Indagine sulla prevenzione del fenomeno NEET mediante l’alternanza scuola-lavoro: i primi spunti

26.11.2015

a cura di Luciano MONTI

Nel corso del primo semestre 2015, grazie al contributo dell’Associazione CIVIS, nell’ambito dell’Osservatorio economico internazionale della Fondazione Bruno Visentini, abbiamo cominciato a ragionare su quale potessero essere i migliori strumenti per maggiormente contribuire alla lotta contro il dilagare del fenomeno dei giovani NEET (Not in Education, Employment or Training).

In campo due importantissime iniziative che hanno preso il via nel secondo semestre di quest’anno, messe a fuoco nel corso di un primo focus group tenutosi nel mese di settembre scorso, con esperti del MIUR e delle parti sociali. Da un lato, il rinnovato interesse per gli strumenti di alternanza scuola-lavoro promosso sin dal luglio 2013 dalla dichiarazione congiunta della presidenza di turno della UE e dalle parti sociali European Alliance for Apprenticenship e, a livello del nostro Paese, la spinta voluta dalla legge “La Buona Scuola” all’alternanza e alla successiva introduzione delle linee guida. Dall’altro, l’avvio del nuovo Programma Operativo Nazionale 2014-2020 (FSE-FESR) Per la Scuola, Competenze e ambienti per l’apprendimento, in capo al MIUR, che, per la prima volta, interessa tutto il territorio nazionale e impegna oltre 3 miliardi di euro tra fondi comunitari (1,6 miliardi) e risorse nazionali (1,4 miliardi).

Un interesse maturato anche grazie ad una ricerca svolta con il ClubdiLatina sui divari generazionali che ha condotto alla pubblicazione, sempre quest’anno, del volume Divario Generazionale. Il senso della Dismisura, edito nella Collana “Ricerche del Comitato Scientifico” della Fondazione Bruno Visentini.

Nell’avviare questa indagine siamo stati mossi anche da una preoccupazione, cioè il mancato decollo dell’altro grande strumento messo in campo dall’Europa e dal nostro Paese per lottare contro il fenomeno in questione, cioè la Garanzia Giovani. Una esperienza quest’ultima che ha dimostrato e dimostra come sia illusorio puntare tutto sull’offerta (orientamento e formazione) senza tenere in debito conto la domanda (di posti di lavoro) e come non sia possibile standardizzare gli interventi nelle diverse realtà regionali (da un lato la Lombardia che aveva già sperimentato la Dote lavoro e dall’altro realtà come la Campania, la Calabria e la Sicilia con tassi di NEET molto più elevati della media nazionale).

Su questi punti e consapevolezze si è quindi innervata l’Indagine sulla prevenzione del fenomeno NEET mediante l’alternanza scuola-lavoro, che peraltro non potrà che fornire le prime significative indicazioni e valutazioni di impatto tra qualche anno. E’ evidente, infatti, che le serie storiche degli studenti 15-18 in alternanza vanno rapportate con quelle dei NEET 18-24 riferite quantomeno al triennio successivo. Se non altro nel caso di giovani laureati. Inoltre, solo i dati degli anni scolastici 2015-2016 e 2016-2017 potranno fornire il primo dato consolidato sulla riforma della Buona Scuola e sull’attuazione del citato PON Per la Scuola 2014-2020.

La lettura e l’esame dei dati forniti da Indire (MIUR) sulla trascorsa esperienza pre riforma (le serie storiche dall’a.s. 2009-2010 all’a.s. 2013-2014[1]) ci permettono, già in questa sede, di enucleare alcuni snodi cruciali, intervenendo sui quali sarà possibile assicurare una maggiore efficacia alle azioni messe in campo a livello comunitario e nazionale.

Questi snodi, o variabili di rottura, sono a nostro parere tre: il numero e la tipologia delle imprese coinvolte nel percorso di alternanza scuola-lavoro; il numero degli studenti coinvolti e infine il numero degli Istituti scolastici coinvolti.

Vediamo separatamente i dati relativi a queste variabili disaggregate per macro aree e regioni. La scelta di concentrarsi per ora solo sul Centro-Nord del Paese non è ideologica ma meramente dettata da fattori operativi: la rilevanza delle esperienze in queste regioni del Paese è maggiormente significativa e dunque anche le varianze. Una operazione analoga è possibile e anzi sarà necessaria anche nelle regioni del Sud, ancorché in queste ultime dovranno essere tenute in conto anche altre variabili che “complicano” il modello di indagine, come, solo per fare qualche esempio, l’elevato tasso di dispersione scolastica e il basso tasso di occupazione che affligge cronicamente le nostre regioni meridionali.

Sul versante delle imprese, il primo dato positivo che è possibile cogliere è quello della crescita della partecipazione alle iniziative pilota dell’alternanza, registrando, sia al Nord che al Centro del Paese, un incremento, nell’ultimo triennio, di circa il 40%. Un dato questo molto importante se si considera che le oltre 53mila aziende coinvolte nell’a.s. 2013-2014, hanno rappresentato circa il 60% delle strutture ospitanti, vale a dire sei su dieci.

