Un’utopia giuridica necessaria. La prima cosa che viene in mente al termine della lettura, con occhio nuovamente alla copertina, è che il titolo non renda in pieno il contenuto del saggio. Sarebbe da aggiungere, dopo utopia, la parola “giuridica” : “Solidarietà, un’utopia giuridica necessaria”. Perché di questo si tratta, dell’essenza giuridica della solidarietà sociale, stante che essa appare in primo luogo come utopia costituzionalizzata e dunque fondativa dell’assetto democratico dello stato democratico di diritto. Senza solidarietà il funzionamento della democrazia stessa risulterebbe menomato ed il consenso sociale, su cui essa si fonda, sgretolandosi farebbe vacillare lo stato di diritto nelle sue fondamenta. Rischio che il saggio tiene sempre ben presente. L’essenzialità del giuridico per l’effettività sociale della solidarietà è immediatamente evidenziata nel testo. Il saggio – o piuttosto il pamphlet, per la verve lucida e appassionata che lo anima – si propone infatti di contrastare “la cancellazione del principio di solidarietà come guida dell’azione pubblica” e dunque la sua “amputazione indebita dall’ordine giuridico” ( p.5). A questo fine l’autore, con sguardo retrospettivo, ripercorre il processo di costituzionalizzazione dell’utopia solidale per arrivare negli ultimi capitoli ad interrogarsi sulla sua declinazione giuridica, come “principio unificante” per/ una globalizzazione solidale.
L’emergere di un principio giuridicamente vincolante di solidarietà è abbozzato, nei primi sette capitoli, con una rapida ed efficace contrapposizione concettuale dualistica. L’enucleazione del concetto giuridico, nel suo farsi storico, prende forma per comparazione con categorie limitrofe come “dovere morale”, “fraternità”, “cittadinanza” “diritti e doveri di cittadinanza”, “carità” (privata) e “assistenza” ( statale). Tramite questi raffronti – necessariamente essenziali nel loro svolgimento – scaturisce a tutto tondo il significato specifico della solidarietà “principio costituzionale” dovere giuridico, non è riducibile alla sfera interna del comportamento individuale. Si finirebbe in un ambito morale d’irrilevanza per il diritto che nulla ha a che vedere con l’intervenuta sua costituzionalizzazione nel corso del secolo XIX e XX. Nel saggio invece la solidarietà è immediatamente ricondotta – direi d’istinto – pena la sua dissolvenza come concetto giuridico, allo schema del rapporto giuridico. Non in modo esplicito, ma per il fatto stesso di essere un “vincolo” che giuridicamente lega gli individui all’interno di una comunità d’ appartenenza che, dilatandosi dal cerchio più ristretto della cittadinanza, non può non includere l’umanità tutta. Nel ragionamento proposto, contrastare la deriva teorica e pratica che tende ad escludere il principio dall’ambito della rilevanza del giuridico, negando al contempo il suo universalismo, permette di evitare la trappola dell’inferenza economicista che spiega l’emarginazione sociale come effetto collaterale della competizione nell’economia di mercato, descrivendo l’assenza di solidarietà come una fenomenologia naturale e dunque giuridicamente lecita. Lo sguardo retrospettivo di Rodotà ci riporta su altra pista. Dal momento della sua primordiale costituzionalizzazione nel principio di fraternità, la solidarietà si distacca e si contrappone alla sfera morale e all’indifferenza giuridica, acquistando poi nelle costituzioni democratiche la consistenza del diritto costituzionalmente fondato, distinto dalla politica caritatevole dello stato del benessere (welfare state) come, mi verrebbe da sottolineare, da quella assistenziale dello stato sociale. In questo modo nel rapporto giuridico solidaristico, come vincolo collettivo e individuale, dunque emergono simmetricamente correlate le posizioni giuridiche del dovere e del diritto.
