La ricorrente che impugna la propria esclusione dalla gara (e, solo di riflesso, l’aggiudicazione della commessa ad un terzo) non deve superare la cd. prova di resistenza (Consiglio di Stato, sez. V, 17 novembre 2014, n. 5632).

21.05.2015

A cura di Daniele Majori

 

Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha confermato che la ricorrente che impugna la propria esclusione dalla gara (e, solo di riflesso, l’aggiudicazione della commessa ad un terzo) non deve superare la cd. prova di resistenza.

 

Ai fini della dimostrazione del proprio interesse a ricorrere (id est: alla riammissione alla procedura) è sufficiente che la ricorrente esclusa alleghi doglianze tali da poter astrattamente condurre alla soddisfazione della pretesa che anche la propria offerta di gara formi oggetto di valutazione in comparazione con le altre.

 

Nella fattispecie, la società ricorrente in primo grado partecipava ad una procedura aperta, basata sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, indetta per l’affidamento del servizio di refezione scolastica. Successivamente, essa veniva esclusa dalla gara per il mancato raggiungimento del previsto punteggio complessivo minimo di 36 punti, all’esito della valutazione della propria offerta tecnica, alla quale ne erano stati assegnati solo 17.

 

Pertanto, la stessa società impugnava la propria esclusione, nonché il bando, il disciplinare, il capitolato speciale d’appalto, l’aggiudicazione provvisoria e, con motivi aggiunti, l’aggiudicazione definitiva in favore di un R.T.I. concorrente.

 

Il Tar Puglia – Lecce, accoglieva il ricorso con sentenza n. 1042/2014, disattendendo l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’R.T.I. aggiudicatario sotto il profilo del mancato superamento della c.d. prova di resistenza, per non avere la ricorrente dimostrato che – con l’attribuzione del maggior punteggio da essa rivendicato per l’offerta tecnica – essa avrebbe potuto vincere la gara.

 

Nello specifico, secondo il giudice di primo grado, la ricorrente aveva fornito la suddetta prova mediante la presentazione in giudizio di un “brogliaccio”, da cui sarebbe stato desumibile il tenore della sua offerta economica, la quale sarebbe risultata migliore di quella delle concorrenti.

 

Proponeva appello l’R.T.I. aggiudicatario, dolendosi, tra l’altro, del rigetto della suindicata eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado.

 

L’appellante obiettava, in sintesi, che al detto informale “brogliaccio” non avrebbe potuto riconoscersi alcun valore probatorio, essendo oltretutto l’offerta economica avversaria rimasta sigillata. E che il Tar, ai fini del superamento dell’eccezione, non avrebbe potuto fare a meno di ordinare alla stazione appaltante il deposito in giudizio della relativa busta, per poi aprirla.

 

Sul punto, il Consiglio di Stato ha ritenuto infondata la tesi dell’appellante, richiamando altresì quanto già osservato, dalla stessa Sezione Quinta, in una vicenda analoga (Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2013, n. 89).

 

Con la decisione citata, la Sezione Quinta aveva respinto l’analoga eccezione di inammissibilità opposta dall’Amministrazione sul presupposto della mancata dimostrazione, da parte della ricorrente, della maggior convenienza della propria offerta economica rispetto a quella dell’aggiudicataria.

 

In tale occasione, il Consiglio di Stato aveva avuto modo di statuire quanto segue:

«La ricorrente, con l’avversare la propria esclusione dalla gara (e solo di riflesso l’aggiudicazione della commessa ad un terzo), fa valere in giudizio il proprio interesse alla riammissione alla procedura, e perciò la pretesa che anche la propria offerta di gara formi oggetto di valutazione, da parte della Commissione, in comparazione con le altre. Tale essendo il contenuto del presente giudizio, se ne desume linearmente l’insussistenza di un onere della ricorrente di rivelare preventivamente, in questa sede contenziosa, il contenuto della propria offerta economica. L’onere così ipotizzato, oltre a porsi in conflitto con il relativo principio di segretezza, sarebbe difatti incompatibile con la naturale considerazione che il confronto tra le offerte è compito, almeno in prima battuta, dell’apposita Commissione, e non del Giudice, che è semmai deputato alla verifica di legittimità della procedura condotta dall’Amministrazione».

 

Anche nella fattispecie oggetto della decisione in commento, il Consiglio di Stato ha perciò evidenziato che l’appellata non aveva l’onere di esibire in giudizio alcun “brogliaccio” riflettente la propria offerta economica, con conseguente irrilevanza, in ogni caso, dell’assenza di reale valore probatorio che inficerebbe un simile documento.

 

Infatti – specifica ancora la Sezione Quinta – ai fini della dimostrazione del proprio interesse a ricorrere, era sufficiente che la ricorrente esclusa allegasse doglianze tali da poter astrattamente far superare alla propria offerta tecnica la soglia minima di ammissione sopra indicata (36 punti), il che le avrebbe fatto conseguire il concreto risultato utile dell’ammissione a confronto con le offerte economiche delle concorrenti.

 

E, poiché non è stato posto in discussione il punto che le censure dell’originaria ricorrente soddisfacessero tale necessità, l’eccezione di cui si tratta è risultata priva di consistenza.

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