Viola l’art. 117, primo e terzo comma, Cost. la norma regionale che preveda, per l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente, la SCIA in luogo dell’autorizzazione.
È fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e termali), come modificato dall’art. 17 l. r. n. 69/2012, il quale subordina l’inizio dell’attività di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente alla segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA), anziché ad autorizzazione amministrativa.
Tale disciplina si pone infatti in contrasto con le norme di principio in materia di tutela della salute stabilite dal d.lgs. n. 176/2011, in attuazione della direttiva 2009/54/CE sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali, che assoggettano l’avvio dell’attività in questione non già alla mera SCIA, che implica una forma di controllo soltanto a posteriori, bensì ad autorizzazione, “rilasciata – come osserva la Corte – previo accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà, corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente”.
In proposito, già nella sentenza n. 244/2010, su questione sollevata dalla stessa Regione Toscana, veniva rilevato che “il legislatore comunitario, nell’esercizio della propria discrezionalità normativa, ha ritenuto prevalente, rispetto a quella della semplificazione amministrativa dei procedimenti, la finalità di assicurare la tutela della salute dei consumatori di acque minerali”, e pertanto “la normativa nazionale di recepimento, contenuta nel d.lgs. n. 176 del 2011 e censurata dalla Regione Toscana, proprio perché in larga misura pedissequamente riproduttiva delle previsioni comunitarie – sintetiche per definizione quanto ai loro enunciati – contenute nella direttiva 2009/54/CE, detta nella specie una disciplina di principio della materia, comunque non modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione dell’atto comunitario”.
A nulla rileva, inoltre, la circostanza che, nelle more del giudizio di costituzionalità, la disciplina oggetto di sindacato sia stata emendata e resa conforme alla legge-quadro statale: ed invero, lo ius superveniens è idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere solo laddove risulti dimostrato che le norme impugnate non hanno mai ricevuto applicazione, prova che, nel caso di specie, non è stata fornita.