In questo percorso ricostruttivo, i dualismi concettuali – dei primi paragrafi – illuminano così di riflesso il contenuto intrinsecamente giuridico del vincolo – costituzionale socialmente “pro attivo” della solidarietà. L’itinerario storico del concetto è ripercorso per cenni, nel suo impasto tra storia e teoria, dipanando il nesso di continuità costituzionale che dalla rivoluzione francese – principio di fraternità – perviene alla inclusione dei diritti sociali nella carta di Nizza e poi nel Trattato di Lisbona del 2007. Approdo quest’ultimo peraltro ancora misconosciuto che invece rappresenta, nella prospettiva indicata dall’autore, il coronamento del processo di costituzionalizzazione del principio solidaristico nello spazio giuridico europeo. A ciò potrebbe essere aggiunto in un ottica di politiche pubbliche il richiamo al connesso principio, tuttora formalmente in vigore e risalente al trattato istitutivo della CEE del 1958, della “coesione economico e sociale” della Comunità, come obiettivo e impegno politico, anche finanziario, comune degli stati membri.
L’affermazione del principio non però è storia formale di statuti e di trattati. La costituzionalizzazione – ricorda l’autore – ha segnato piuttosto l’esito del movimento di affrancazione delle masse popolari, che si stabilizza nel secondo dopoguerra in Europa con il radicamento del vincolo solidaristico nelle costituzioni democratiche. La costituzionalizzazione, nondimeno, una volta intervenuta vive di vita propria e di autonoma forza normativa. La solidarietà dunque è sicuramente il lascito dei partiti politici che ne hanno storicamente rivendicato l’attuazione, ma la sua storia non finisce con quell’esito. La “scomparsa dei partiti di massa” (p. 66) non pregiudica infatti la forza del principio giuridico solidaristico costituzionalizzato. Sarebbe “ un errore storiografico “ un fraintendimento ricostruttivo, l’insistere sulle versioni rivendicazionistiche …” ( p. 29). E’necessario prendere atto della cesura. Il principio, una volta costituzionalizzato, si distacca dalla sua genesi e sopravvive autonomamente. L’utopia vive e vige giuridicamente ora per intrinseca forza normativa.
Si potrebbe dire – cercando di sintetizzare la parte ricostruttiva del saggio – che nella costituzione degli stati democratici e tramite essa si è concretata la trasmutazione della solidarietà da forza politica sociale in forza giuridica non reversibile nella sua effettività come principio giuridico “pro attivo”. Con la conseguenza che la battaglia, ora globale per la sua attuazione, vede in prima linea anche l’interpretazione e l’attuazione del diritto.
Globalizzazione, etica e gerarchia etica dei diritti sociali. In questo approccio universalistico, la solidarietà come vincolo diffuso e connettivo della società civile democratica, è non necessariamente e non solo fenomenologia di diritto pubblico. In questo senso, il saggio sembra prendere di fatto le distanze implicitamente dalla concezione teorica dell’indirizzo politico costituzionale che appare sempre più, almeno al sottoscritto, lascito dottrinario del periodo fascista e di una visione magari alternativa ma comunque totalitaria. Nei suoi caratteri costitutivi la solidarietà si declina tanto nella società (civile) quanto nello sfera pubblica, e penetra lo spazio giuridico più esteso della Unione europea grazie alla sua (piena ) costituzionalizzazione con il trattato di Lisbona. L’utopia dunque ha seguito, nel suo farsi diritto, l’estendersi dell’ordinamento giuridico dagli stati nazione all’ordinamento comunitario. La solidarietà non si lascia perciò ingabbiare nella “circoscrizione statale” e la sua applicazione coincide (essenzialmente) con l’espansione dell’economia di mercato, del quale costituisce – è questo il punto – un intrinseco correttivo. In quest’ambito di rilevanza giuridica ordinamentale la solidarietà rifugge dall’assimilazione alla generica attività assistenziale (statale) o alla carità (privata). Essa non si lascia neppure “sequestrare dalla politica” e si manifesta invece per integrazione – coessenziale – “ nella trama dei rapporti economici” come elemento “strutturale” degli stessi ove, però, appare sostanzialmente quale antitodo giuridico alla logica del profitto (p. 55 e 70). In questo senso il principio è un correttivo intrinseco dei diritti di proprietà e d’impresa e si raccorda alla centralità costituzionale del lavoro, in contrapposizione al modello antropologico dell’individualismo proprietario. Il tratteggio rapidamente schizzato, del fondamento del dettato costituzionale dell’individuo solidale, poggia così sulla sequenza dignità, libertà dal bisogno, autonoma ricerca della felicità personale e garanzia delle condizioni di esistenza libera e dignitosa. Questa libertà di ricerca implica in termini di effettività la garanzia giuridica di un reddito minimo universale che sottragga l’individuo “all’angustia della disoccupazione”. In questi passaggi, la tensione utopica del saggio, mantenendo l’aggancio agli articoli della costituzione repubblicana, si fa più forte e rileva la robusta trama del pensiero giuridico dell’autore che dischiude orizzonti poco esplorati per la riflessione giuridica e politica.
