Nella sezione delle discipline giuridiche pubblicistiche della Collana Jura, edita a Pisa da ETS (che da mezzo secolo ormai riesce a dare uno sbocco editoriale alla cultura scientifica pisana) Fabio Giglioni, giovane professore universitario, ha pubblicato la sua seconda monografia, Governare per differenza. Metodi europei di coordinamento, che affronta il delicato (e per me che scrivo mai compiutamente risolvibile) problema di conciliare al meglio l’esigenza di valorizzare compiutamente le diversità, diciamo culturali delle diverse realtà (nel caso gli Stati nazionali) evitando di concepirle come fastidiosi ostacoli sulla via della gestione unitaria dei settori di interesse comune, con quella di assicurare appunto una uniformità quanto più estesa degli interventi, orientandoli verso una linea politica comune (valorizzare piuttosto che contenere, si dice nel testo). Necessità, quella di armonizzazione, divenuta più acuta dopo il consistente ampliamento dell’ambito dell’Unione.
Nella controcopertina viene definito un tema classico degli ordinamenti giuridici; il che è vero ma non ha impedito che per decenni sia stato da noi pressocché ignorato (a tutti i livelli, scientifico, legislativo, giurisprudenziale e, ovviamente, di governo) nel timore che potesse nuocere all’affermazione sempre più estesa e pregante degli ordinamenti regionali.
E’ di certo un tema che, oltre a richiamare alla trattazione di Luisa Torchia (che resta un caposaldo) induce immediatamente a verificare se nella scelta e nella realizzazione dell’idea possa aver avuto qualche parte Marcello Clarich; … che infatti risulta essere fra i “coordinatori” della Collana.
Interessante è il punto di vista assunto, esplicitato nell’introduzione, che è quello di privilegiare i settori in cui le rispettive competenze (nazionali e “comunitarie”) per come vengono configurate, parrebbero destinate a non interferire e quindi a esulare dalla prospettiva dell’argomento. Trattandone prevalentemente (e dichiaratamente) sotto il profilo giuridico della funzione di integrazione degli istituti del coordinamento: l’integrazione europea attraverso il diritto, prima ancora che attraverso i diritti.
Meno condivisibile appare (a chi ora scrive, evidentemente) l’idea che “governare per differenza” consenta di ottenere risultati che giovano sia all’interesse nazionale che a quello più vasto europeo a differenza di quanto avviene per altri tipi di intervento; ribadita quando si distingue l’interesse comune europeo da quello sovranazionale; parrebbe, al contrario, scontato che l’interesse comune dell’Unione europea non possa che essere, per definizione, ma anche per l’adesione ad essa (che perdura nonostante le talora affioranti tentazioni secessionistiche) anche quello di ciascuno Stato nazionale (si veda, in negativo, le difficoltà della Germania indotte dalla stretta imposta ad altri Stati membri in nome dell’ortodossia finanziaria e di bilancio).
Questa divergenza non impedisce peraltro l’adesione alla icastica definizione del coordinamento (dell’azione a favore degli interessi in discorso) come “figura organizzativa che ordina interessi diversi al fine di conseguire interessi comuni ai soggetti protagonisti dell’azione coordinata”, aggiungendo “…per la tutela di un interesse comune a tutti” (e quindi anche allo Stato nazionale portatore dell’interesse “sacrificato”; n.d.r.) e osservando che “diversamente dalle altre forme di integrazione, il coordinamento attribuisce agli esecutivi maggiore importanza rispetto al ruolo della giurisprudenza”.
Solitamente invece la nozione di coordinamento viene ampliata, estendendola a ipotesi in cui si manifesta una contrapposizione di interessi (senza un interesse comune che rende accettabile il sacrificio di quello particolare) conferendogli così una connotazione gerarchica che stravolge la figura colorandola di autoritarietà (naturale essendo che se il portatore dell’interesse “sacrificato” dal coordinamento non beneficia del privilegio accordato all’interesse più vasto non resta che l’imposizione gerarchica, che è quantomeno improprio ricondurre al coordinamento). Concezione questa che con sorpresa si constata non venire ripudiata nello studio in esame, quando si legge “di ipotesi in cui il coordinamento è espresso in termini di indirizzo unilaterale, presupponendo una relazione tra i soggetti non equiordinata”.
Nel volume il coordinamento per differenziazione viene identificato come un modello di azione amministrativa europea alternativo a quello dell’amministrazione indiretta praticato dalle origini. Sembrerebbe però che il rapporto fra i due sia piuttosto quello nel quale il primo si configura come modo di operare del secondo, nel senso che l’attuazione in via amministrativa delle decisioni comunitarie (di indirizzo) segue la via della collaborazione attraverso il coordinamento, evitando che in sede locale nazionale si realizzino soluzioni tendenti ad affermare orientamenti (politici) di segno diverso se non opposto, come tuttora avviene, nonostante le esortazioni alla collaborazione da parte della Corte costituzionale, nelle autonomie regionali (recente esempio l’attuazione del c.d. Piano casa nelle diverse Regioni italiane. Tanto che l’Autore riconosce che a livello amministrativo il fenomeno “è interessante ma rivela anche una complessità di esiti che difficilmente si prestano a una interpretazione univoca”).
