Per discutere efficacemente della riforma del sistema educativo, occorre interrogarsi su quale scuola intendiamo costruire per quale società, perché, come è noto la scuola ha una funzione fondamentale nella società. Infatti, nell’attuale scenario internazionale siamo passati da un’epoca di cambiamento ad un cambiamento d’epoca in tutti gli ambiti delle nostre società sempre più complesse, interconnesse, globalizzate, liquide, a rischio, multietniche e culturalmente plurali. In questo nuovo contesto, lo sviluppo non è più basato sui fattori economici tradizionali (materie prime, capitali e tecnologie), ma sul ruolo determinante svolto da una parte dalla cultura e dai valori condivisi (capitale umano) e dall’altra dal rispetto delle regole (legalità) e da un’efficace ed efficiente interazione tra istituzioni e attori sociali (capitale sociale).
Siamo, dunque, in una società che richiede una scuola aperta, autonoma, dinamica, competente e social inclusive, capace di fornire competenze orientative permanenti, necessarie per l’elaborazione del proprio progetto di vita da parte dei nostri giovani.
In questo nuovo contesto, il Rapporto “La Buona Scuola. Facciamo crescere il Paese” ha già raggiunto un primo obiettivo: riportare la scuola del futuro al centro del dibattito pubblico. È da troppo tempo che si discute di scuola solo per commentare politiche di spending review, tagli, precariato, riforme e controriforme. Finalmente, speriamo si ricominci a discutere del ruolo strategico che la scuola e l’università svolgono a favore della crescita della persona umana per uno sviluppo economico, sociale e civile equo e duraturo.
A partire dalle proposte contenute nel Rapporto del Governo Renzi, per evitare di lanciare obiettivi troppo ambiziosi, rischiando di frammentare e disperdere le energie, è possibile individuare tre azioni strategiche, verso le quali sarebbe necessario orientare tutti gli sforzi e far convergere tutte le risorse disponibili:
a) elaborare un nuovo Testo Unico della legislazione scolastica, che elimini sovrapposizioni e prescrizioni contraddittorie su varie materie, e aggiornare le norme che regolano il funzionamento degli Organi collegiali interni e territoriali;
b) rilanciare una corretta applicazione dei principi dell’autonomia scolastica, sul piano didattico, organizzativo, gestionale e di ricerca, e rendere più funzionale il riparto di competenze tra Stato e regioni previsto dall’attuale Titolo V della Costituzione e costituire un organico d’istituto e di rete di scuole, funzionale alla progettazione e gestione del ciclo scolastico e al miglioramento della qualità dell’offerta formativa, che dovrà essere tendenzialmente personalizzata e coinvolgere attivamente gli studenti;
c) estendere e consolidare una politica organica di orientamento permanente che rilanci il ruolo della formazione tecnica superiore e, attraverso una rinnovata politica di alternanza scuola-lavoro, coinvolga, con maggiore responsabilità e consapevolezza, studenti, famiglie, docenti, istituzioni e sistema produttivo.
È necessario riscrivere il Testo unico, poiché vi sono norme riguardanti il ruolo degli Organi collegiali approvate nel 1974 e norme che hanno introdotto il ruolo innovativo del Dirigente scolastico nel 1997, lasciando formalmente inalterati i compiti e i poteri equi ordinati degli organi preesistenti. Un’altra complessa vicenda riguarda il “groviglio legislativo” della regolamentazione degli Ordinamenti scolastici e la presenza altalenante delle stesse materie d’insegnamento. Basta osservare la sorte riservata, di volta in volta, a materie come storia dell’arte, geografia, musica e sport.
Allo stesso modo, occorre analizzare criticamente il processo di implementazione dell’autonomia che in questi anni avrebbe dovuto ridisegnare i caratteri strutturali del sistema.
L’autonomia in molti casi ha visto un’applicazione burocratica o peggio ha rappresentato un processo di atomizzazione del sistema educativo, mentre avrebbe dovuto fornire l’energia necessaria per poter far ripartire una nuova stagione di riforme, in una nuova dimensione organizzativa e culturale di sperimentazione rappresentata dalle reti di scuole, così come prevedeva lo stesso Regolamento dell’autonomia (Dpr 275/99).
Infatti, per contrastare i rischi che corre la scuola italiana, prima fra tutti quello correlato al grave tasso di dispersione scolastica, è assolutamente necessario rilanciare il ruolo svolto dall’autonomia delle istituzioni scolastiche, finalizzandola al raggiungimento di cinque diversi obiettivi strategici:
a) promozione dell’autonomia didattica volta a offrire percorsi educativi tendenzialmente personalizzati (qualità capitale umano), attraverso la dotazione di un organico funzionale triennale, sia a livello di istituzione scolastica che di rete, quest’ultimo finalizzato al perseguimento di obiettivi formativi territoriali, con un preciso e affidabile ricorso alla misurazione e al miglioramento continuo degli standard qualitativi di apprendimento e a metodologie didattiche interattive, anche sul piano delle Information Communication Technologies;
b) incremento della responsabilità delle scuole, attraverso l’implementazione di una corretta valutazione delle performance del personale e di sistema – questione alquanto complessa – la cui soluzione, richiede la compresenza di una serie di elementi strettamente correlati tra di loro: visione strategica da parte dell’amministrazione scolastica e una coerente concertazione tra i soggetti che debbono gestire il processo di valutazione;
c) attivare l’autonomia organizzativa e gestionale nell’interazione con altre scuole, allo scopo di elaborare e perseguire obiettivi progettuali innovativi comuni – reti di scopo – e favorire la costituzione di organismi di rappresentanza e d’interlocuzione istituzionale nei confronti delle Regioni e delle autonomie locali;
d) investire nell’autonomia di ricerca e sviluppo, allo scopo di corrispondere alle esigenze di trasformazione indotte dalla globalizzazione, adeguando il livello d’interdisciplinarietà e il grado di internazionalizzazione e di spendibilità delle competenze in uscita, raccordo tra scuole superiori e università, anche in una prospettiva di revisione della durata complessiva dei cicli scolastici;
e) sviluppare una positiva interazione con la vocazione di sviluppo economico, sociale e culturale della comunità locale, fornendo un supporto significativo, in una logica di concreta integrazione sinergica tra l’apporto del mondo della ricerca scientifica e tecnologica, dell’università e quello delle imprese, favorendo così una migliore diffusione del capitale sociale.
