Stefano Rodotà, Solidarietà un’utopia necessaria, Laterza, 2014

09.02.2016

Un’utopia giuridica necessaria. La prima cosa che viene in mente al termine della lettura, con occhio nuovamente alla copertina, è che il titolo  non renda in pieno il contenuto del saggio.  Sarebbe da aggiungere, dopo utopia, la parola  “giuridica” :  “Solidarietà, un’utopia giuridica necessaria”.  Perché di questo si tratta, dell’essenza  giuridica della solidarietà sociale, stante che  essa  appare  in primo luogo come utopia  costituzionalizzata e  dunque fondativa dell’assetto democratico dello stato democratico di diritto.  Senza solidarietà il funzionamento della   democrazia stessa risulterebbe  menomato  ed il consenso sociale, su cui  essa si fonda, sgretolandosi    farebbe  vacillare  lo stato di diritto   nelle sue fondamenta. Rischio che il saggio tiene sempre ben presente. L’essenzialità  del  giuridico per  l’effettività sociale  della solidarietà è  immediatamente  evidenziata  nel testo.  Il  saggio    –  o piuttosto  il pamphlet, per la verve lucida e  appassionata  che lo anima –  si propone infatti  di contrastare “la cancellazione del principio di solidarietà come guida dell’azione pubblica” e dunque  la sua “amputazione  indebita dall’ordine giuridico” ( p.5). A questo fine l’autore, con sguardo  retrospettivo, ripercorre  il processo di costituzionalizzazione dell’utopia solidale  per arrivare negli ultimi  capitoli   ad interrogarsi sulla sua  declinazione giuridica, come  “principio unificante”  per/ una  globalizzazione solidale.

L’emergere di un principio giuridicamente  vincolante di solidarietà  è   abbozzato,   nei primi sette capitoli,  con una rapida ed efficace contrapposizione concettuale dualistica.  L’enucleazione del concetto giuridico, nel suo farsi storico, prende forma per comparazione con  categorie  limitrofe come   “dovere morale”,  “fraternità”, “cittadinanza” “diritti e doveri di cittadinanza”, “carità” (privata)   e “assistenza” ( statale).  Tramite  questi raffronti –  necessariamente essenziali nel loro svolgimento  –   scaturisce    a tutto  tondo il significato specifico   della solidarietà “principio costituzionale” dovere giuridico, non è riducibile alla sfera interna del  comportamento individuale. Si finirebbe in un ambito morale d’irrilevanza per il diritto che nulla ha a che vedere con l’intervenuta sua  costituzionalizzazione nel corso del secolo XIX e XX.  Nel saggio invece    la solidarietà è immediatamente  ricondotta – direi d’istinto – pena la sua dissolvenza come concetto giuridico, allo schema del rapporto giuridico. Non in modo esplicito, ma per il fatto stesso  di essere un “vincolo”  che  giuridicamente lega gli individui all’interno di  una  comunità d’ appartenenza che, dilatandosi    dal cerchio più ristretto della cittadinanza, non può non includere l’umanità tutta.  Nel ragionamento proposto, contrastare la deriva teorica e pratica che  tende ad escludere il principio  dall’ambito della rilevanza del giuridico, negando al contempo il suo universalismo,  permette di evitare  la trappola dell’inferenza economicista che spiega l’emarginazione  sociale  come effetto collaterale  della competizione nell’economia di mercato,  descrivendo l’assenza di solidarietà come una fenomenologia naturale  e dunque   giuridicamente lecita.  Lo sguardo retrospettivo di Rodotà ci riporta su altra pista. Dal momento della sua primordiale  costituzionalizzazione  nel principio di fraternità,  la solidarietà si distacca e si contrappone alla sfera morale e all’indifferenza giuridica, acquistando  poi nelle costituzioni democratiche   la consistenza  del diritto  costituzionalmente fondato,  distinto   dalla politica caritatevole dello stato del benessere (welfare state) come, mi verrebbe da sottolineare, da  quella  assistenziale dello stato sociale.  In questo modo nel rapporto giuridico  solidaristico, come vincolo collettivo e individuale,  dunque emergono simmetricamente correlate  le posizioni giuridiche  del dovere e del diritto.