Rimossa al termine nella prima parte “l’amputazione giuridica” della solidarietà, i lettori, “liberi da una serie di ambiguità e fraintendimenti”, sono chiamati, nell’ultima parte del libro ( paragrafo 8 e successivi), a confrontarsi con l’ ”interrogativo radicale” della sopravvivenza e delle nuove forme giuridiche del principio nell’epoca della globalizzazione. E’ possibile una globalizzazione solidale? La tensione tra politica, etica e diritto raggiunge a questa svolta del discorso il suo acme di lucida analisi e, al contempo, di provocazione intellettuale. La solidarietà come scandalo nella parabola del buon samaritano ( p.85)? Come può la solidarietà continuare ad esprimersi come principio unificante, nei processi di disgregazione in atto per effetto della globalizzazione, (p .30 e 90)? Quali soggetti oggi possono fare da leva alla globalizzazione solidaristica? Chi può rivendicarla e rappresentarla a livello globale? Come contrastare l’ “ordine normativo” emanante dal potere sovrano finanziario globalizzato? Questi sono gli interrogativi che generano la riflessione e le risposte della seconda parte del saggio.
Difficile in particolare non convenire, per me, sulla virulenza delle crisi sistemiche correlate alle dinamiche del potere finanziario, avendone rintracciato le cause e analizzato gli effetti sulla decostruzione dello stato di diritto in due recenti studi monografici. Il conflitto – nota giustamente Rodotà – si manifesta in particolare sul terreno della vigenza delle norme transnazionali che richiama l’attenzione sul tentativo delle grandi corporazioni transnazionali di instituire un arbitro privato sovranazionale cui ricorrere per sottrarsi al diritto statale. S’indica – puntando ancora una volta il dito nella giusta direzione – nel Transatlantic Trade and Investment Partnership, l’ accordo sull’integrazione economica e finanziaria in corso di negoziazione tra Ue e Usa, il cavallo di troia di una lex mercatoria globale svincolata dal diritto degli stati (p.120ss).
Come farvi fronte? Più che un nuovo mega soggetto collettivo antagonista di classe, il contropotere in formazione sembra formarsi in modo cumulativo dall’aggregazione di soggettività, coalizzanti interessi socialmente diffusi e oppositivi che maturano in settori e luoghi diversi del pianeta, perseguendo la libertà di informazione, libertà da nuovi e vecchi bisogni indotti dalla tecnologia, l’affrancazione da uno sfruttamento del lavoro che riappare sotto nuove forme giuridiche. L’incertezza sociale aggredisce i fondamentali diritti individuali, manifestandosi in un rischio endemico dei rapporti sociali e direi di inedite concatenazioni servili anche nel mondo occidentale. L’approccio rifugge dal “realisticamente rassegnato” indicando le potenzialità di un contropotere democratico, ricercandone la manifestazione nel campo del diritto. Si coglie, in questi passaggi, un’assonanza e quasi una sponda giuridica a riflessioni, come quella di U. Beck ( potere e contropotere nell’età globale,Bari 2010) e di altri autori, di cui Rodotà dà conto nel libro. Per ricostruire un tessuto connettivo di solidarietà contro l’estrema forma di un capitalismo irresponsabile e deresponsabilizzante, è necessario gioco forza ripartire dalla frantumazione delle “ comunità locali chiuse”, travolte dal vortice della globalizzazione. Non si può tornare indietro con un arroccamento, però, negli stati nazionali. Bisogna piuttosto ripartire dalla consapevolezza che matura nelle “ reti di globalità”, dell’esistenza di un rischio condiviso che sollecita l’ aggregazione di “comunità del rischio globali” e di “ sfere pubbliche transnazionali”. All’esigenza di contrapporre alle “norme transnazionali” del capitalismo finanziario globale le nuove “norme cosmopolite” invocate da Beck (cit. 133) sembra rispondere Rodotà, incentrando su di esse le considerazioni conclusive del saggio.
