Le recentissime misure lanciate dalla BCE volte a generare maggiore liquidità nel sistema creditizio e a rilanciare le esportazioni dei prodotti delle imprese europee si devono confrontare anche con le peculiarità di ciascun paese.
Per quanto concerne l’Italia, colpita da una recessione che ha minato non solo il tessuto economico ma anche quello sociale, la questione è capire se e quanto vi saranno effetti positivi sulle famiglie giovani e sulle piccole imprese.
Le prime sono rilevanti in quanto le più esposte ai due peggiori effetti della recessione, cioè la stretta creditizia e la disoccupazione, le seconde in quanto interessate solo marginalmente dal previsto miglioramento della bilancia commerciale del Paese.
Le Famiglie
Secondo l’ultima analisi di Banca d’Italia sul tema: “l’impatto della crisi è stato molto forte per le famiglie nella fase iniziale[1] del life cycle, quella in cui è più alta la propensione a indebitarsi per sostenere spese connesse con la formazione di un nucleo familiare. Tra il 2010 e il 2012 la riduzione della quota di famiglie indebitate tra quelle che fanno capo a giovani (< 35 anni) è stata di 7 punti percentuali; rispetto al 2008 di 12 punti, interessando le famiglie giovani di tutte le classi di reddito.”
Come si può notare nella Figura 1, le famiglie giovani titolari di un mutuo o finanziamento sono drasticamente calate negli anni alla soglia del 20% (una su cinque), mentre le famiglie giovani che si sono viste respingere il mutuo o il finanziamento (Figura 2) sono ora oltre la metà.
Figura 1 Quota di famiglie indebitate per età (valori percentuali)
Fonte: elaborazione Magri – Pico su dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie
Figura 2 Quote di famiglie che non hanno ottenuto il credito richiesto (in percentuale)
Fonte: elaborazione Magri – Pico su dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie
Il recentissimo Bank Lending Survey della BCE[2] (relativo alla concessione di mutui nel quarto quadrimestre 2014) rileva come in Italia sia tornata ad aumentare la percezione del rischio da parte degli operatori finanziari nei confronti delle famiglie in generale e dobbiamo ritenere di quelle giovani in particolare. Percezione che non ha spinto sino ad ora ad aumentare la stretta creditizia solo grazie a una aumentata fiducia sul mercato immobiliare e dunque sulle possibilità eventuali di escussione e realizzo dell’immobile messo in garanzia (la messa all’asta della casa in parole povere…).
Se al mancato allentamento della stretta creditizia aggiungiamo anche l’aumento dell’effetto scoraggiamento[3] appare chiaro come il quantitative easing appena lanciato necessiti di una robusta azione di sostegno alle famiglie italiane, in grado di fornire a queste ultime e al sistema bancario le basi per ricostituire la fiducia persa e la possibilità di poter costruire sostenibili piani per il futuro. Dunque certezza sulla imposizione fiscale (a utti i livelli), sulle deduzioni (non virtuali e spalmate in anni) e sul mercato del lavoro.
Le imprese
Un discorso differente deve invece farsi per le imprese, per le quali il citato Rapporto della BCE sulle condizioni di credito nell’ultimo quadrimestre del 2014 segnala un calo delle restrizioni al credito, generato in particolar modo da una riduzione dei costi di accantonamento per rischi, in particolare sui bilanci delle Banche in Italia e Francia (vedi Figura 3).
Tale riduzione è da attribuire alla maggiore liquidità dei sistemi bancari e dunque, se questa analisi fosse confermata, il quantitative easing dovrebbe ulteriormente spingere al ribasso tali costi e quindi generare un ulteriore allentamento delle condizioni di credito alle imprese. Allentamento che potrebbe fare ripartire la domanda di credito a sostegno di nuovi investimenti.
Figura 3 Fattori che contribuiscono alla stretta creditizia nella concessione di linee di finaziamento alle imprese (in percentuale – i valori negativi segnalano una riduzione della stretta creditizia e dunque un miglioramento)
Fonte: BCE Bank Lending Survey, gennaio 2015
Rimane tuttavia il fatto che questa analisi è basata sulla media delle imprese italiane e non sulla mediana e quindi non tiene conto della grande maggioranza delle micro e piccole imprese che continuano a soffrire del credit crunch e che probabilmente non potranno godere degli attesi benefici sulle esportazioni di prodotti italiani extra UE, in quanto non in grado di internazionalizzarsi.
Si deve infatti ricordare che di 425.000 imprese manifatturiere italiane, soltanto 88.000 si dichiarano esportatrici[4], ma poco più della metà lo fa regolarmente[5] e di queste solo una piccola parte sono micro imprese[6].
Inoltre la spinta valutaria potrà esplicare i suoi effetti nei settori più competitivi del sistema Paese, dove negli anni scorsi si sono già registrati incrementi più significativi delle esportazioni, come il settore delle bevande, alimentari, farmaceutica e metallurgia, mentre sarà ininfluente nei settori più penalizzati come il settore del mobile e dell’abbigliamento[7].
Anche in questro caso dunque il QE dovrà essere necessariamente accompagnato da misure di sostegno reale alle micro e piccole imprese nei settori più competitivi soprarichiamati.
Lo stesso vale per i contributi comunitari alla competitività appena riconfermati per il periodo 2014-2020. Questi utlimi, se continueranno a essere prevalentemente gestiti dagli enti intermediari delle regioni, con la mancanza di trasparenza e le lentezze burocratiche che ne hanno decretato il sostanziale fallimento negli anni scorsi, non potranno costituire il necessario e atteso volano. Nulla contro gli enti in house delle regioni, ma se si facessero gestire queste risorse dal sistema bancario (adeguatamente preparato allo scopo) sicuramente si avrebbe una cinghia di trasmissione degli effetti del QE più rapida sul tessuto delle imprese.
[1] Questioni di Economia e Finanza – Il mercato del credito alle famiglie dopo cinque anni di crisi: evidenze dall’indagine sui loro bilanci, a cura di Silvia Magri e Raffaella Pico, ottobre 2014.
[2] BCE, The euro area bank lending survey 4th quarter of 2014, gennaio 2015.
[3] L’House Finance and Consumption survey su 62.000 famiglie in 15 paesi europei rileva come già nel triennio 2012 la quota di scoraggiati in Italia sfiorava il 5% e c’è da ritenere che sia considerevolmente aumentato nei due anni successivi.
[4] Elaborazione Nomisma 2014 su dati Eurostat 2011.
[5] Secondo una rilevazione Istat (Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, 2014) nel biennio 2010-2012 le imprese che avevano svolto una attività di export con continuità erano circa 45.000.
[6] Sempre secondo la rilevazione Istat soltanto il 42% delle microimprese avrebbe beneficiato di espansione alle esportazioni, contro il 64,4 delle imprese grandi.
[7] Dati Istat, Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, cit.