In questo percorso ricostruttivo, i dualismi concettuali – dei primi paragrafi –   illuminano così di riflesso il contenuto intrinsecamente  giuridico del vincolo –  costituzionale  socialmente “pro attivo”  della solidarietà. L’itinerario storico del concetto  è ripercorso  per cenni,  nel suo impasto tra storia e teoria,  dipanando  il   nesso di continuità costituzionale che dalla  rivoluzione francese – principio  di fraternità –  perviene  alla inclusione dei diritti sociali nella carta di  Nizza e poi  nel  Trattato  di Lisbona del 2007. Approdo quest’ultimo peraltro ancora misconosciuto che invece rappresenta, nella prospettiva indicata dall’autore, il coronamento del processo di costituzionalizzazione  del principio solidaristico  nello spazio  giuridico europeo.   A ciò potrebbe essere  aggiunto in un ottica di politiche pubbliche  il richiamo al   connesso principio, tuttora  formalmente in vigore e  risalente al trattato istitutivo della CEE del 1958, della “coesione economico e sociale” della Comunità,  come obiettivo e  impegno politico,  anche finanziario, comune degli stati membri.

L’affermazione del principio non però è storia formale di statuti e di trattati. La  costituzionalizzazione – ricorda l’autore –  ha segnato  piuttosto  l’esito del movimento di affrancazione  delle masse popolari,  che si stabilizza nel secondo dopoguerra in Europa  con il radicamento  del vincolo solidaristico nelle costituzioni democratiche. La costituzionalizzazione, nondimeno, una volta intervenuta vive di vita propria e di autonoma forza normativa. La solidarietà dunque è sicuramente il lascito dei partiti politici che ne hanno storicamente  rivendicato l’attuazione, ma la sua storia non finisce con quell’esito.  La “scomparsa dei partiti  di massa” (p. 66) non pregiudica infatti  la forza del principio giuridico solidaristico costituzionalizzato.  Sarebbe  “ un errore storiografico “ un fraintendimento ricostruttivo, l’insistere sulle versioni  rivendicazionistiche …” ( p. 29).  E’necessario prendere atto della cesura. Il principio, una volta costituzionalizzato, si distacca dalla sua  genesi e sopravvive autonomamente. L’utopia vive e vige giuridicamente   ora per  intrinseca  forza normativa.

Si potrebbe dire – cercando di sintetizzare la parte ricostruttiva  del saggio – che nella costituzione degli stati democratici  e  tramite essa si è concretata la trasmutazione della solidarietà da forza politica sociale in forza giuridica non reversibile nella sua effettività come principio giuridico “pro attivo”.  Con la conseguenza che  la battaglia,  ora  globale  per la  sua attuazione,  vede in prima linea anche l’interpretazione  e l’attuazione del diritto.

Globalizzazione, etica e gerarchia etica dei diritti sociali. In questo  approccio universalistico,  la solidarietà come  vincolo diffuso e connettivo  della società civile democratica,  è  non necessariamente  e non solo fenomenologia  di diritto pubblico. In questo senso, il  saggio  sembra prendere di  fatto le distanze  implicitamente  dalla concezione  teorica  dell’indirizzo politico costituzionale che appare sempre più, almeno al sottoscritto, lascito dottrinario  del periodo fascista e di una visione magari alternativa ma comunque totalitaria. Nei suoi caratteri costitutivi  la  solidarietà  si  declina tanto nella società  (civile) quanto nello sfera pubblica,   e penetra lo spazio giuridico più  esteso della Unione europea grazie alla sua (piena )  costituzionalizzazione con il trattato di Lisbona. L’utopia dunque  ha seguito, nel suo farsi diritto, l’estendersi dell’ordinamento giuridico dagli stati nazione all’ordinamento  comunitario.  La solidarietà  non si lascia perciò ingabbiare nella “circoscrizione statale” e  la sua applicazione coincide (essenzialmente) con l’espansione   dell’economia di  mercato,  del    quale costituisce  – è questo il punto –  un intrinseco correttivo.  In quest’ambito di rilevanza giuridica ordinamentale la solidarietà rifugge dall’assimilazione alla generica  attività assistenziale  (statale)   o  alla carità (privata).  Essa non si lascia neppure “sequestrare dalla politica”  e si manifesta  invece  per integrazione – coessenziale –   “ nella trama dei  rapporti economici”  come   elemento “strutturale” degli stessi ove, però, appare sostanzialmente  quale  antitodo giuridico  alla logica del profitto (p. 55 e 70).  In questo senso il principio   è un correttivo intrinseco dei diritti   di proprietà e d’impresa e  si raccorda alla centralità costituzionale del lavoro, in contrapposizione  al modello antropologico dell’individualismo proprietario.  Il   tratteggio rapidamente schizzato, del fondamento del dettato costituzionale  dell’individuo solidale, poggia così  sulla  sequenza dignità, libertà dal bisogno, autonoma ricerca della felicità personale e garanzia delle condizioni di esistenza libera e dignitosa.  Questa libertà di ricerca  implica  in termini  di effettività la  garanzia giuridica  di un reddito minimo universale   che sottragga l’individuo “all’angustia della disoccupazione”. In questi passaggi, la tensione utopica del saggio, mantenendo l’aggancio agli articoli della costituzione repubblicana, si fa più forte e rileva la robusta trama del pensiero giuridico dell’autore che dischiude orizzonti poco esplorati per la  riflessione giuridica e politica.

