Giudizi per conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della sentenza della Corte di cassazione, quinta sezione penale, del 19 settembre 2012, n. 46340, delle ordinanze della Corte d’appello di Milano, quarta sezione penale, del 28 gennaio 2013 e del 4 febbraio 2013 e della sentenza della Corte d’appello di Milano, quarta sezione penale, del 12 febbraio 2013, n. 985, promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Oggetto dei ricorsi
I ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri, pur riguardando diversi provvedimenti giurisdizionali, hanno ad oggetto la stessa vicenda processuale, concernente il procedimento penale contro gli imputati Pollari, Di Troia, Ciorra, Mancini e Di Gregori per il sequestro di Abu Omar.
Per quanto riguarda la sentenza n.46340/2012 della quinta sezione penale della Corte di cassazione, il ricorrente reputa essersi realizzata, attraverso la pronuncia di annullamento con rinvio delle statuizioni di proscioglimento adottate dai giudici di entrambi i gradi di merito (che avevano riconosciuto l’esistenza di una preclusione processuale derivante dal vincolo del segreto) una lesione delle proprie attribuzioni concernenti l’opposizione, la tutela e la conferma del segreto di Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c) della legge n. 124/2007.
La sentenza della Cassazione ha annullato con rinvio la pronuncia della Corte d’appello di Milano del 15 dicembre 2010, con la quale era stata confermata la declaratoria di improcedibilità dell’azione penale nei confronti degli imputati, ai sensi dell’art. 202 c.p.p., sulla base della preclusione processuale derivante dal vincolo del segreto.
Tale annullamento occorreva sulla base dell’assunto per cui il vincolo del segreto dovrebbe intendersi circoscritto alle sole operazioni che avessero coinvolto ufficialmente i Servizi nazionali e stranieri, legittimamente approvate dai vertici dei Servizi italiani.
Collegata a tale rivendicazione è quella che deduce il medesimo vizio anche in riferimento all’annullamento delle ordinanze pronunciate il 22 e 26 ottobre 2010, nelle quali la Corte d’appello di Milano aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori.
Dal momento che, secondo il ricorrente, non spettava alla Corte di cassazione reputare che il segreto fosse limitato alle sole operazioni ufficiali dei Servizi, risulterebbe illegittima la decisione anche nella parte in cui ha limitato la inutilizzabilità delle testimonianze e delle altre acquisizioni in merito agli interna corporis, affermando la utilizzabilità processuale di quegli elementi in relazione alle condotte poste in essere a titolo individuale, in quanto realizzate senza l’approvazione del SISMI.
Sarebbe lesiva delle prerogative del ricorrente anche l’ordinanza pronunciata, in sede di giudizio di rinvio, dalla Corte d’appello di Milano il 28 gennaio 2013, con la quale era stata accolta la produzione dei verbali di interrogatorio resi nel corso delle indagini dagli imputati.
Tale lesione viene infine denunciata anche in riferimento alla ordinanza del 4 febbraio 2013, con la quale la Corte milanese aveva omesso di chiedere la conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati.
L’intera gamma delle censure è stata ripresa anche nel secondo ricorso, rivolto contro la sentenza pronunciata all’esito del giudizio di rinvio dalla Corte d’appello di Milano il 12 febbraio 2013 e con la quale gli imputati erano stati condannati per il sequestro Abu Omar, nonché contro le già richiamate ordinanze con le quali erano stati acquisiti gli interrogatori resi dagli imputati nel corso delle indagini, senza procedere all’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri per la conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati medesimi nel corso della udienza del 4 febbraio 2013.
Un ulteriore censura, posta a base di tale secondo ricorso, ha riguardato la pretesa violazione del principio di leale collaborazione, che sarebbe stata posta in essere dalla Corte d’appello di Milano laddove aveva omesso di sospendere il procedimento in corso di celebrazione, in attesa della decisione sul primo ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Da qui il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto per violazione degli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione e con riguardo agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell’art. 202 cod. proc. pen.) e 41 della legge n. 124 del 2007.
Argomentazioni della Corte
Al centro del giudizio c’è l’assunto sulla base del quale la Corte di cassazione ha annullato la sentenza di proscioglimento degli imputati, resa dalla Corte d’appello di Milano il 15 dicembre 2010. Il giudice di legittimità in quell’occasione ha ritenuto che il segreto di Stato sarebbe stato apposto su documenti e notizie che riguardavano i rapporti tra i Servizi italiani e quelli stranieri e sugli interna corporis del Servizio, ovvero sulla organizzazione dello stesso e sulle direttive impartite dal direttore dei Servizi. Il segreto, tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, non sarebbe stato apposto sull’operato di singoli funzionari che agivano al di fuori delle proprie funzioni. Considerato, dunque, che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva proclamato, in una nota dell’11 novembre 2005, l’estraneità del Governo e del SISMI ai fatti relativi al sequestro di Abu Omar, se ne doveva concludere che la partecipazione degli agenti del Servizio era avvenuta a titolo personale.