Di estremo interesse sono anche le risultanze dell’analisi che nel volume viene compiuta sulle peculiarità del coordinamento all’interno della funzione di concorrenza, dove si individua una possibilità di intervento (anche in sede nazionale) a sostegno di imprese private rese compatibili col principio (di concorrenza), che divengono per tal modo portatrici (alcune e non le altre, che ne risentono) di interessi che si contrappongono all’interno dell’ordinamento europeo e non nello scontro fra le regole di quest’ultimo e i singoli ordinamenti nazionali.
Quanto agli svolgimenti, l’Autore ha cura di precisare che la trattazione si divide in tre parti.
La prima mira a chiarire (per quanto possibile) gli esatti termini in riferimento ai quali è possibile affrontare le varie questioni, richiamando le forme di superamento delle antinomie fra istanze unificatrici e diversità nazionali individuate dalla dottrina allo scopo di far emergere le peculiarità del coordinamento mediante differenziazione.
La seconda analizza dapprima l’approccio comunitario alle tecniche di coordinamento e la sua evoluzione rispetto al modello varato col Trattato di Lisbona per poi passare a trattare specificamente le più significative, a iniziare dagli aiuti di Stato, la cui disciplina concreta è posta utilmente in relazione con gli obbiettivi che si propone, evidenziando altresì gli “adattamenti” imposti per i pubblici servizi dagli oneri propri del servizio universale.
Vi è poi un ulteriore capitolo dedicato ai mercati ed in specie ai partenariati pubblico-privati in cui si inserisce il delicato aspetto della natura anfibia delle concessioni, specie di servizi (si pensi a quelle c.d. di gestione, oltre che di costruzione, di autostrade, che tanto hanno contribuito, specie in Italia, a focalizzare problematiche e a trovare soluzioni). Dove si segnala il paradosso per cui nei partenariati, settore nel quale l’adozione di modelli di coordinamento dovrebbe essere agevolata, mentre invece si riscontrano le maggiori incertezze poiché essa “confligge con la preoccupazione di limitare in modo eccessivo la concorrenza e il libero scambio fra i Paesi membri”.
Ed infine, nel quinto e ultimo capitolo, si traggono le conclusioni dal vaglio dell’assetto concreto dei singoli aspetti esaminati. Ripercorrendo le quali diviene possibile evitare di segnalare specificamente i risultati cui in ciascuna delle parti lo studio approda.
Vengono in evidenza, in questo modo, le diverse tipologie di coordinamento inteso nel senso indicato, visto come “effetto di dinamiche che hanno sviluppi molto diversi nei due casi presi in considerazione” ma che comunque “non impedisce al livello di governo coinvolto di conservare la propria posizione di autonomia”, e le peculiarità rispetto ad altre tecniche impiegate allo stesso scopo, quali la complementarietà dovuta alla reciproca compatibilità, che ne mostra il carattere incrementale, non sostitutivo ma sussidiario, rispetto a a parternariati e aiuti di Stato, senza escludere il temperamento degli effetti negativi della pratica della concorrenza.
Emergono altresì la natura della sovranità nel suo profilo qualitativo piuttosto che quantitativo e l’esigenza di valutazione in termini di rapporto fra costi e benefici di tali tipi di intervento, con la constatazione, di particolare attualità nella situazione in cui versa il nostro Paese “la valutazione degli scostamenti dipende anche dalla qualità della spesa pubblica”.
Interventi che naturalmente si riverberano sul funzionamento dell’assetto istituzionale, più a livello governativo ed amministrativo che giurisprudenziale, come non si manca di notare, tratteggiando le reciproche interferenze e paventando una sorta di deferenza dei giudici verso le decisioni della Commissione, che pure hanno il pregio di di riequilibare quando necessario i risultati di scelte fatte in sede più marcatamente politica.
Segue un’accurata analisi dei modelli amministrativi derivanti dalla differenziazione e sui riflessi del governo di questa all’interno dei singoli Stati, su cui non è possibile diffondersi e inutile darne conto con semplici accenni.
Particolarmente da apprezzare, infine, la constatazione, che vi sarebbe da temere non risultasse fondata, di “quanto è ormai profonda la relazione che lega gli ordinamenti nazionali a quello della UE”.
Questioni delicate e perciò stimolanti trattate in modo stimolante, di cui si spera di aver dato un’idea possibilmente non troppo soggettiva.