Rimossa al termine nella prima  parte  “l’amputazione giuridica” della solidarietà,  i lettori, “liberi da una serie di ambiguità e fraintendimenti”, sono chiamati, nell’ultima parte del libro ( paragrafo 8 e successivi), a confrontarsi con l’ ”interrogativo radicale” della  sopravvivenza  e delle nuove forme giuridiche  del principio  nell’epoca della globalizzazione. E’ possibile  una globalizzazione solidale?  La tensione tra politica, etica  e diritto raggiunge  a  questa svolta del discorso  il suo acme di lucida analisi e, al contempo, di provocazione intellettuale. La solidarietà come scandalo nella parabola del buon samaritano ( p.85)?  Come   può la solidarietà continuare ad  esprimersi come  principio unificante,  nei processi di disgregazione in atto   per effetto della globalizzazione,   (p .30 e  90)?  Quali soggetti oggi possono fare da leva alla globalizzazione solidaristica? Chi può rivendicarla e  rappresentarla  a livello globale?  Come contrastare  l’ “ordine normativo”  emanante  dal  potere sovrano finanziario globalizzato? Questi sono gli interrogativi che generano la riflessione  e le risposte della seconda parte del saggio.

Difficile in particolare non convenire, per me,  sulla virulenza delle  crisi  sistemiche correlate alle dinamiche del potere finanziario, avendone rintracciato le cause e analizzato gli effetti sulla decostruzione dello stato di diritto in due recenti studi monografici.   Il conflitto –   nota giustamente Rodotà –  si manifesta  in particolare  sul terreno della vigenza delle norme transnazionali che richiama l’attenzione sul tentativo delle  grandi corporazioni transnazionali  di instituire  un arbitro privato sovranazionale cui ricorrere  per  sottrarsi al diritto statale. S’indica – puntando  ancora una volta il dito nella giusta direzione –  nel  Transatlantic  Trade and  Investment Partnership, l’ accordo sull’integrazione economica e finanziaria in corso di negoziazione tra Ue e Usa,   il cavallo di troia di una   lex  mercatoria  globale svincolata  dal diritto degli stati (p.120ss).

Come farvi fronte? Più che un nuovo mega soggetto collettivo antagonista di classe,  il contropotere  in formazione sembra formarsi  in modo cumulativo dall’aggregazione  di soggettività, coalizzanti interessi socialmente diffusi e oppositivi che maturano in settori e luoghi  diversi del pianeta, perseguendo la libertà di informazione, libertà da nuovi e vecchi bisogni indotti dalla tecnologia,  l’affrancazione da uno  sfruttamento  del lavoro che riappare sotto nuove forme giuridiche.  L’incertezza sociale aggredisce i fondamentali diritti individuali,  manifestandosi in  un  rischio   endemico  dei rapporti sociali e direi di  inedite concatenazioni servili anche nel mondo occidentale. L’approccio rifugge dal  “realisticamente rassegnato” indicando   le potenzialità  di  un contropotere democratico,  ricercandone   la manifestazione nel campo del diritto.   Si  coglie, in questi  passaggi,  un’assonanza  e  quasi  una sponda  giuridica a riflessioni, come quella  di U. Beck ( potere e contropotere nell’età  globale,Bari 2010)  e  di altri autori, di cui Rodotà dà conto nel libro. Per ricostruire un tessuto connettivo di solidarietà contro l’estrema forma di un capitalismo  irresponsabile e deresponsabilizzante,  è necessario  gioco forza ripartire dalla frantumazione delle “  comunità locali chiuse”,   travolte dal vortice della globalizzazione.  Non si può tornare indietro con un arroccamento, però, negli stati nazionali.  Bisogna piuttosto ripartire dalla consapevolezza  che matura  nelle  “ reti di globalità”,  dell’esistenza di un  rischio condiviso che  sollecita l’ aggregazione  di “comunità del rischio  globali” e di “ sfere pubbliche transnazionali”.  All’esigenza di contrapporre alle “norme transnazionali” del capitalismo finanziario globale le nuove “norme cosmopolite” invocate   da Beck  (cit. 133) sembra rispondere  Rodotà,  incentrando su di esse  le considerazioni  conclusive del saggio.