Da ciò il corollario per il quale sulle fonti di prova afferenti ad eventuali singole e specifiche condotte criminose poste in essere da agenti del SISMI non sarebbe stato apposto alcun segreto.
La Corte costituzionale richiama il precedente relativo alla sentenza n. 106 del 2009, in cui ha rilevato che la disciplina del segreto involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato-comunità alla propria integrità ed alla propria indipendenza, interesse che trova espressione nell’art. 52 della Costituzione in relazione agli artt. 1 e 5 della medesima Carta.
L’apposizione del segreto da parte del Presidente del Consiglio dei ministri non può impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato, ma può inibire all’autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto. In questo caso, il Presidente del Consiglio dei ministri gode di un ampio potere discrezionale, sul cui esercizio è escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni. Solo al Presidente del Consiglio dei ministri spetta dunque individuare il perimetro dell’oggetto del segreto.
L’affermazione della Corte di cassazione, secondo la quale il segreto non coprirebbe le condotte “extrafunzionali” che sarebbero state poste in essere dagli agenti del SISMI, è da intendere dunque come una sostanziale modifica di quello che era l’oggetto del segreto, come delimitato dal Presidente del Consiglio.
Inoltre, la tesi della Corte di cassazione secondo la quale il segreto non opererebbe, in quanto gli imputati avrebbero agito a titolo personale, risulta contraddetta dal fatto che nei confronti degli stessi è stata contestata e ritenuta l’aggravante di cui all’art. 605, secondo comma, n. 2), del codice penale (sequestro di persona aggravato se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni) e anche dalle circostanze evocate nel capo di imputazione, ove si formula un espresso riferimento, non soltanto alle qualità soggettive dei singoli imputati e al ruolo concretamente svolto in collegamento con la rete CIA in Italia, ma, anche, all’utilizzo, per la relativa operazione, di una struttura del SISMI, oltre che dell’apparato logistico di cui disponeva la rete CIA.
La Corte costituzionale si sofferma inoltre sul profilo della cosiddetta immunità funzionale degli appartenenti ai Servizi (art. 204, comma 1-bis, del codice di procedura penale).
In particolare, il divieto di segreto sulle attività “illecite” poste in essere dagli agenti dei Servizi in assenza ovvero oltre i limiti tracciati dalle direttive autorizzatorie (con il correlativo obbligo di informativa da parte del Presidente del Consiglio dei ministri) avrebbe dovuto imporre – ove l’assunto della Corte di cassazione fosse considerato corretto – una condotta del tutto antitetica rispetto a quella mantenuta nella vicenda da parte del ricorrente: la ribadita e confermata sussistenza del segreto, invece, ed il correlativo promovimento dei vari conflitti, attestano, di per sé, l’erroneità della tesi che vorrebbe ricondurre i fatti nel quadro di una iniziativa adottata “a titolo personale” dai vari imputati.
In tale prospettiva, la Corte ritiene che la copertura del segreto si proietti su tutti i fatti, notizie e documenti concernenti le eventuali direttive operative, gli interna corporis di carattere organizzativo e operativo, nonché i rapporti con i Servizi stranieri, anche se riguardanti le extraordinary renditions ed il sequestro di Abu Oma, a condizione che gli atti e i comportamenti degli agenti siano oggettivamente orientati alla tutela della sicurezza dello Stato.
Conclusioni
La Corte costituzionale rileva che non spettava alla Corte di cassazione annullare, con la sentenza n. 46340/12 del 19 settembre 2012, il proscioglimento degli imputati nonché le ordinanze emesse il 22 ed il 26 ottobre 2010, con le quali la Corte d’appello di Milano aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli indagati nel corso delle indagini preliminari.
Non spettava inoltre alla Corte d’appello di Milano, quale giudice del rinvio, ammettere (con l’ordinanza del 28 gennaio 2013) la produzione, da parte della Procura generale della Repubblica presso la medesima Corte, dei verbali relativi agli interrogatori resi nel corso delle indagini dagli imputati.
Alla Corte d’appello di Milano non spettava nemmeno – in riferimento alla ordinanza pronunciata il 4 febbraio 2013 – omettere l’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati nel corso della udienza; né – in relazione alla sentenza n. 985 del 12 febbraio 2013 – affermare la responsabilità penale degli imputati in ordine al fatto-reato costituito dal sequestro di Abu Omar; né emettere la sentenza innanzi indicata sulla base dell’utilizzazione dei verbali relativi agli interrogatori resi dagli imputati nel corso delle indagini preliminari senza che si fosse dato corso all’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli anzidetti imputati nel corso della udienza del 4 febbraio 2013.
Infine, spettava alla Corte d’appello di Milano non sospendere il procedimento penale a carico degli imputati in pendenza del giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
La Corte annulla dunque, nelle corrispondenti parti, la sentenza della Corte di cassazione e quella della Corte d’appello di Milano, insieme alle ordinanze anzidette, anch’esse nelle rispettive parti.
Giurisprudenza richiamata
– Sul segreto di Stato v. le sentenze nn. 86/1977, 106/2009 e 40/2012.