Sommario: 1. Premessa. Il silenzio della legislazione in ordine al problema della retroattività del provvedimento amministrativo e la rarità delle indagini dottrinali. 2. La pietrificazione, ad opera della manualistica e della giurisprudenza, di uno schema a geometria fissa: la retroattività negata come regola e consentita come eccezione “per classi” di provvedimenti configurate quali numerus clausus. 3. Alcune ragioni teoriche per una rimeditazione del problema: il «dissolvimento della retroattività» nel bilanciamento tra valori costituzionali; la critica all’elaborazione della certezza del diritto come «concetto tutto-o-niente». 4. Una differente proposta ricostruttiva nel senso di uno schema a geometria variabile: la retroattività negata o consentita “per principi”, caso per caso, motivatamente e con esiti non predeterminabili ex ante. Un triplice test per vagliare l’an, il quantum e il quomodo della tollerabilità della retroazione del provvedimento amministrativo in base ai principi generali dell’ordinamento.
Abstract
Nell’ordinamento italiano continua a mancare una disposizione di legge che abbia ad oggetto la retroattività del provvedimento amministrativo. La l. n. 241 del 1990, pur disciplinando (nel Capo IV-bis) sotto vari profili l’efficacia del provvedimento, non affronta il problema dell’ammissibilità della retroazione degli effetti delle decisioni amministrative unilaterali. Anche nella dottrina italiana sono rare le indagini dedicate all’argomento. Nel silenzio della legislazione ha trovato ampio spazio, inevitabilmente, l’opera della giurisprudenza che, argomentando in particolare sulla base dell’art. 11 delle Preleggi, ha elaborato una tesi ormai consolidata: quella del divieto generale di retroattività dei provvedimenti amministrativi. La giurisprudenza non si è limitata ad enucleare questa regola generale: essa ha anche elaborato, sempre in assenza di fondamento nel diritto positivo, un numerus clausus di eccezioni che derogherebbero alla regola. In particolare, vi sarebbero quattro classi di provvedimenti amministrativi a retroattività eccezionalmente consentita: quelli retroattivi per legge; quelli retrodatabili per doverosa esecuzione di pronunce giurisdizionali o giustiziali; quelli retroattivi per natura; quelli retroattivi unicamente in bonam partem. Il presente contributo sviluppa una tesi differente. Da un lato, sottolinea che le coordinate tradizionali di inquadramento del problema non sembrano più adeguate rispetto all’evoluzione dell’ordinamento verso un diritto basato sui principi, in cui anche i concetti della dogmatica esigono di essere relativizzati, di acquisire elasticità, mobilità, adattabilità; di conseguenza, appare non condivisibile l’impostazione tralatizia secondo cui la retroattività dei provvedimenti amministrativi presenterebbe uno schema a geometria fissa, ossia “per classi”, risultando sempre vietata o sempre consentita in base alla sussunzione del provvedimento in categorie astratte e fissate a priori. In luogo di questo approccio, il contributo propone di configurare la retroattività secondo uno schema a geometria variabile, ossia “per principi”: essa potrebbe considerarsi vietata o consentita solo all’esito di una verifica di compatibilità con i principi generali dell’ordinamento, da svolgersi in concreto e che, per essere controllabile e non arbitraria, dovrebbe articolarsi in una rigorosa sequenza di fasi. In particolare, ogni ipotesi di provvedimento retroattivo dovrebbe essere sottoposta, caso per caso, motivatamente e con esiti non predeterminabili ex ante, ad un triplice test, per vagliare l’an, il quantum e il quomodo della retroazione tollerabile dall’ordinamento in base ai principi generali: un primo test relativo al principio di legalità; un secondo relativo al principio di proporzionalità; un terzo correlato al bilanciamento finale tra i principi di buon andamento ed efficacia ed i principi di certezza (intesa come ragionevole prevedibilità) del diritto e di tutela del legittimo affidamento.