Come rafforzare  le   nuove fonti di produzione di norme  e di giurisdizione in grado di contrastare il diritto arbitrale  dei conglomerati transnazionali ?   Decisioni e risoluzioni di giurisdizioni  e di organismi  sovranazionali  sono  indagate  con la maestria di  un ragionamento tecnico giuridico reso  accessibile ai non addetti ai lavori. Segnali, a volte deboli, a difesa dei diritti fondamentali.  Pragmaticamente tramite essi si intravede comunque   il formarsi di  un  principio di speranza contrapposto al rischio sistemico  ( J. Dewey, comunità e potere, Firenze,1979,124).   Non solo diritto cosmopolita,  anche lo stato democratico  ha un  ruolo  centrale  nella battaglia per  un nuovo universalismo dei diritti.  “La garanzia dello stato è indispensabile tutte le volte che si   deve    giungere  alla attribuzione  di un  diritto” ( p. 110, 117).    Non progetto statico redistributivo di “beni”  quanto, piuttosto, “ una redistribuzione di potere che attribuisca a un gruppo di persone interessate  l’accesso e la gestione di una determinata categoria di beni. Anche beni  “patrimonio dell’umanità”  ( p.120)  “ identificati non dalla natura del bene ma dal rapporto che si istituisce con i diritti fondamentali della persona”. Un universalismo dei diritti individuali   ( p.109) che  va nella direzione di   un nuovo diritto comune,  fondato sull’autonomia delle persone più  che sul  diritto pubblico.  Appaiono, in questi passaggi, punti di contatto con  ipotesi esplorate anche da altri autori     come  “ pianeta patrimonio di tutti” ( P. Barnes  (  capitalismo 3.0,  2007), che contrappone all’ascesa delle corporation  transazionali  la costituzione di   trust sovranazionali per la protezione  di beni patrimonio dell’umanità.  Sul terreno   della tutela dei diritti  fondamentali –  dalla privacy sui  social  media alla dignità  delle persone, al diritto all’ informazione –  osserva Rodotà – possono trovare utile impiego  “strumenti più facilmente gestibili dagli interessati”  come  il  contratto ( p.130).  Nel capitolo “solidarietà risorse e politica” si formulano  proposte operative, alcune vere  provocazioni,  come quella di  collegare la quota della spesa sociale ad una percentuale del Pil ( p-129).  L’esortazione a continuare a pensare la solidarietà dal punto di vista   cosmopolita “della nascita delle norme che  dovrebbero governare le relazioni tra gli individui in una società civile globale “( 136)  chiude,  con un rimando  alla vigenza  della solidarietà politica, sociale e economica di cui all’art 2 della Costituzione, l’itinerario, costituzionalmente ispirato e lungimirante, dell’appassionato e  lucido  saggio.

Che dire in conclusione? E’il caso di rinviare al testo e farsi trascinare dalla forza  dell’argomentazione che fa leva  sulla necessaria condivisione dell’ opzione socialmente inclusiva che la piena tutela  della dignità della persona implica.  Ne consegue  lo sgretolamento interno dell’ideologia  capitalistica  per l’affermazione diffusa nella società di  valori individuali   di rango costituzionale  geneticamente  contrapposti alla logica  dell’homo economicus  e alla religione del mercato.  Punti di contatto laico con il recente appello del papa alla solidarietà globale?  Convergenze anche con un’  etica  liberale?  Netta è nel saggio  la ripulsa dell’etero determinazione sul “governo della vita” degli individui ( p.77).  La politica è costantemente   ridimensionata al rispetto anche  dei diritti  sociali fondamentali ( p.124).  Ripulsa genuinamente liberale   la sottrazione della “ solidarietà  al riduzionismo imposto dalle logiche burocratiche”( p. 66).  Una notazione personale infine.  Etica dei diritti sociali e una concezione del lavoro inteso come diritto che supera   il tradizionale paradigma  del lavoro come lavoro  dipendente, stimolano ad un ulteriore  approfondimento  chi, come il sottoscritto, ritiene inscritta nella nostra  Costituzione una gerarchia etica  dei diritti sociali  e  ritiene non contrapposta ad essa   l’iniziativa economica privata  di cui  all’art 41, riconducibile anch’essa, come  diritto  di cittadinanza,  alla tutela accordata al  lavoro,  quale  fondamento della Repubblica, dall’art 1 della Costituzione repubblicana.

 

 

 

Recensione a cura di Giuseppe Di Gaspare