Un esame più approfondito tuttavia ci mostra un tessuto industriale a “geometria variabile”, con tassi di coinvolgimento elevati sino al 75% (in Piemonte) e inferiori al 50% (nel Lazio), come evidenziato nelle sottostanti Fig. 1A e Fig. 1B.

 

Fig. 1A Imprese del Nord

Fig 1A

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Fig. 1B Imprese del Centro

Fig 1b

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Sul versante degli studenti coinvolti, i numeri mediamente registrati nell’ultimo triennio e oscillanti tra i 210 e i 220mila i non devono far pensare che il fissato traguardo dei 520mila studenti da coinvolgere nell’a.s. 2015-2016 sia un traguardo facile da raggiungere soprattutto se visto a livello regionale (v. Fig. 2A e Fig. 2B).

Fig. 2A Numero studenti in alternanza regioni del Nord

Fig 2a

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Fig.2B Numero studenti in alternanza regioni del Centro

Fig 2B

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Questo per due motivi: il primo è che le esperienze di alternanza raramente si sono attestate sul monte ore stabilito dalla nuova normativa e l’altro che – “Garanzia Giovani” docet -, nessuno sforzo sull’offerta (di alternanza) potrà portare a risultati significativi se non si lavora anche dal lato della domanda, o meglio, della capacità di accoglienza, da parte delle strutture coinvolte/coinvolgibili nei percorsi.

Questo è il tema che conduce al terzo indicatore, cioè a quello relativo al numero e alla tipologia degli istituti attivatisi sino ad ora per progettare offerta di alternanza ai loro studenti. Dall’esame delle singole realtà territoriali sono emersi diversi gradi di “elasticità” di tale offerta. Per esempio una forte elasticità in Veneto e una bassa elasticità in Liguria. (v. Fig. 3A e Fig. 3B).

Fig. 3A Variazioni in percentuale del numero di istituti scolastici di II grado coinvolti con riferimento all’a.s. 2009-2010 nelle regioni del Nord

Fig 3a

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Fig. 3B Variazioni in percentuale del numero di istituti scolastici di II grado coinvolti con riferimento all’a.s. 2009-2010 nelle regioni del centro

Fig3B

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Un indicatore questo che va letto in chiaroscuro. Da un lato, una alta elasticità può significare un maggiore grado di reattività della piattaforma degli Istituti scolastici su un dato territorio ai nuovi impulsi della riforma e del possibile sostegno comunitario. Dall’altro, la stessa forte elasticità, dunque forti varianze del tasso di partecipazione da un anno ad un altro, potrebbe anche essere il segnale di allarme di una offerta molto fragile e in ultima analisi occasionale.

Infine, l’esame di questi dati ci ha permesso di verificare le prime proporzioni tra la partecipazione aziendale al percorso di alternanza e la partecipazione degli studenti. Come si evince dai grafici in Fig. 4, la correlazione è maggiormente evidente nelle regioni del Nord e meno in quelle del Centro, dove, probabilmente le imprese giocano un ruolo meno centrale nell’economia della alternanza. Il condizionale è d’obbligo in attesa di serie storiche più consistenti ma ciò deve indurre, anche in una chiave di lettura che si spinga al Sud del Paese, a considerare anche percorsi “alternativi”.

Fig. 4A Studenti partecipanti e imprese coinvolte nelle regioni del Nord

Fig4a

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Fig. 4B Studenti partecipanti e imprese coinvolte nelle regioni del Centro

Fig4b

Fonte: Nostra elaborazione su dati Indire (MIUR)

Scendendo nel dettaglio delle singole realtà regionali e dei comparti delle imprese coinvolte nell’alternanza, è tuttavia possibile sin da ora rilevare una corrispondenza tra maggiore quota di aziende manifatturiere e più alto numero di studenti coinvolti, a conferma del potere attrattivo di queste tipologie di aziende molto improntate al saper fare.

Si pensi, per esempio, che nel 2012, a pressoché parità di peso delle imprese in Lombardia (10,11% del totale delle imprese) e in Friuli (9,62%), nella prima regione le imprese manifatturiere hanno rappresentato oltre un terzo delle imprese coinvolte in alternanza, mentre nella seconda meno del 5% con differenti impatti sul tasso complessivo di partecipazione dei giovani ai percorsi. Il settore manifatturiero continua dunque ad essere ancora maggiormente attrattivo

[1] I dati sull’a.s.2014-2015 non erano ancora disponibili alla data dell’intervento

 

NOTA: Estratto dell’Intervento di Luciano Monti, Coordinatore Osservatorio economico internazionale della Fondazione Bruno Visentini  al Convegno “L’alternanza scuola-lavoro alla luce delle linee guida del Governo e del PON Scuola” tenutosi a Roma, 24 novembre 2015, LUISS – Aula Magna Mario Arcelli. Si ringrazia per la collaborazione Roberto Cerroni della Fondazione Bruno Visentini.

a.feola


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