Corte costituzionale, sentenza del 13 gennaio 2014, n. 1 – Sull'illegittimità costituzionale della legge elettorale n. 270 del 2005

10.05.2015

di Anna Ditta

Giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del 2005, promosso dalla Corte di cassazione nel giudizio civile vertente tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altro.

Norme impugnate e parametri di riferimento

La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale di alcune disposizioni delle leggi sull’elezione della Camera dei deputati e del Senato, come modificate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270, relative all’attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato, nonché di quelle disposizioni che, disciplinando le modalità di espressione del voto come voto di lista, non consentono all’elettore di esprimere alcuna preferenza.

In particolare, la Corte di cassazione censura:

  1. L’art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui dispone che l’Ufficio elettorale nazionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» e stabilisce che, in caso negativo, «ad essa viene ulteriormente attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale consistenza».

Tali disposizioni violerebbero l’art. 3 Cost., congiuntamente agli artt. 1, secondo comma, e 67 Cost; violerebbero inoltre l’art. 48, secondo comma, Cost. Analoghe censure sono poste dalla Corte di cassazione riguardo all’art. 17 del d.lgs. n. 533 del 1993 (concernente la disciplina dell’elezione del Senato della Repubblica), nella parte in cui stabilisce che l’Ufficio elettorale regionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell’ambito della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore» e che, in caso negativo, «l’ufficio elettorale regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore».

  1. L’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, l’art. 59 del medesimo d.P.R., nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n. 361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di lista»; nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta». Tali disposizioni, ad avviso del rimettente, violerebbero gli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost.; l’art. 48, secondo comma, Cost., in virtù del quale il voto è personale e libero; l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 del protocollo 1, della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla «scelta del corpo legislativo»; l’art. 49 Cost. Secondo il giudice a quo, tali norme, non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza per i candidati, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione di tutti i candidati, renderebbero, infatti, il voto sostanzialmente “indiretto”. Inoltre, sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto, farebbero sì che il voto non sia libero, né personale.

Argomentazioni della Corte

La Corte rileva che la questione è fondata. Infatti, le norme che prevedono l’assegnazione del premio di maggioranza per l’elezione della Camera dei Deputati, nell’ambito del sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, stabiliscono un meccanismo che, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (articolo 48 Cost.). Lo stesso accade per il premio di maggioranza assegnato per le elezioni del Senato della Repubblica. Entrambe le norme, infatti, pur perseguendo un obiettivo legittimo di rilievo costituzionale (la stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare), dettano una disciplina che non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, dal momento che determinano una eccessiva compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, e pertanto producono “un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente”.

Con riguardo al Senato, la Corte rileva inoltre che l’attribuzione del premio di maggioranza su scala regionale, comporta il rischio che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato di una somma di premi regionali. Ciò può finire per rovesciare il risultato ottenuto su base nazionale, e favorisce la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, elemento che può compromettere l’esercizio delle funzioni parlamentari.

Il secondo gruppo di norme censurate è quello che riguarda le modalità di espressione del voto dell’elettore. Per la Corte, tali norme, nello stabilire che il voto espresso dall’elettore è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti. La scelta dell’elettore si traduce, infatti, in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che – in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie – contiene un numero assai elevato di candidati e rende questi, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall’elettore stesso. Pertanto si pongono in contrasto con gli artt. 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 Cost.

Conclusioni

La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, n.5, e comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica del 30 marzo 1957 n.361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati).

Dichiara inoltre l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica).

Dichiara infine l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59, del decreto del Presidente della Repubblica del 30 marzo 1957 n.361, e art. 14, comma primo, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati.

Effetti temporali della decisione della Corte

La Corte precisa che la normativa rimasta in vigore, per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle impugnate disposizioni per l’elezione di Camera e Senato, è complessivamente idonea a garantire, in ogni momento, il rinnovo delle assemblee parlamentari.

Inoltre, la decisione di annullamento delle norme censurate produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale.

Sono quindi fatti salvi gli atti posti in essere durante la vigenza delle norme elettorali annullate, tra cui gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. La Corte richiama il principio della cd. retroattività delle sentenze di accoglimento, valido solo per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, come sono le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime.

La Corte fa salvi, inoltre, gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali, richiamando il principio fondamentale della continuità dello Stato, che si attua in concreto mediante la continuità dei suoi organi costituzionali. Le Camere, infatti, sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare.

La Corte rileva inoltre che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, la Costituzione prevede, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), e che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.).

Giurisprudenza richiamata

– Sulla censurabilità delle leggi elettorali manifestamente irragionevoli, v. le sent. nn. 242/2012 e 107/1996; e l’ord. n. 260/2002.

– Sull’attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima di voti o di seggi, v. le sent. nn. 16/2008, 15/2008 e 13/2012.

– Sulla «rappresentanza politica nazionale» delle assemblee parlamentari (art. 67 Cost.), v. la sent. n. 106/2002.

– Sulla libertà del voto alla base del principio democratico, v. la sent. n. 16/1978.

– Sull’affermazione che le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie, in quanto «indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali», v. le sentenze nn. 13/2012, 16/2008, 15/2008, 13/1999, 26/1997, 5/1995, 32/1993, 47/1991 e 29/1987.

– Sull’affermazione che il principio di retroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento vale soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida, v. la sente. n. 139/1984.

Alessandroa.baroni