Come rafforzare le nuove fonti di produzione di norme e di giurisdizione in grado di contrastare il diritto arbitrale dei conglomerati transnazionali ? Decisioni e risoluzioni di giurisdizioni e di organismi sovranazionali sono indagate con la maestria di un ragionamento tecnico giuridico reso accessibile ai non addetti ai lavori. Segnali, a volte deboli, a difesa dei diritti fondamentali. Pragmaticamente tramite essi si intravede comunque il formarsi di un principio di speranza contrapposto al rischio sistemico ( J. Dewey, comunità e potere, Firenze,1979,124). Non solo diritto cosmopolita, anche lo stato democratico ha un ruolo centrale nella battaglia per un nuovo universalismo dei diritti. “La garanzia dello stato è indispensabile tutte le volte che si deve giungere alla attribuzione di un diritto” ( p. 110, 117). Non progetto statico redistributivo di “beni” quanto, piuttosto, “ una redistribuzione di potere che attribuisca a un gruppo di persone interessate l’accesso e la gestione di una determinata categoria di beni. Anche beni “patrimonio dell’umanità” ( p.120) “ identificati non dalla natura del bene ma dal rapporto che si istituisce con i diritti fondamentali della persona”. Un universalismo dei diritti individuali ( p.109) che va nella direzione di un nuovo diritto comune, fondato sull’autonomia delle persone più che sul diritto pubblico. Appaiono, in questi passaggi, punti di contatto con ipotesi esplorate anche da altri autori come “ pianeta patrimonio di tutti” ( P. Barnes ( capitalismo 3.0, 2007), che contrappone all’ascesa delle corporation transazionali la costituzione di trust sovranazionali per la protezione di beni patrimonio dell’umanità. Sul terreno della tutela dei diritti fondamentali – dalla privacy sui social media alla dignità delle persone, al diritto all’ informazione – osserva Rodotà – possono trovare utile impiego “strumenti più facilmente gestibili dagli interessati” come il contratto ( p.130). Nel capitolo “solidarietà risorse e politica” si formulano proposte operative, alcune vere provocazioni, come quella di collegare la quota della spesa sociale ad una percentuale del Pil ( p-129). L’esortazione a continuare a pensare la solidarietà dal punto di vista cosmopolita “della nascita delle norme che dovrebbero governare le relazioni tra gli individui in una società civile globale “( 136) chiude, con un rimando alla vigenza della solidarietà politica, sociale e economica di cui all’art 2 della Costituzione, l’itinerario, costituzionalmente ispirato e lungimirante, dell’appassionato e lucido saggio.
Che dire in conclusione? E’il caso di rinviare al testo e farsi trascinare dalla forza dell’argomentazione che fa leva sulla necessaria condivisione dell’ opzione socialmente inclusiva che la piena tutela della dignità della persona implica. Ne consegue lo sgretolamento interno dell’ideologia capitalistica per l’affermazione diffusa nella società di valori individuali di rango costituzionale geneticamente contrapposti alla logica dell’homo economicus e alla religione del mercato. Punti di contatto laico con il recente appello del papa alla solidarietà globale? Convergenze anche con un’ etica liberale? Netta è nel saggio la ripulsa dell’etero determinazione sul “governo della vita” degli individui ( p.77). La politica è costantemente ridimensionata al rispetto anche dei diritti sociali fondamentali ( p.124). Ripulsa genuinamente liberale la sottrazione della “ solidarietà al riduzionismo imposto dalle logiche burocratiche”( p. 66). Una notazione personale infine. Etica dei diritti sociali e una concezione del lavoro inteso come diritto che supera il tradizionale paradigma del lavoro come lavoro dipendente, stimolano ad un ulteriore approfondimento chi, come il sottoscritto, ritiene inscritta nella nostra Costituzione una gerarchia etica dei diritti sociali e ritiene non contrapposta ad essa l’iniziativa economica privata di cui all’art 41, riconducibile anch’essa, come diritto di cittadinanza, alla tutela accordata al lavoro, quale fondamento della Repubblica, dall’art 1 della Costituzione repubblicana.