In definitiva, bisogna ricordare che questi obiettivi di modernizzazione del sistema educativo, seppure già previsti in parte dalle norme, sono stati messi in discussione dai continui tagli apportati ai fondi negli ultimi 15 anni (Fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa), ora con la spinta delle proposte del Governo Renzi è arrivato il momento di investire le risorse necessarie e restituire fiducia ed energia alla scuola, se s’intende dare davvero un futuro migliore ai nostri figli.
Inoltre, sul versante delle politiche di orientamento, sulla base dei risultati delle ricerche condotte anche dalla Fondazione Italia Orienta e dell’esperienza acquista negli Educational Tour, che hanno già coinvolto centinaia di scuola e migliaia di studenti, si ritiene necessario segnalare le criticità evidenziate dagli stessi docenti referenti per l’orientamento scolastico e universitario:
a) mancanza di uno spazio curriculare deputato all’orientamento all’interno dei programmi scolastici;
b) mancanza di preparazione del docente referente all’orientamento che, considerando il possibile ricambio, a volte annuale, non consente un’efficace strutturazione del percorso di orientamento;
c) scarsa informazione e formazione sulle modalità di approccio strategico all’orientamento, se non attraverso una sorte di “marketing universitario”; assenza dal panorama in-formativo delle opportunità “extra-universitarie” (Istituti Tecnici Superiori) e delle opportunità fornite dall’orientamento al lavoro;
d) totale assenza di un’educazione all’auto-orientamento lungo tutto il percorso scolastico;
e) metodologie inadeguate, poco adatte a formare nei giovani capacità di analisi critica, autovalutative, proattive, progettuali e creative.
La politica di orientamento, in questa nuova visione, è da ritenersi ancora una materia relativamente nuova nella esperienza concreta delle scuole italiane, come nuove sono le figure professionali chiamate a ricoprire tale ruolo.
Un ruolo caratterizzato da una intrinseca complessità, che necessità di una formazione necessariamente interdisciplinare. In questa sfida, sulla base delle proprie elaborazioni e dell’esperienza maturata, ritiene che il lavoro strutturato dell’orientamento dovrebbe svilupparsi attraverso un percorso che deve includere aspetti legati alle seguenti quattro variabili critiche:
a) lo sviluppo della persona e della personalità;
b) l’analisi del contesto di riferimento e le capacità relazionali, comunicazionali e al linguaggio;
c) gli aspetti legati ai valori di riferimento, alla modalità/strumenti multimediali di acquisizione delle informazione;
d) allo svolgimento di un ruolo nel mondo sociale, economico e professionale.
Sulla base di questa impostazione, si ritiene che sia necessario affrontare più adeguatamente la crescente complessità della nostra società nel campo dell’education e del lavoro, attraverso l’attivazione di una serie di public policies, in una prospettiva di Transition Governance, in modo tale da coinvolgere, in una logica integrata: istruzione, formazione, orientamento e servizi per l’impiego, ma anche il modo produttivo e delle professioni.
La vera emergenza, dunque, è rappresentata dalla gestione concertata da parte degli attori competenti (istituzioni scolastiche e formative, università, imprese, regioni, autonomie territoriali e Ministeri) delle diverse fasi di transizione: dalla scuola secondaria inferiore a quella superiore; da quella superiore all’università; dall’università al lavoro; da un lavoro ad un altro lavoro.
In questa logica, la gestione del processo di orientamento permanente non può essere lasciato nelle mani di una sola persona, ma deve diventare campo d’intervento di un team con competenze interdisciplinari (composto da Orientatori, Tutor di orientamento, Giornalisti di settore, Pedagogisti, Educatori, Sociologi, Psicologi, Esperti di risorse umane, Esperti di comunicazione organizzativa).
Un Team che in maniera programmata possa fornire ai giovani gli strumenti che saranno utili per orientarsi e riorientarsi nel corso della vita professionale ed umana.
In conclusione, si tratta di proporre a tutti gli attori coinvolti (studenti, famiglie, docenti, istituzioni, sistema produttivo) una nuova logica che faccia dialogare più efficacemente il mondo dell’istruzione e formazione con quello del lavoro. Occorre mettere gli studenti nelle migliori condizioni per poter realizzare una scelta responsabile e consapevole, basata su una felice sintesi tra effettive attitudini, legittime aspirazioni personali e dinamiche del mercato del lavoro, che si sviluppano sempre più in una dimensione nazionale ed internazionale.
Per queste ragioni è necessario combattere e smascherare, con i fatti, il falso mito che “studiare non serve” e ricominciare ad investire seriamente sul futuro dei nostri figli e su quello dell’Italia, poiché il futuro dipende esclusivamente dal capitale umano di un Paese, sono le competenze delle persone che fanno la differenza e la qualità è strettamente connessa alla qualità delle scuole.
* Coordinatore Osservatorio sulla scuola dell’autonomia – LUISS Guido Carli. Presidente Corso di Laurea “Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane” – Università degli studi Roma Tre.