La pronuncia in esame tra origine dall’appello proposto contro la sentenza con cui il TAR della Valle d’Aosta aveva annullato l’aggiudicazione definitiva dell’appalto avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori di sostituzione delle barriere spartitraffico lungo una parte dell’autostrada A5, disposta dalla società di gestione in esito a procedura ristretta indetta col criterio del prezzo più basso.
L’esito di tale gara era stato ritenuto illegittimo in conseguenza della mancata esclusione del r.t.i. aggiudicatario, pur avendo quest’ultimo omesso di indicare, al momento della presentazione dell’offerta, l’impresa alla quale avrebbe affidato in subappalto l’esecuzione di quelle lavorazioni scorporabili per le quali non era in possesso dei requisiti di qualificazione ritenuti indispensabili dall’art. 107, comma 2, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 107.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, avendo registrato un contrasto giurisprudenziale, aveva rimesso all’Adunanza Plenaria la soluzione della questione relativa alla necessità che l’impresa concorrente – sprovvista dei requisiti di qualificazione richiesti, ai fini dell’esecuzione di una o più categorie di lavori scorporabili, dall’art. 107, comma 2, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 107- debba indicare a pena di esclusione, già al momento della presentazione dell’offerta, l’impresa alla quale intende subappaltare l’esecuzione di quelle opere per cui non possiede la qualificazione necessaria.
Sul punto, fino alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria, erano state fornite soluzioni diverse dalla giurisprudenza amministrativa.
Secondo un primo orientamento, l’esigenza di verificare che ciascuna impresa concorrente sia in possesso della necessaria qualificazione impone di indicare, già in sede di offerta, il nominativo del subappaltatore. Solo in tal modo, infatti, è possibile consentire alla stazione appaltante di esercitare il controllo in merito al possesso de i requisiti di capacità richiesti ai fini dell’esecuzione dei lavori (in questo senso, Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2015, n. 944; sez. V, 10 febbraio 2015, n. 676; sez. V, 28 agosto 2014, n. 4405; sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4299; sez. IV, 26 maggio 2014, n. 2675; sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1224; sez. III 5 dicembre 2013, n. 5781).
Il secondo orientamento, rimasto minoritario fino alla pronuncia in esame, riteneva, invece, che una corretta interpretazione del sistema di regole in materia di verifica dei requisiti di qualificazione obblighi l’impresa concorrente esclusivamente alla indicazione delle opere scorporabili per le quali, essendo sprovvista della qualificazione richiesta dalla normativa vigente, dovrà ricorrere al subappalto, senza che sia tuttavia tenuta a specificare anche il nominativo del subappaltatore (in questo senso, Cons. St., sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2223; sez. V, 7 luglio 2014, n. 3449; sez. V, 19 giugno 2012, n. 3563).
L’Adunanza Plenaria, al fine di poter dare soluzione alla questione appena richiamata, effettua in via preliminare una disamina della normativa generale in tema di requisiti di partecipazione alla gara e di quella speciale in materia di validità ed efficacia del subappalto.
Per quanto riguarda il primo aspetto, i giudici di palazzo Spada osservano che l’art. 92, commi 1 e 3, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, si limita a prescrivere, ai fini della partecipazione alla gara, che il concorrente sia in possesso della qualificazione necessaria per la categoria prevalente, purché tale qualificazione si estenda all’importo totale dei lavori. Inoltre, secondo il Collegio, dal combinato disposto degli artt. 92, comma 7 e 109, comma 2, d.P.R. cit. e 37, comma 11, d.lgs. 12 aprile 2006, n.163, è dato evincere esclusivamente che il concorrente privo della qualificazione per le opere scorporabili indicate all’art.107, comma 2, non può eseguire direttamente le relative lavorazioni ma le deve subappaltare a un’impresa in possesso dei necessari requisiti.
Per quanto, invece, riguarda la ricognizione della normativa in materia di efficacia e validità del subappalto, il Collegio statuisce che l’art. 118 del Codice dei contratti pubblici dispone esclusivamente che il concorrente, all’atto dell’offerta, debba indicare le lavorazioni che intende subappaltare, trasmettendo solo successivamente (almeno venti giorni prima dell’inizio dei lavori subappaltati) il contratto di subappalto.
E ciò in quanto, essendo il subappalto un istituto che attiene alla fase dell’esecuzione dell’appalto, gli eventuali vizi che lo caratterizzano si considerano quali ipotesi di inadempimento contrattuale ma non riguardano, invece, l’attività di controllo sui requisiti di partecipazione.
All’esito della ricostruzione normativa dianzi richiamata, l’Adunanza Plenaria statuisce che il sistema normativo in materia è chiaro, univoco e privo di aporie o lacune e, pertanto, non necessita di alcuna operazione ermeneutica di tipo estensivo che, infatti, non avrebbe altro risultato se non quello di introdurre una ulteriore condizione di validità del subappalto non corrispondente alla volontà del legislatore.
A sostegno di tale posizione il Consiglio di Stato cita una serie di argomentazioni sia di diritto interno sia di diritto europeo.
In primo luogo, secondo l’Adunanza Plenaria, depongono a favore della soluzione adottata sia l’avvenuta abrogazione di quella disposizione della legge Merloni, n. 109/1994 che prevedeva l’obbligo di indicare, già nella fase dell’offerta, una rosa di imprese nel cui ambito avrebbe poi dovuto essere scelta l’affidataria delle opere da subappaltare sia i lavori preparatori del disegno di legge recante la delega al Governo per il recepimento delle direttive 23, 24 e 25/2014/UE.
In quest’ambito, infatti, è emersa la volontà di reintrodurre l’obbligo di indicare una terna di subappaltatori.
Ciò, secondo il Consiglio di Stato, conferma che l’attuale silenzio del legislatore non può essere colmato in via interpretativa ma solo attraverso una espressa scelta legislativa di senso contrario.
Inoltre, come segnalato dal Collegio, anche una ricognizione delle direttive europee in materia di appalti conduce al medesimo risultato, rimettendo sostanzialmente la soluzione della questione alla discrezionalità dei singoli Stati membri – o della stazione appaltante – e precludendo, quindi, in attesa di una presa di posizione sul punto, qualsiasi intervento da parte della giurisprudenza.
Nella medesima direzione anche l’ANAC che ha più volte ribadito il principio dell’obbligatorietà della sola indicazione delle lavorazioni che si intendono affidare in subappalto (sul punto, si veda la recente determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015).
Ed ancora, il Collegio ha sottolineato il rischio di effetti distorsivi del sistema insito in una soluzione diversa da quella adottata con la sentenza in esame.
Infatti, l’affermazione dell’obbligo di indicare il nominativo del subappaltatore all’atto dell’offerta si risolverebbe in una clausola di esclusione non prevista, con evidente violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, codificato dall’art46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici.
L’ambito di applicazione di tale principio, secondo il consolidato insegnamento della Plenaria (nn. 9 e 16 del 2014), riguarda, infatti, le sole ipotesi di violazione di adempimenti doverosi prescritti in maniera espressa, chiara e cogente.
Inoltre, una diversa soluzione determinerebbe, come già evidenziato, una sostanziale confusione tra il subappalto, che riguarda esclusivamente la fase dell’esecuzione dell’appalto, e l’avvalimento che, invece, si colloca nella fase della gara e, in particolare, nell’ambito del subprocedimento volto alla verifica del possesso dei requisiti di qualificazione.
Infine, secondo la Plenaria, va considerato anche il rischio di una distorsione del mercato nella misura in cui le imprese concorrenti sarebbero vincolate a scegliere il subappaltatore già nel momento della gara.
a cura di Filippo Lacava