel rispetto del principio di autonomia locale. Queste stesse autorità avranno al contempo la responsabilità nel caso in cui i servizi basati sull’EdC creino un effetto di crowding-out, ossia di spiazzamento dal mercato dei servizi tradizionali, e nella misura in cui – delineati i requisiti di accesso al mercato – questi portino alla creazione di monopoli e oligopoli senza che vi sia stato un effettivo fallimento del mercato.
Inoltre, si sottolinea come la Commissione abbia delineato i profili delle due categorie principali che contraddistinguono l’economia della condivisione: l’On-demand economy, la classica economia su richiesta; e la Pooling economy, ovvero l’economia della messa in comune. Entrambe dovranno essere destinate a sostenere la crescita delle autonomie locali con un minimo impatto sull’ambiente e al tempo stesso dovranno farsi promotrici di legalità fiscale e concorrenza legale, favorendo in generale la realizzazione di iniziative che abbiano un effetto positivo sul piano sociale, economico ed ambientale.